Lettere (Sarpi)/Vol. I/14

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XIV. — Al medesimo

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XIV. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Illustrissimo signore.

Usiamo in Italia di dire, che chi loda uno, è debitore di mostrarlo in effetto quale l’ha descritto in [p. 40 modifica]parole, quasi che sii in ciò come il fideiussore, o (per isbrigar questo con una parola) che promette per quello. Io vedendo dalle lettere di monsignor l’Eschassier, che V. S. aveva ragionato di me conforme alla molta benevolenza che mi porta, le dissi che guardasse quello che prometteva di me, cioè quello che affermava del mio potere o sapere, acciocchè mosso dall’affezione non m’innalzasse sopra quello che vaglio. Questo fu il senso mio, non che volessi inferire ch’ella avesse promesso cosa alcuna per mio nome. Prego V. S. di così credere, e persuadere anco a monsignor l’Eschassier l’istesso senso. Aggiungevo ben ancora, che quando V. S. avesse promesso cosa per mio nome (è tanta l’autorità sua sopra di me!), che io me ne riputeria debitore per questa sola causa, e vorria pagare il debito senza replica: il che non dico per cerimonia, ma per verità sincera e reale. La pregarò perdonarmi se lo scriver mio abbi potuto perturbar o lei ovvero il suddetto.

Con quel vocabolo di promessa, V. S. averà inteso il felice successo occorsomi li cinque d’ottobre, quando da tre sicarii fui assalito da dietro ed innanzi, che chi era meco nè io stesso ce n’accorgessimo. Mi diedero tre ferite, due nel collo e una nella tempia, tutte penetranti più che quattro diti, con uno stilo (secondo la loro opinione) velenato.2 Piacque a Dio che tutte le ferite andassero oblique, sì che camminassero per così gran spazio poco [p. 41 modifica]discosto della pelle, e io abbi passato senza pericolo della vita: beneficio che io conosco da Dio solamente, al quale ha piaciuto operar questa maraviglia. Non ho dubbio alcuno, che hanno potuto uccidermi sul loco mille volte, quando la protezione divina non m’avesse soccorso: la quale sii sempre lodata. Non mi sarebbe spiaciuto il morire per la causa che ha mosso questi tali; nè mi piace l’esser restato in vita, se non quando piaccia a sua Maestà Divina ch’io m’adoperi in servizio della causa medesima.

Partì il signor Foscarini3 quale credo sarà giunto innanzi l’arrivo di questa, con tutto che la stagione sii molto contraria al suo viaggio. Tengo che l’opera sua sarà di molto profitto: però ogni mia confidenza è in lui, presupposto che piaccia a Dio di svegliar li sonnolenti, d’aprir gli occhi alli ciechi e di mortificare l’ardire de’ cattivi. Senza il che, tutte le cose saranno vane.

Qui corse voce, che la pace ne’ Paesi Bassi si concluderà, se bene non ci è nuova che sino al presente ci sii altro, che la ratificazione della tregua fatta dal re di Spagna: cosa che se bene pare il tutto, nondimeno nel trattare il rimanente, tante cose possono attraversarsi, che si può anco dire sii un niente. Parmi che nessuna cosa si possi prevedere per ragione; e dopo ch’io ho veduto le cose passate qui, resto stordito e fatto come uno scettico nelle cose umane. Non pareva verisimile che s’accomodassero con tanta facilità; ma, composte, chi non avrebbe giudicato vedere una concordia [p. 42 modifica]perfetta? Pure, stiamo forse peggio che quando V. S. si ritrovava qui, senza che gli uomini prudenti possino far giudicio alcuno dove debbino terminare le cose che vediamo.

Ogni dì nascono nuovi disgusti, e nessuno si compone. Stupirebbe V. S. se fosse presente. Li Spagnuoli mai ebbero manco arme in Italia che adesso: li altri principi sono affatto disarmati. Di Ungaria ci è avviso che li arciduchi abbiano creato un re, e vadino con gran sollecitudine facendolo giurare; e si teme che questo moto sii di maggior momento di quanto mostra superficiosamente. Non credo però che chi può aiutare quel regno, vorrà per soccorrerlo divertirsi dalli altri suoi disegni. Ma queste cose sono in mano di Dio.

Della materia letteraria non ci è cosa nuova; se non che s’intende, un gesuita comporre opera, dove mostra che sii lecito, anzi meritorio, a ciascuno uccidere per qualunque via un scommunicato dal papa: talmente che la proscrizione di Silla tornerà in piedi.

Ringrazio infinitamente V. S. delle molte belle scritture che mi prepara; e quanto al mezzo del mandarle, le picciole, che potranno capire nel pacchetto delle lettere, non patiranno difficoltà. Quanto alle altre, bisognerà averci qualche considerazione; poichè a Trento, e in qualche altri luoghi di Stiria s’hanno dato a scrutinare li libri con eccessiva cura. Per lo spaccio che seguirà, io darò qualche avviso a V. S. del mezzo che si doverà tenere; ma quanto alle lettere e picciole scritture, V. S. potrà capitarle al signor ambasciator Foscarini, chè saranno sicurissime. Io son parco in scriverli [p. 43 modifica]questa volta, per non sapere ancora l’arrivo del detto signore; al quale disegno per l’avvenire inviare quello che scriverò a lei.

La causa per la quale monsignor Casaubon interruppe l’opera sua, credo che sii quella a punto che V. S. racconta. Così passano le cose maneggiate da molte mani, e trattate con disegni vari, anzi contrari.

La mia relazione intorno al successo già è scritta, nè mi resta altro impedimento salvo che quello di communicar a monsignor di Fresnes, qual però credo ci coopererà. Ma crede forse V. S. che siamo al fine? L’avverto che siamo però distanti dal principio; se bene in apparenza alcun direbbe altrimente, e forse la fama referisce costì.

La ringrazio della prammatica e dell’istruzione che appresso mi manda; e per fine, di nuovo le dimando perdono della noia datali con la mia lettera, accertandola che il mio senso fu: — guardate quello che promettete di me, perchè voi lo pagherete; — cioè: — guardate che lode voi mi date; perchè eccedendo, voi non apparirete veridico, e m’avrete lodato con vostro pericolo. — Nè sarò quieto d’animo, sino ch’intendi che V. S. sii sodisfatta di questo. Imperocchè il senso nel quale ella ha preso le mie parole, sarebbe stato non senza insolenza mia, ed avrebbe avuto forma di reprensione: cosa in tutto contraria alla riverenza che le debbo. Torno la terza volta ad iscusarmi e con lei e con monsignor l’Eschassier. E qui facendo fine, le bacio la mano; il che fa insieme meco il padre maestro Fulgenzio, tutto suo.

Di Venezia, il dì 11 decembre 1607.




Note

  1. Edita: come la precedente.
  2. La più sincera e circostanziata narrazione di un tal misfatto, può leggersi nella Vita del P. Paolo Sarpi, scritta dal suo compagno ed amico Fra Fulgenzio Micanzio.
  3. L’ambasciatore Antonio Foscarini, al quale è diretta la Lettera XVI, e più altre.