Lettere (Sarpi)/Vol. I/Fra Paolo Sarpi/I

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Vol. I - Fra Paolo Sarpi Vol. I - II

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La mente di Paolo Sarpi a quella di Niccolò Machiavello si può pareggiare nella perspicacia e nel senno acconcio allo studio delle cose civili; ed entrambi con più larga mano degli altri politici de’ loro tempi sparsero le semenze di que’ veri che hanno trasformata l’Europa. Non senza perchè l’ira furiosa de’ nemici della libertà religiosa e della politica s’inviperisce contro dell’uno e dell’altro, e persevera nell’odio e reintegra ad ogni occasione le accuse. Incolpano il Fiorentino, quantunque per la patria anco la tortura con virile animo patisse, e per l’altezza dell’ingegno la povertà, di aver pregiato sopra la gloria immacolata della virtù infelice il delitto fortunato, e averne voluto insegnar l’arte ai popoli e ai re. Il Veneziano di più abietta colpa fan reo; di avere, cioè, contaminata la santità della coscienza facendo della triste ipocrisia velo alle novità religiose, e avere insegnato a torre alla Chiesa la libertà, dando allo Stato illegittima autorità e arbitrio sopra [p. ii modifica]di quella. Ma nel vero, Machiavello dalla sozza mistura dei delitti e delle viltà dell’epoca sua, s’innalza all’immagine dello Stato libero e forte, non più lampeggiata pel lasso di dodici secoli agli occhi degli Italiani, straziati e ammorbati da’ barbari e da’ pontefici, e dalla triste sequela che l’ambizione impotente di costoro trassesi dietro; ed afferma, più sublime anco del Savonarola, quanto più sublime e celeste della fantasia è la ragione, in sulla tomba recente dell’estreme speranze d’Italia, il suo futuro risorgimento. Le idee del Machiavello intorno al governo de’ popoli, purificate dall’impressione dell’epoca sua corrottissima, sono state la luce per giugnere all’egualità de’ cittadini mediante il principato, e per la via dell’egualità ai liberi reggimenti; perciocchè, a suo giudicio, la libertà voglia l’egualità, e l’egualità altresì metta capo alla libertà, non potendo durare contro all’accordo dei cittadini, fatti eguali e amatori della giustizia, la violenza di quell’imperio che tutte altre violenze ha spento. Il Machiavello ben sapeva, ed hannosene indizi parecchi ne’ suoi scritti, come fosse d’uopo di riformare non meno della società la Chiesa, trascorsa in abusi intollerabili; ma il modo di farlo non potea indovinare in quello strapotere del papa e de’ frati e in quella stupida ignoranza de’ popoli, e cadde perciò nell’errore degli altri politici di quell’epoca di rinascimento, di trattare il cristianesimo come il paganesimo ed acconciarlo a religione civile, giusta la sentenza che leggeva ne’ frammenti di Varrone. Da questo errore, [p. iii modifica]invero grandissimo, del Machiavello e degli umanisti del cinquecento, trasse alimento l’intolleranza politica che all’inquisizione de’ frati si accoppiò, e poi si è venuta modificando anche col mutar nome e tenore di epoca in epoca, ed ha forse impedito più che non si veggia o non si creda l’integro e pieno risorgimento delle nazioni latine. Al punto ove vien meno la scienza del sommo politico fiorentino, si appicca il filo di quella del Sarpi, teologo e canonista. Non meno meraviglioso e stragrande appare il senno del Sarpi ragguagliato ai tempi suoi, che quel di Machiavello in mezzo ai cinquecentisti. Dove si cava dal sistema politico di Machiavello la conseguenza che si abbia la religione come ordine di civiltà a suggettare allo Stato, e dalla sua pieghevolezza a ciò si argomenta della bontà della medesima: il Sarpi considera la religione cristiana per divina e inviolabile nell’essenza sua, e vuole che non faccia nè abbia impedimento dallo Stato, nè si arroghi ed usurpi neppur particella del potere di quello, come lo Stato altresì tenga il simigliante rispetto; d’onde viene la libertà di coscienza e la separazione della Chiesa e dello Stato, come intendono i moderni; ed è tolto al papa, non che ad ogni altro ordine chiesiastico, il poter temporale, vale a dire dello status in statu, che è la formola dell’errore che si contrappone all’altro de’ politici machiavellisti. I Gesuiti e gli altri romaneschi, per ischivare l’evidente verità delle sentenze del Sarpi e de’ sommi canonisti gallicani, sono addotti di forza verso la [p. iv modifica]sentenza del Machiavello; e dopo aver combattuto per la supremazia del papa e la sua giurisdizione su i popoli e su gli Stati, sonosi messi a cercare l’accordo dell’imperio civile e dell’ecclesiastico, vendendo a quello i servigi, la paura e l’ignominia di questo, a danno de’ popoli e delle loro libertà; e sì vile si è fatta la merce, che si è compera senza moneta, e gli augurii e gli auspici più de’ vescovi e dei preti tenevano lor dignità. Ma ne’ dissidii politici e ne’ religiosi sì facilmente mutansi i significati alle parole, che l’iniquità si chiama giustizia e servaggio la libertà e male il rimedio. La turba indotta e leggiera è tratta in inganno, di che i sofisti sono stati sempre maestri solenni; e l’inganno persevera per l’inerzia dell’errore e il vigile interesse degli ingannatori e la confusione delle idee. E per fermo, a cui non riuscirà nuovo il dire che Fra Paolo fosse pieno di pietà e di rassegnazione, e vigile custode della libertà della Chiesa e della gloria d’Iddio? Pure ne abbiamo a documento le Lettere sue, che con ottimo consiglio sono state ora qui raccolte; perciocchè dalla corrispondenza epistolare degli uomini grandi, più nativi e sinceri paiano i loro concetti, e la forma familiare delle lettere, abbondante e negletta, fa scorgere più addentro nell’animo loro: lasciamo stare chi e quale personaggio e in che negozi versato fosse il Sarpi, e che lume si abbia della sua corrispondenza per gli affari di que’ tempi. Volendo parlare di lui, abbiamo con diligenza esaminate queste sue Lettere, e per ora diciamo quanto all’accusa di eresia, [p. v modifica]che in esse non è niuna traccia di opinione dogmatica ereticale, ove non si volesse dare per calvinistica la sua fiducia e rassegnazione ai voleri d’Iddio, il che sarebbe po’ poi una sottigliezza da inquisitore; e l’espressioni del Sarpi hanno riscontro in quelle di tutti gli uomini pii daddovero, e sono anzi antropomorfitiche più di quello che non parrebbe dovere uscir dalla bocca di un sommo filosofo e matematico: il che prova che la sua pietà sorgeva dal cuore. Quanto alla sapienza de’ suoi concetti su la Chiesa, il papato e gli affari, ne verremo in appresso più largamente parlando.