Lettere (Sarpi)/Vol. II/213

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CCXIII. — Al signor De l’Isle Groslot

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CCXIII. — Al signor De l’Isle Groslot
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CCXIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Ho patito questi giorni passati una grave e pericolosa indisposizione, che mi ha tenuto impedito non solo il corpo, ma l’anima ancora dalle ordinarie funzioni, e in particolare dallo scrivere a V.S. già 15 giorni, in risposta dei 16 giugno. Crederò però, che monsieur Assellineau in quel tempo abbia fatto una scusa con esso Lei, avendolo io di ciò pregato affettuosamente, restandomi ancora il capo assai debole; per il che son costretto esser più breve di quello che io vorrei e dovrei, e tanto più quanto vi è materia assai abbondante, così qua come costì.

Tutte le lettere di V.S. sono sicuramente capitate. Già per altre mie le ho dato conto del recapito delle precedenti: avrà avuto la ricevuta della sopraddetta dei 16 giugno, e di quest’ultima dei 10 luglio. La quale mi ha portato molta allegrezza, così per la dichiarazione del re d’Inghilterra, la [p. 324 modifica]quale mi pare cosa di memorabile momento, come per la speranza che vi è di riconciliar buona intelligenza tra tutti i Reformati; e quantunque dovesse riuscir in sola apparenza, sarà nondimeno di gran frutto e beneficio. Ma mi giova sperare che sarà in fatti e in esistenza, massime impiegandovisi monsieur Du Plessis, il quale, e per il zelo e per il valore e per la destra maniera, spero che sarà infallibilmente coadiuvato dalla Maestà divina.

Ho veduto la dichiarazione del Sinodo, la quale mi è parsa non solo generosa, ma ancora alquanto ardita: ma forse che i negozi presenti ricercano che si proceda con qualche animosità; il che non può esser veduto da chi è lontano, e non sa le circostanze particolari dei negozi, le quali debbono dare la forma ad ogni risoluzione.

Quanto alle cose di qui, V.S. avrà inteso forse, innanzi l’arrivo di questa, la morte del nostro Principe,2 se bene matura quanto all’età sua, ch’era di 77 anni, acerba nondimeno, in quanto questa Repubblica ha perduto un soggetto di eroica e incomparabile virtù. Egli ha lasciato la vita senza dubbio, perchè la vivacità e la grandezza dell’animo niente invecchiata ha voluto che il corpo debole la seguisse. Morì essendo di ritorno dal Collegio3 una mattina dove aveva fatto le funzioni sue con la usata costanza. I Gesuiti, i quali fanno più mal qui assenti, che non farebbono presenti, hanno fatto disseminare [p. 325 modifica]molte cose contra la sua memoria, in conclusione volendolo dannato all’inferno, sì come è costume loro di rinchiudervi tutti quelli che non li obbediscono e servono. Si è creato il successore4 quietamente e senza moto alcuno; persona, se bene di valore non uguale al morto, uguale però in bontà.

Questa Repubblica è in cattivo stato, perchè i preti con gli Spagnuoli hanno a poco a poco acquistatosi una porta, la quale incomincia ad esser considerabile, e ogni poco che si faccia maggiore, partorirà mutazione di stato.5 Hanno fatto maggior male con queste pratiche, che non avrebbono fatto con dieci anni di guerra. Non è credibile quanto possi l’arte di Spagna, e il pretesto di religione.

Tra la Repubblica e il papa in apparenza passa buona intelligenza, ma in esistenza vi è molta materia di disgusto; la quale dal papa è conservata e aumentata con fierissimo animo, e dalla Repubblica portata innanzi a beneficio del tempo per le cause sopraddette.

I Gesuiti in Costantinopoli si adoperano quanto possono per nuocere alla Repubblica: con tutto ciò, maggior è il nocumento che portano con le pratiche tra noi. Molte cose avrei da dirle, ma in una sola parola concluderò: che se Dio non provvede, nel quale però voglio sperar assai, in breve la Repubblica sarà Genova.6 Veggo di avere occupato V.S. [p. 326 modifica]più del dovere; farò fine baciandoli la mano insieme con il signor Molino e padre Fulgenzio.

Di Venezia, il dì 31 luglio 1612.




Note

  1. Stampata in Ginevra ec., a pag. 482.
  2. Leonardo Donato.
  3. Chiamavasi dai Veneziani Collegio un consiglio composto del doge, de’ suoi sei consiglieri, dei tre capi delle Quarantie, e dei Savi grandi, di terra ferma e di mare. Vedi Giannotti, Repubblica de’ Veneziani (ediz. del 1850), tomo II, pag, 92.
  4. Marcantonio Memmo.
  5. Il Sarpi così previde la mutazione che volevasi operare coll’iniquissima congiura ordita dagli Spagnuoli e felicemente sventata nel 1619.
  6. Così ha la prima stampa, non escluso il carattere corsivo; e sembra potersi intendere: la repubblica di Venezia diverrà simile a quella di Genova. Noi però pensiamo che dovrebbe correggersi Ginevra, e spiegarsi: sola repubblica sarà, o potrà trovarsi, in Ginevra.