Lettere (Sarpi)/Vol. II/237

Da Wikisource.
CCXXXVII. — Al signor De l’Isle Groslot

../236 ../238 IncludiIntestazione 29 giugno 2016 75% Da definire

CCXXXVII. — Al signor De l’Isle Groslot
Vol. II - 236 Vol. II - 238
[p. 393 modifica]

CCXXXVII. — Al signor De l’Isle Groslot'.1


L’ultima mia fu delli 12, e per il presente corriero ho ricevuto quelle di V.S. delli 19 febraro e delli 4 del presente. Alle quali prima che rispondere, mi fa necessario dire a V.S., che monsieur Assellineau, dopo avermi narrato d’aver in una sua avvertito V.S. di quanta cauzione fosse bisogno nel trattare con certe persone medie, o piuttosto neutre, per quello che a me tocca, mi mostrò poi un capitolo di [p. 394 modifica]lettera, dove Ella fa sopra ciò qualche risentimento; nel quale, perchè tra le altre cose gli scrive che comunichi ciò meco, son entrato in pensiero che V.S. possa aver creduto che con mia partecipazione esso Assellineau abbia fatto seco il suddetto officio; e pertanto non ho potuto trattenermi di non fare un poco d’apologia, perchè troppo mi peserebbe ch’Ella non fosse certa, la esistimazione mia verso Lei corrispondere al suo valore, prudenza e bontà. Per tanto, l’accerto in parola di verità, che l’ufficio non è stato fatto da monsieur Assellineau di mia saputa; nè, quando l’avessi presentito, averei in alcun modo comportato si facesse; nè resterò di aggiungere, il mio naturale in materia di confidenza non esser capace di mediocrità, ma di chi non si fida intieramente esser diffidente del tutto. V.S. mi è nota intieramente per una pratica di tanti anni, che il dubitare adesso della sua prudenza e circospezione, questo sarebbe far torto al suo merito e al mio giudicio. Io credo bene che il motivo di monsieur Assellineau sia originato da buona intenzione: però cotesta sua azione, come qualche altra ancora, lo mostrano abbondar superfluamente in cauzione; ma io anco superfluamente passerei innanzi in questo capo, essendo certo che V.S. con tanto resterà soddisfattissima.

Ora vengo alle sue. Ho sentito gran piacere che li negozii siano totalmente accomodati, che non resti timore di altro inconveniente, e che le Chiese siano soddisfatte.

Quanto alla venuta di Barbarigo costì, prima io non avevo speranza: nacquero poi certi emergenti pei quali la tenni certa, come mi raccordo aver scritto [p. 395 modifica]a V.S.: ora, per nuovi accidenti, mi conviene aver qualche dubbio. Ma la settimana seguente ci darà piena risoluzione, chè allora si farà la disputazione; e se non sarà costì, sarà in Inghilterra. Ben sento dispiacere, che riuscendo l’evento contro il mio desiderio, sarà in persona simile al presente. Tutto è in mano di Dio.

Nel negozio di Mantova, scrissi a V.S. come la Duchessa vedova era ritornata in Goito. Ora, sprovvistamente, ella si è dichiarata non gravida, e il cardinale ha assunto il titolo di duca; e il principe di Savoia, fatto il viaggio in posta, è giunto per condurla a Torino; il che fa maravigliare della subita resoluzione, e restare in ambiguità se sia segno di megliore o di peggiore intelligenza fra quei principi.

Il vescovo ambasciatore dell’imperatore ha trattato lega contra Confessionisti; ma il tutto è stato interrotto e sfumato per li motivi dei Turchi, delli quali non ci è alcun sospetto per Candia, dovendo esser l’armata marittima sotto il mediocre, ma la terrestre sopra il sommo.

Nella novità eccitata da Tileno, mi pare che il portarci estinzione con silenzio sia tanto necessario, che doverebbe persuadere, anzi constringere l’altra parte a tacere, e non rispondere, se bene egli non cessasse mai dell’inculcare li suoi tentativi. Finalmente ogni innovazione muore da sè, quando non li venga dato spirito con la contraddizione.2 Io non sono pienamente informato dello stato, ma mi pare d’intendere che sia nel numero di quelle cose [p. 396 modifica]che si possono ignorare senza detrimento: più mi pare che importi quella di Richer, e mi dispiace che li sia vietata la publicazione della difesa, ch’egli manda obbliquamente appoggiata al Concilio di Basilea. In queste nostre parti non può far buon frutto, per gli interessi vecchi e duranti, che queste regioni hanno di non ricevere quel Concilio.

Dell’armata marittima di Spagna non si fa gran capitale qui, per li disegni de’ Turchi, come maggior lume offusca il minore; massime che si tiene per certo, esser l’Inghilterra sufficiente per difendersi in quel regno, in Ibernia e nella Virginia. È ben mala cosa che con la connivenza lascino pigliar piede a’ Gesuiti. L’avviso che mi dà delli tentativi passati, mi fa concludere qualche imminente mutazione: ben sarà quando riesca senza intervento di Reformati, perchè così ciascuno sarà costretto di farne maggior conto.

Io ho veduto con molto piacere l’editto e il resultante del consiglio, ma più mi piace quello che V.S. scrive a monsieur Assellineau esser promesso, e non scritto, se pur la promessa sarà mantenuta. Ma se la regina dipende da Spagna, V.S. lo potrà giudicare.

Avevo già ricevuta per altra via la raccolta delle cose passate nel fatto di Richer, le quali servono bene per giustificazione della maniera e ordine tenuto da lui. Io però sto con molto desiderio che difenda anco efficacemente la dottrina; perchè se la contraria prende piede in Francia, la quale sino al presente ha fatto opposizione a tutte le dottrine tiranniche, io averei gran dubbio che potesse esser con facilità disseminata per tutta l’Europa. [p. 397 modifica]

La poca concordia del papa con la Republica continua tuttavia, ed è passata in abito: però dal canto della Republica non vi si pensa, ed è senza disegno nè amaritudine. Ma dall’altro canto, si vede il mal’animo, quamquam prematur, scoprirsi con ogni occasione. Di questo fa guadagno Spagna, così acquistando in Roma, come in Venezia, rispetto alli papisti, che sono in qualche numero, e per li sottili maneggi crescono, sì come li contrari sminuiscono e li medii s’addormentano. Ma nessuna opera divina s’analizza per mezzi umani. Forse quando alcuno crederà esser nell’alto della ruota, si ritroverà nel basso. Non ho altra cosa di nuovo da dirle.

Di Venezia, il dì 26 marzo 1613.




Note

  1. Edita nella raccolta di Ginevra ec., pag. 552.
  2. Principio generalmente vero per tutte le cose speculative od astruse: non così per le altre.