Lettere al padre/1633/118

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Lettera 118

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1633 - 117 1633 - 119

A Siena

San Matteo, 12 novembre 1633

Amatissimo Signor Padre.

Con l’occasione che mi si porge della venuta costì del lavoratore di messer Santi Bindi, scrivo di nuovo a V. S. dicendole in prima che mi maraviglio ch’ella in quest’ultima non tratti di aver avute lettere di Roma, né risoluzione circa il suo ritorno, il quale pur si sperava quest’Ognisanti, per quanto mi disse il signor Gherardini. Desidero che V. S. mi dica come veramente passa questo negozio per quietar l’animo, e anco sopra che materia sta scrivendo di presente: se però è cosa ch’io possa intenderla, e non abbia sospetto ch’io cicali.

Tordo ha avuto li 4 scudi, come gli scrissi giovedì passato, e li signori Bini mi hanno mandato a domandare per Domenico lavoratore i danari del fitto della casa: ho risposto che si darà sodisfazione subito che V. S. ne sarà consapevole e me ne darà l’ordine.

Nell’orto non s’è potuto lavorar altro che una mezza giornata fino a qui, mediante il tempo che va tanto contrario, il quale credo che sia buona causa che V. S. travagli tanto con le sue doglie.

Le due libbre di lino che mandò per Geppo mi paiono del medesimo di quello che vale 20 crazie, il quale riesce buono, ma secondo il prezzo credo che potrebbe esser migliore; quella libbra sola di quattro giuli è finissimo e non è caro.

Messer Giulio Ninci sta bene affatto, per quanto intendo da Geppo, e ci ha mandate delle amorevolezze: e particolarmente Messer Alessandro suo cugino mi mandò un cedro, del quale ne ho fatti questi 10 morselletti che gli mando, che per esser un poco aromatici saranno buoni, se non per il gusto, per lo stomaco. V. S. potrà assaggiarli, e, se li giudica a proposito, presentarli a Monsignor illustrissimo insieme con la Rosa. Il pinocchiato con quei due pezzi di cotognato gli ho avuti dalla mia signora Ortensia, alla quale in contraccambio mandai una di quelle torte che mi mandò V. S.

Non mando pillole perché non ho avuto tempo a riformarle, oltre che non sento che gli bisognino.

Al ritorno del latore di questa sarà conveniente che io gli usi amorevolezza avendolo richiesto; avrò caro che V. S. mi avvisi quel che potrò dargli per sodisfarlo e non soprapagarlo: già egli vien costì principalmente per servizio suo proprio.

Finisco con far le solite raccomandazioni, e dal Signore Iddio prego vero contento.

sua figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.

La pioggia continua non ha concesso a Giovanni (che così si chiama il latore di questa) ch’egli possa partire questa mattina ch’è domenica, e a me lascia campo per cicalar un altro poco, e dirgli come poco fa mi sono cavata un dente mascellare grande grande, ch’era guasto e mi dava gran fastidio; ma peggio è che n’ho degli altri che fra poco faranno il simile. Dal signor Rondinelli intendo che i due figliuolini di Vincenzio Landucci, di presente, hanno buon governo da una donna che gli ha tolti in casa a questo effetto, da poco in qua: lui è stato male di febbre, ma va migliorando. Desidero sapere come Vincenzio nostro scrive spesso a V. S.

Per rispondere a quel particolare ch’Ella mi dice, che le occupazioni sono tanto salutifere, io veramente per tali le riconosco in me medesima: che se bene talvolta mi paiono superflue e incomportabili, per esser io amica della quiete, con tutto ciò a mente salda veggo chiaramente questo esser la mia salute, e che particolarmente nel tempo che V. S. è stata lontana da noi, con gran providenza ha permesso il Signore ch’io non abbia mai si può dire un’ora di quiete, il che m’ha impedito il soverchio affliggermi. Il che a me sarebbe stato nocivo, e a Lei di disturbo e non di sollevamento. Benedetto sia il Signore, dal quale spero nuove grazie per l’avvenire, sì come tante ce ne ha concesse per il passato. Intanto V. S. procuri di star allegra e confidare iti Lui ch’è fedele, giusto e misericordioso, e con esso la lascio.