Lettere dal fronte/Introduzione

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Introduzione

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Lettere alla madre

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A
I soldati d’Italia, alle loro mamme, ai loro amici, alle mamme e agli amici di quelli che sono morti nella guerra, a tutti coloro che non combattono oggi con le armi, ma debbono e dovranno combattere, in tutta la vita, la guerra sacra e continua del bene, della civiltà, della grandezza d’Italia, — a quanti hanno una patria e un cuore per amarla e un braccio e una mente per servirla, — offriamo lo specchio, il conforto e l’incitamento che verrà loro dalla lettura delle
Lettere che dal fronte scrisse alla madre e agli amici, tra l’agosto e il novembre, Giosuè Borsi, morto di fucile austriaco a Zagora, il 10 di novembre del 1915, e dalla lettura dei Colloqui ch’egli aveva lasciata, [p. iv modifica]partendo per la guerra, e che abbiamo pubblicati in bel volume.

Dell’ultima delle lettere che si leggono qui, un altro eroe dell’abnegazione patriottica e dell’amore per i fratelli, il cardinale Mercier, ha scritto che se un giorno, com’è sua intenzione, parlerà ai soldati, farà loro la lettura di essa, per insegnar loro «comment on vit et comment on meurt».

Tutte le lettere che la precedono sono una preparazione ad essa, tutte insegnano come si vive, come si ama, come si muore. Tutto il periodo della vita di Giosuè Borsi che precede la sua partecipazione volontaria alla guerra, è una preparazione luminosa alla morte. Prima di partire per il fronte scrisse quotidianamente quelle calde e soavi preghiere dei Colloqui, in uno dei quali afferma: «Dare la mia vita alla patria sarebbe uno dei modi più ambiti di spenderla bene, perciò, se è possibile, Signore, fammi morire sul campo di battaglia». E in qualcuna di queste lettere egli ha il presentimento chiaro che il [p. v modifica]suo voto sarà esaudito. «Se sono certo della nostra vittoria... non sono però altrettanto certo che vedrò di quaggiù tutte queste belle cose, anzi il mio presentimento mi dice che, movendo all’assalto, vado incontro alla mia liberazione».

Da quel desiderio, da questo presentimento, dalla nobiltà dell’animo suo, dalla fede sua recente e pura e ardentissima, nasce la indicibile poesia di questi scritti, nasce la gioia, la pietà, l’amore, l’ingenuità, l’abbandono, la chiaroveggenza meravigliosa onde sono tutte animate e ardenti. Analizzarle sarebbe profanazione. Ogni animo puro e ogni cuore sensitivo — ogni animo e cuore d’italiano, naturalmente aperto alla bellezza e alla bontà — troverà nelle Lettere e ne’ Colloqui una delle letture più incitatrici e consolanti in cui mai abbiano saputo fondersi e sublimarsi l’amore attivo e l’amore contemplativo dei quali Dio ha acceso l’animo degli uomini.

Della vita di Giosuè si parlerà diffusamente in capo al volume dei Colloqui: per ora [p. vi modifica]basti al lettore sapere ch’egli, nato a Livorno nel 1888 da Averardo Borsi, giornalista, fu tenuto a battesimo da Giosuè Carducci: rivelò prestissimo il suo grande ingegno e le sue rare disposizioni letterarie, tanto che chi spigolerà tra la sua produzione di adolescente, avrà più volte a farne le alte meraviglie: mortogli il padre, nel 1910, si dedicò al giornalismo, e fu per qualche tempo direttore del Nuovo Giornale di Firenze: lasciò una quantità di articoli di politica, di critica, di varietà: due volumi di versi (Primus fons e Scruta obsoleta) oltre molte rime non ancora raccolte: un volume incompiuto di novelle, Crisomiti: romanzi similmente incompiuti: e per il teatro alcuni apologhi orientali in un atto, veri gioielli, dei quali il Diadestè ebbe molta fortuna sulle scene. Ottenne pure eccellenti successi come conferenziere (specialmente in due memorabili letture dantesche tenute a Firenze in Orsanmichele) come lettore, e persino come artista drammatico, sostenendo parti importanti nelle rappresentazioni greche del Romagnoli a Siracusa, a Fiesole, a Torino. Nell’ultimo anno [p. vii modifica]della sua vita la guerra lo ebbe tutto, prima soldato volontario, poi ufficiale; tutto, fino alla morte, la quale lo colse a Zagora, il 10 di novembre, mentre guidava all’attacco il suo plotone.

Della scelta e della pubblicazione delle cose sue inedite lasciò, in una lettera unita al testamento, l’incarico all’amico suo Massimo Bontempelli, che volle anzitutto raccogliere, ordinare, pubblicare le lettere che si presentano al pubblico in questo volume.