Lettere volgari/Lettera X

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A... Soldato valoroso di Marte

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(GIOVANNI DA CERTALDO) A...


SOLDATO VALOROSO DI MARTE



Se agli afflitti è concesso di poter alto levar delle grida, e con voci toccare le orecchie del sacro Giove: che le vostre accolgano questa lettera mia vi provoco e vi scongiuro con ripetute istanze, cui rispondendo con la solita benignità potranno i vostri mansueti colloquii, se volete, e di volerlo vi prego, in molte maniere un’anima rifocillare, che spasimante delira.

Io dunque suggetto vostro, in tenebre d’ignoranza ravvolto, essere rozzo, inerte, mole indigesta ed informe, vivente senza titolo1 trovandomi tutto ’l corso della mia vita da’ giuochi della fortuna sconquassato, miserabilmente vestito, sempre in tenebrosi andirivieni laberintei, cacciato al fumo stigio di rozza gente con sempre davanti agli occhi il lutto d’agresti villani, udendone i pungenti latrati, pascendomi d’erbe, [p. 117 modifica]odorando fetori che stomacano, toccando spine di certa ruvidità, stavamene in Napoli Virgiliana, per ivi seguitare imperturbabile offciò di libertà; quando una volta mi levai prima del giorno, tutto debole e sonnacchioso, e aperto l’uscio men’andai fuora del mio tugurietto incamminandomi per l’umido lido. E già la notte cominciando a mutarsi in giorno, ed io presso la tomba di Marone passeggiandomene spensierato ed incauto: ecco d’improvviso donna gioviale, come folgore discendendo mi apparve, tutta, non so come, e per maniere, e per aspetto al mio gusto conforme. Oh come a tale apparimento stupii! tanto che parvemi d’esser diventato cosa ben da più di me stesso; anzi, io che mi conosceva una larva, e così rifinito nelle operazioni dell’anima, vegliando sempre in follia, sognava; le pupille ebbi allora talmente serrate, che bramava sapere s’io fossi desto davvero.

Alla fine il mio stordimento cessò pel romore d’un tuono, che siccome a’ lampi celesti vengon subito dietro i tuoni, così veduta appena la fiamma di quella bellezza, amor terribile ed imperioso mi prese; e fiero pari a signore, che scacciato dal suol natio, dopo lungo esilio alle sue terre ne torna, quant’era in me di contrario a lui od uccise o cacciò via, o di catene ricinse, senza opposizione d’alcuna virtù. Ma qual aspro di me governo facesse, cercatelo fuor dell’angustia di questo foglio là dove con breve calliopeo discorso in duplice modo sarà divulgato. [p. 118 modifica]

Ma che? dopo lungo travaglio, alfine maritai la grazia della mia dominatrice, che io vivace sì, ma rustichetto, breve tempo mantenni. Per altro stando nell’auge della ruota volubile senza conoscere le giravolte lubriche, gli instabili assalti, e le reciproche vicissitudini delle fortune, all’impensata essendo nato un caso da scriversi con lacrime, non con inchiostro, vengo nondimeno alla mia signora in orrore, per lo che mi trovai gittato in un abisso di mali e miserabilmente per terra. In tale stato altamente gridai più volte oime! nè valendo ingegno a racquistarne la grazia, il fazzoletto alla rossa faccia coperta di lacrime spesso accostava, il petto da varii pensieri affannato i’ soffriva; e le miserie mie, riandando pensosamente i tempi anteriori, con pianto e loquacità raddolciva. Per che non vedendo più via a racquistar salvezza, scorgendomi vicino all’ultime disgrazie mie, levato sospiro più alto, e rivoltomi coll’atto solito al cielo, a dir cominciai: o Dii celesti, soccorrete una volta alle mie pene! e tu dura fortuna finisci omai d’incrudelire: che sacrificato abbastanza con questi tormenti miei ti fu!

Allora un amico per età garbatello e del tutto ingegnosetto, per conforto mi si accostò2. Eh [p. 119 modifica]via, disse ; e proseguendo con ragionari molti e prolissi, nel nome vostro sacratissimo s'imbattè, affermando poter io metter fine alle disgrazie mie, qualora la copia delle vostre parole gustassi; ed egli come del merito vostro più certo, statone io già sicuro, soggiunse: Conobbilo in Avignone, giovine in seno alle muse dalle mani di Giove educato, del latte di filosofia nodrito, e colle scienze divine fatto robusto, e lì, discepolo del sacro vaso d’elezione rapito già al terzo cielo glorioso3, predica in pubblico recondite ed arcane dottrine. Egli è pur desso cui pennuta fama per bocca de’ suoi portatori divulga, l’adornano i costumi, e le virtudi il circondano: egli è fatto ingegnosissimo da Saturno; placido e ricco da Giove; guerriero, contra i vizii che uccidono, da Marte; lucido, regale, affabile, da Apollo; giocondissimo a tutti, da Citerea; dal Coppiere de’ numi, matematico e formale; da Ecate umilissimo, onesto. È monarca per eccellenza in queste arti: in grammatica Aristarco; in dialettica Ockano; in retorica Tullio, od Ulisse; in Aritmetica Jordano; ad Euclide pari in geometria, o seguita il siracusano Archimede; nella musica Boezio; in astrologia risuscita Tolomeo d’Egitto. Che più? moralizza qual Seneca; [p. 120 modifica]nell’operare moralmente Socrate seguitando. È nelle storie scolastiche ottimo Comestore.

Le quali cose avidamente bevendo io, lasciati i lacrimosi sospiri, mi diedi pace; e poco dopo ripresi a dire: Sì, che mi assisterà egli, presidio della libertà, della salvezza mia, se saprò l’operazioni sue indagare; ah ch’io possa per mezzo di tanto venerabil persona, che qual Fenice ha la sua monarchia oltre monti, giugnere a debellare le miserie della fortuna, l’angustie d’amore, e spogliarmi d’ogni rusticità! conoscendomi un misero, un rozzo, un inerme ed inerte, crudo insieme ed informe; dal padre di Giove fatto deforme; povero da Iperione; litigioso da Gradivo; pusillanime da Delio, da Diona sporchissimo Dioneo; da Cillenio, guercio e balbuziente; grave con turpitudine da Lucina.

Or dunque affettuosamente vi prego che per via del vostro oracolo io possa la grazia perduta riacquistare; che non desidero mica d’ornare il capo d’elmo apollineo; nè la sinistra di pallantea difesa, e dell’asta di Minerva, la destra; non di nuotare nei filosofici abissi, nè di speculare del cielo empireo il pavimento; non di vedere più sottilmente giù nell’inferno Plutone, e le stelle nell’etere trasparente splendenti, non d’intendere del primo Mobile la sostanza omogenea, uniforme; nè la Gorgone con la spada vostra tagliare.

Aspetto bensì da scolare devoto, benivolo, attento la dottrina di maestro cotanto, per mezzo [p. 121 modifica]di cui spero che l’inerzia, la mole indigesta, e l’ignoranza mia grandissima saranno di sciolte qual nebbia, ed in tenuità maravigliosa si muteranno; spero d’ottener presto quel che domando; e già cominciai devotamente a digiunare la vigilia di sì gran festa; che se non credessi, le vostre labbra strepiterebbero, ed in lacrime presto mi disfarei, novello Narciso.

Mi accorgo d’aver molte cose detto, insulsamente chiacchierando e fuori di loco; arrogandomi ufizio non mio; che a me non tocca il dettare; per lo che meriterei d’essere in istatua marmorea trasformato. Nondimeno lo feci all’ombra della fiducia in tanto maestro, aspettandone le debite riprensioni in quel che bisogna.

Bramo che stiate bene. Dalle falde del Monte Falerno ec. Vostro in ogni cosa. (Giovanni da Certaldo.)




Note

  1. La stessa espressione senza titolo si trova nel Decamerone, Giornata 4 pr. ed il Dionisi lo spiegò in senso di senza fine determinato; il che è confermato da questo luogo, come avvertì il ch. Witte.
  2. Il ch. Signor professor Carlo Witte, tanto benemerito delle lettere italiane pe’ suoi studi sopra Dante, mi fece avvertito che questo amico potrebbe essere stato Dionigi Roberti, il quale dopo una lunga dimora a Parigi passò per Avignone a Napoli appunto nel 1339, quando scrisse il Boccaccio al duca di Durazzo; ed anche le altre lettere colla data dal sepolcro di Virgilio debbono assegnarsi allo stesso tempo incirca. In quanto alla lettera la crede scritta ad un Colonnese, ovvero a Giacomo amico del Petrarca.
  3. S. Paolo.