Lezioni e racconti per i bambini/Chiacchiere/Il carbone

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Chiacchiere
Il carbone

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Il carbone.


Il carbone, a giudicarlo dalle apparenze, non ha alcuna importanza. È una materia nera, polverosa, imbarazzante, che si butta nel cantuccio più scuro di cucina, che non si tocca altro che colle molle o la paletta: a toccarlo con le mani, Dio liberi! C’è da farsele diventar nere come quelle d’un carbonaio. Infatti i carbonai sono sempre così neri, che quando accade loro di lavarsi il viso in qualche circostanza solenne, per esempio quando sono sposi, non paiono più i medesimi.

E, volendo esser giusti, dove volete trovarmi una cosa più utile del carbone? Col carbone si cuoce il desinare, si scaldano i ferri da stirare, si purifica l’acqua delle fonti, si disinfettano le carni un po’ stracche, si rende bevibile il brodo inacidito, ecc. ecc.

Finalmente il carbone è impiegato in vari usi importantissimi, dei quali non potrei parlarvi in queste lezioncine: vi basti che esso serve a moltissime applicazioni della medicina e delle industrie.

Ma di che cosa è fatto questo benedetto carbone e perchè è così nero? Questo carbone, bambini [p. 175 modifica]miei, non è altro che legno carbonizzato, cioè legno trasformato in carbone dal fuoco: ciò che non vuol dir bruciato. Quando il fuoco brucia le cose, le distrugge, e non ne lascia che le ceneri, come avviene delle legna nel camino e del carbone nel fornello: questa si chiama combustione: ma quando gli oggetti sono solamente mutati in carbone, allora ciò si chiama carbonizzazione. La carbonizzazione non distrugge i combustibili; ma li lascia sussistere nella loro forma primitiva: infatti vedrete che il carbone conserva la sua forma cilindrica di rami d’albero.

Quando quei rami pendevano dai loro alberi erano certo d’un altro colore: ora sono neri, poichè qualunque oggetto diventa nero trasformandosi carbone.

Per convincervene, fate carbonizzare una bacchetta di legno bianco, un orliccio di pane, un osso di animale, una frutta qualunque dentro un vaso, ben chiuso, dove il fuoco possa esercitare la sua azione, senza trovarsi a contatto dell’aria: voi ritirerete tutti questi oggetti, neri, carbonizzati, cioè divenuti carbone.

Ma bisogna che tutte coteste cose sieno state private dell’aria, se no sarebbero bruciate irremissibilmente: e invece d’una carbonizzazione, avreste una combustione.

[p. 176 modifica] Gli operai che fabbricano il carbone e che sono i veri carbonai (quegli uomini neri che vediamo giungere alle nostre case, colle loro balle sul dorso, non sono altro che portatori di carbone) abitano quasi sempre in mezzo a’ boschi, per essere vicini alla materia necessaria al loro lavoro, e per non essere obbligati di trasportare da un luogo all’altro tante enormi quantità di legno.

La loro casa è una povera capanna, fatta con dei rami piantati in terra su due linee parallele, l’uno in faccia all’altro, incrociati in alto a uso X, e rilegati da un altro ramo disteso per lo lungo su tutte le X, in modo da formare la vetta o il comignolo. Gl’intervalli da un ramo all’altro sono colmati da delle smotte di terriccio, che formano come due muri inclinati: uno solo di questi intervalli resta aperto per l’entrata e l’uscita. Del resto, nè usci, nè finestre, nè camini. Il mangiare se lo cuociono in terra con dei frammenti di carbone: i tronchi degli alberi fanno loro da seggiole e i grandi ammassi di foglie secche servono da letto. Il legno più stimato per far carbone è quello di quercia e di càrpino, che sono le più belle specie d’alberi, di cui si compongono le nostre foreste. Si fa anche del carbone con un legno fino e leggiero che si chiama ontano.

Il legno dell’ontano è così leggero, che per [p. 177 modifica]ottenere dodici chilogrammi di carbone, occorre impiegarne 100. Ed è per ciò che invece di venire impiegato per gli usi di cucina, serve alla fabbricazione della polvere da cannone.

I rami d’albero destinati a diventar carbone, tagliati in lunghezza eguale, circa metri 0,80, sono trasportati dai carbonai e ammassati in modo da formare un’alta capanna, alla quale non lasciano che un’apertura in cima, per introdurvi il fuoco e farne uscire il fumo. Questa capanna viene chiamata una carbonaia, ed ha da 6 a 8 metri di diametro e contiene da 24 a 40 steri di legno.

Si ricuopre quindi la carboniera con uno strato di terriccio, affinchè non vi possa penetrar l’aria; poi si accende il fuoco e si lascia agire, finchè la carboniera non è interamente carbonizzata. Quest’operazione richiede ordinariamente dalle 20 alle 24 ore, durante le quali il carbonaio non cessa dal sorvegliare il lavoro e di buttare delle palettate di terriccio in quei luoghi dai quali fa capolino il fuoco.

Quando l’operazione è finita e il legno è carbonizzato, si spegne il fuoco, tappando anche l’unica apertura, dopo di che si lascia che la carboniera freddi. Dopo un giorno o due, si butta giù lo strato del terriccio e si estrae il carbone con degli uncini di ferro: e quand’è del tutto freddo, si ripone
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[p. 178 modifica]nelle balle per esser venduto ai mercanti in di grosso, i quali lo rivendono ai mercanti al minuto, e questi alle famiglie.

Ma accanto a tutti i servigi che ci rende il carbone è pur da notarsi un grave inconveniente, il quale, trascurato, potrebbe costarci la vita.

Il legno di cui sono fatti gli alberi, è composto in gran parte d’un gaz chiamato — gaz carbonico — Questo gaz che si sprigiona dal legno in combustione, si sparge nell’aria: i rami che non sono stati bruciati, ma solo carbonizzati, hanno conservato lo stesso gaz carbonico di quando pendevano dagli alberi; e questo si separa da loro, allorchè bruciano allo stato di carbone.

Se dunque, in una stanza brucia del carbone, abbiate cura di aprire un uscio o una finestra, dalla quale possa uscire questo gaz micidiale, il quale, dopo averci prodotto nausee, giramenti di capo, dolori al cuore e soffocazioni, finirebbe coll’asfissiarci.

Da ciò vediamo che il carbone può farci molto bene e molto male: sta a noi il saper profittare dei vantaggi che esso ci dà, e il sapere sfuggirne i pericoli. Iddio ha messo a nostra disposizione tante e tante cose mirabili, affinchè ce ne serviamo pel nostro bene.