Liombruno/Cantare primo

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Cantare primo

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Liombruno Cantare secondo

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CANTARE PRIMO

1
Onnipotente Dio che nel ciel stai,
Padre celeste, Salvator beato,
che tutt’il mondo con tua man fatt’hai,
e regge il tuo saper in ogni lato,
e re di ciascun re chiamar ti fai,
tanto favor da te mi sia donato
che possa dire un bel cantar per rima
ch’a ciascun piaccia, dal piede alla cima.
2
Signori, intendo che per povertade
molti nel mondo son mal arrivati,
hanno perduto la lor libertade,
la povertá sí forte gli ha cacciati;
ed io vi conterò con veritade
d’un poveru’omo gli anni mal menati,
come per povertá venne in periglio,
convenne dar al diavolo un suo figlio.
3
Il pover’uom si era pescatore,
ed ogni giorno n’andava a pescare,
per sua disavventura a tutte l’ore,
che poco pesce gli venía pigliare.
Terra né vigna non avea di fuore;
ben tre figliuoli aveva a nutricare.
La donna sua, fresca come rosa,
viveva del pescar, non d’altra cosa.

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4
Una mattina il buon uom si levòe,
con la barchetta a pescar ne fu andato,
niente di pesce il giorno non pigliòe,
onde l’uom si fu forte corrucciato.
A un’isoletta del mare arrivòe
e quivi un grande diavolo ha trovato.
E’ sí gli disse: — Che mi vuo’ tu dare,
se ti dono del pesce da mangiare? —
5
Ed ei rispose: — Da poi che tu puoi,
a me comanda ciò che posso fare. —
Parlò il demonio co’ sembianti suoi
e sí gli disse: — Se mi vuoi menare
su l’isoletta un de’ figliuoli tuoi,
e mi prometti di non m’ingannare,
io ti darò del pesce per ristoro,
moneta assai e con argento ed oro. —
6
E quel buon uomo n’ebbe gran dolore;
per povertá convien che lo prometta.
Cosí gli disse: — Io ti darò il minore
e menerollo su questa isoletta. —
E ’l mal diavol non fece altro romore;
pigliò del pesce ed empiè la barchetta,
moneta gli die’ assai, se lo portasse,
e disse: — Io t’annegherei, se m’ingannasse! —
7
E quel buon uomo gli rispose ardito:
— E’ certamente non t’inganneròe —
e poi inverso casa ne fu gito;
con tutto il pesce assai dinar portòe
e di buon vestimenti fu vestito.
La madre ed i figliuo’ ben addobòe,
di vettovaglia la casa ha fornita;
ma del figliuol aveva gran ferita.

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8
E poi chiamò il suo figliuol minore
nella barchetta e con seco il menòe;
dentro del cuor n’aveva gran dolore,
e, navigando, a l’isola arrivòe,
della barchetta sí lo trasse fuore,
dicendo: — Aspetta sin ch’io torneròe. —
Cosí lasciò il figliuol con tale inganno,
che non avea passato l’ottavo anno.
9
Quel buon uomo di quivi fu partito,
ché del figliuol non vuol veder la morte.
Il grande diavol quivi parse, ardito,
e via lo vuol portar per cotal sorte.
E quel fanciullo forte fu smarrito,
ché non avea nessuno che ’l conforte;
ma per virtú di Cristo si facía
il segno della croce, e quel fuggía.
10
Rimase quel fanciul con gran paura,
solo soletto su quella isoletta.
Guarda e vi vide sopra nell’altura
una donna, ch’è in forma di donzella,
e un’aquila pareva in sua figura.
Ed al fanciullo se ne venne quella
e sí gli disse: — Non ti dubitare,
ché di questa isoletta ti vo’ trare. —
11
Disse il fanciullo: — Non mi vo’ partire,
perché mio padre qui debbo aspettare. —
L’aquila allora sí gli prese a dire:
— Dov’è tuo padre, ti vuo’ ben portare. —
E prese quel fanciul, senza mentire,
sopra nell’aria cominciò a volare,
e tanto in alto l’aquila il portòe,
sí che e’ capegli al fanciullo abbruciòe.

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12
Poi gli mostrò il paese soprano
e ’l suo castello, ch’era in lunghe parte:
quattrocento giornate era lontano
e piú ancor, fanno menzion le carte.
Quell’aquila con quel fanciullo altano
in una notte sí v’andò per arte,
che la sera dall’isola il traeva,
e la mattina al suo castel giungeva.
13
E poscia in una sala molto bella:
— Ora m’aspetta fin ch’io torno — disse;
entròe in zambra e diventò donzella,
pareva che del paradiso uscisse,
ché riluceva piú che non fa stella;
assimigliava il sol che in ciel venisse!
Era vestita di molti bei panni
e non avea passato ancor diec’anni.
14
Questa fanciulla, la quale io vi dico,
sí si chiamava madonna Aquilina,
che scampò quel fanciullo del nimico,
quando lá il trasse, fuor dalla marina.
Andò da lui e disse: — Bello amico,
Iddio ti doni la bella mattina!
Io son colei che sí alto ti portai,
quando da quel diavolo ti scampai. —
15
E quel fanciullo con buon argomento
cortesemente assai la ringraziòe,
e dissegli: — Madonna, io son contento,
e vostro servitor sempre saròe. —
Ella rispose: — Non ti dar spavento,
ché ancora piú contento ti faròe. —
Ella aveva dieci anni ed egli sette
e vergin piú d’otto anni ancora stette.

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16
Infra quel tempo lo misse a studiare
con un maestro, e da lui bene imprese,
ed imparò a scrivere ed a giostrare,
e venne in arme prodo uom palese.
Ai suoi colpi niun potea durare,
e ben dicea ciascun di quel paese:
— Quest’è figliuol di conte e di barone! —
tanto era adatto e di bella fazzione.
17
Quando cresciuti furono in etade,
egli pareva un giglio, ella una rosa,
e quella donna piena di beltade
disse: — Il mio cuore non ará mai posa,
se non adempio la mia voluntade:
piacciati al tutto che io sia tua sposa:
poiché allevato t’ho, donzel gradito,
ora ti piaccia d’esser mio marito. —
18
E quel fanciullo con buona dottrina
cosí cortesemente ebbe parlato,
e sí gli disse: — Madonna Aquilina,
con gran fatica m’avete allevato.
Voi mi campaste fuor della marina;
ciò che a voi piace sono apparecchiato. —
Ed il suo nome disse a ciascheduno;
la gente sí lo chiama Leombruno.
19
Egli sposò la donna in cotal sorte,
ella sua sposa ed ei per suo marito.
Il suo castello gli era tanto forte,
di ciò che bisognava era fornito,
fino nell’aria aveva ben due porte
fatte per arte, e molto ben guernito.
Persona alcuna entrar non vi potea,
se madonna Aquilina non volea.

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20
Liombruno sapea l’incantamento,
a suo diletto n’usciva ed entrava
e spesso vi facea torniamento
di belle giostre al tutto s’approvava.
E quella donna, piena di contento,
di giorno in giorno sempre piú l’amava,
perch’era bello e pien di leggiadria,
sí che la donna gran ben gli volía.
31
Standosi un giorno tutto nequitoso,
la bella donna sí gli ebbe parlato,
e sí gli disse: — Viso mio amoroso,
perché mi sta’ tu tanto corrucciato? —
A lei rispose Liombruno sposo:
— Madonna, un gran pensier si m’è levato:
i miei fratelli vedere io vorria
ed il mio padre e madre in compagnia. —
22
Disse la donna: — Se tu vuoi andare,
io vo’ che m’imprometta, senza inganno,
al termin ti darò, di ritornare.
Voglio che torni avanti che sia l’anno. —
E Liombruno sí prese a parlare:
— Madonna, e’ sará fatto senza affanno. —
Ed ella allora gli donò un anello,
che da disagio scampasse il donzello.
23
— Ciò ch’arai — disse — a l’anel domandare
tu l’averai tutto al tuo piacere;
danari e robba, senza dimorare,
ti sará dato a tutto tuo volere:
ma guarda di non mi manifestare,
ché mai piú grazia non potresti avere;
e fa’ che fino a un anno tu ritorni
e, se piú stai, non varchi quattro giorni. —

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24
E Liombruno disse: — Volentieri! —
E quella donna, sí bella e gradita,
innanzi ch’ei partisse a tal mestieri,
ben quattro dí fe’ far corte bandita,
e ’l fece fare ancora cavalieri:
fecegli cinger la spada forbita.
E, fatto questo, si prese commiato;
e «messer» Liombruno era chiamato.
25
Avea d’andar giornate quattrocento
innanzi che in suo paese arrivasse;
ma quella donna per incantamento
sí ordinò ch’egli s’addormentasse;
a l’arte fe’ da poi comandamento
che in suo paese tosto lo portasse.
La sera Liombrun s’addormentòe,
la mattina al paese suo arrivòe.
26
E, quando venne su l’alba del giorno,
si fu allor Liombruno risvegliato,
rizzossi in piedi e guardossi da torno
e ’l bel paese ha ben raffigurato.
E Liombrun, quel cavalier adorno,
umilemente Dio n’ha ringraziato
ed a l’anello grazia egli chiedía:
ciò che ’l comanda, tutto gli venía.
27
Per la virtú ch’aveva quel anello,
in prima sí ei richiese un buon destrieri;
di vestimenta poi ’dobbato e bello,
come bisogna a ciascun cavalieri;
una valigia poi appresso a quello,
fornita di fiorini a tal mestieri;
e gente gli chiedeva senza fallo:
assai ci venne a piedi ed a cavallo.

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28
Con questa gente e con quei suo’ danari
andò a la casa e ritrovò suo padre
e’ suoi fratelli e’ suoi parenti cari,
e quella robba presentò alla madre.
Non si mostrorno i suoi parenti avari
verso di lui e tutte le sue squadre,
ma, visitandol, diceva ciascuno:
— Ben sia venuto messer Liombruno! —
29
I suoi parenti dicean tutti quanti:
— O Liombruno, dove sei tu stato? —
E Liombruno a lor rispose avanti:
— In veritade io ho ben guadagnato
e sono stato con ricchi mercanti,
che m’han cosí vestito ed addobbato,
pel ben servire ched io ho fatto loro
m’han fatto cavalier a speron d’oro. —
30
Ben nove mesi stette con presenti,
che li facevan ciascuno d’onore.
Li si provava amici con parenti;
in quelle giostre, pien di gran valore,
spesso facea di ricchi torniamenti.
E Liombrun di tutti avea l’onore.
Passati nove mesi, e’ prese a dire
a’ suo’ parenti: — E’ mi convien partire,
31
ché a quelli mercatanti io n’ho promesso
innanzi passi un anno di tornare. —
Que’ suoi parenti si dissono: — Adesso,
o Liombruno, dove vuoi tu andare?
Sappi, il re di Granata sta qui appresso,
una sua figlia sí vuol maritare;
e ’l torniamento ha giá fatto bandire
che chi la vince, seco de’ venire. —

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32
E Liombruno questo dire udía,
li venne in cuor di provar sua ventura,
ed a l’anello subito chiedía
un bel destriero con buona armadura.
E ciò ch’ei domandò, tutto venía.
Liombruno d’armarsi allor procura;
da suoi parenti comiato pigliava,
e ciaschedun di loro lagrimava.
33
E Liombruno si prese comiato,
tanto cavalca che giunse in Granata,
lá dove torniamento era ordinato
e la gran giostra era cominciata.
E l’altro giorno se n’andò sul prato,
dove la gente era giá ragunata.
Ivi era un saracin tanto possente,
che della giostra quasi era vincente.
34
Quel saracin avea tanta fortezza,
che niun a lui si gli volea accostare
però ch’egli era prode e pien d’asprezza;
a suoi colpi nessun potea durare.
E Liombruno, pien di gentilezza,
a lui davanti s’andò a presentare.
E disse il saracin: — O a me ti rendi,
o, se tu vuoi giostrar, del campo prendi. —
35
E Liombruno disse: — Volentieri! —
Arditamente del campo pigliava.
E ’l saracin, che si tenea de’ fieri
sul buon destrier allora s’affermava;
e rivoltossi il nobil cavalieri:
l’un verso l’altro forte speronava.
I cavalieri furon riscontrati:
or udirete i colpi smisurati!

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36
Il saracino e messer Liombruno
si vennero a ferir arditamente;
due gravi colpi si dette ciascuno;
ma pur il saracin si fu perdente;
arme ch’avesse non gli valse un pruno
ché Liombruno, nobile e possente,
il ferro e l’asta nel cuor gli cacciòe,
giú del destriero morto lo gittòe.
37
Caduto in terra morto il saracino,
Liombruno nel campo si feria,
quanti ne giugne mette a capo chino
e ciaschedun gli donava la via,
e ben pareva un franco paladino.
Con alta voce ciaschedun dicía:
— Non combattete piú, franco signore,
del torniamento è giá vostro l’onore! —
38
Il re si fe’ venire il cavaliere
e sí gli disse: — Baron valoroso,
la mia figliuola sará tua mogliere,
e tu sarai mio genero e suo sposo. —
E Liombruno disse: — Volentiere,
se ciò vi piace, alto re valoroso. —
Ma, innanzi che quel re gliel’abbia a dare
co’ suoi baroni si vuol consigliare.
39
Il re i suoi baroni ha domandato,
disse: — Che ve ne par del cavaliere?
Voi ’l dovete saper — ebbe parlato —
forse che in suo paese egli ha mogliere,
e non mi par di cosí gentil stato,
ched a noi si confaccia tal mestiere,
benché sia prode e pien di gagliardia,
a noi non par che convenente sia.

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40
Ma, se per nostro senno si dee fare,
ordinarete che ciascun si vanti,
e dopo il vanto, senza dimorare,
ognun il suo ne provi a noi davanti. —
E l’altro dí si fece ritornare
in su la sala i baron tutti quanti,
ed ordinò che ciascun si vantasse,
e poscia il vanto innanzi lui provasse.
41
Chi si vantava di bella mogliere,
chi si vantava di bella magione,
chi di caval corrente e buon destriere,
chi di gentil sparviero o di falcone,
chi di palazzi o di gran torri altiere,
chi si vantava di tal condizione;
e, quando ciaschedun si fu vantato,
messere Liombrun fu domandato.
42
Dissegli il re: — Perché non vi vantate? —
E Liombruno sí gli respondía:
— Sacra corona, ora mi perdonate. —
Ed ei rispose: — Perdonato sia. —
E Liombruno disse, in veritade:
— Ed io mi vanto della donna mia;
piú bella donna non si può trovare,
ed infra venti giorni il vo’ provare! —
43
— Termine mi domandi venti die —
rispose il re — ed io te ne vo’ dar trenta. —
Liombruno all’anello disse lie:
— Donna Aquilina presto m’appresenta! —
E quella donna, perché a lei fallíe,
non vuol venire, acciò ch’egli si penta.
E passò trenta giorni senza resta,
alli trentun dovea perder la testa.

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44
A trentun dí la donna fu venuta,
e fuor della citta si ritenía:
una donzella suo vestir aiuta,
mandolla al re e a la sua baronia.
E, quando il Re costei ebbe veduta,
ch’era piena di tanta leggiadria,
disse a Liombruno: — È questa tua mogliere? —
Ei rispondea: — No, dolce messere. —
45
Poi una cameriera gli arrivava
davanti al re e gli altri suoi baroni;
e, quando il re costei si riguardava,
che l’era tanto bella di fazzione,
inverso Liombruno egli parlava:
— È questa moglie tua, gentil campione? —
Liombrun disse con dolce favelle:
— Signor mio no, ma ambedue son donzelle. —
46
E madonna Aquilina fu arrivata
col suo bel viso, che rendea splendore:
davanti al re si fu appresentata,
poi di lí si partí senza tenore.
E, quando il re costei ebbe guardata
— Liombrun — disse, — nobile signore,
or mi perdona per tua cortesia! —
— Perdonate a me voi! — Liombrun dicea.
47
E Liombrun da lui prese commiato,
e dietro la sua donna se ne gía.
Ella l’aspettò suso in un bel prato;
Liombrun perdonanza gli chiedía.
Ed ella disse: — Falso rinnegato,
della tua morte non m’incresceria! —
Per altra via la donna se n’andava,
né arme né caval non gli lasciava.

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48
Né arme né caval non gli lasciòe.
Liombruno in un bosco ne fu entrato:
tre malandrini dentro vi trovòe,
che ciaschedun pareva disperato.
Nel secondo cantare i’ vel diròe,
ciò che al cavalier gli fu incontrato.
Di Liombruno è giá detto un cantare.
Darem principio l’altro, a cominciare.