Lirica (Ariosto)/Capitoli/XI. - Bella Firenze sopra ogni cittá...

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XI. - Bella Firenze sopra ogni cittá...

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XI. - Bella Firenze sopra ogni cittá...
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XI

Bella Firenze sopra ogni cittá italiana; ma non vale a rasserenare
il suo cuore turbato perché lontano dalla sua donna.

     Gentil cittá, che con felici augúri
dal monte altier che forse ben per sdegno
ti mira sí, qua giú ponesti i muri,
     come del meglio di Toscana hai regno,
5cosí del tutto avessi! ché’l tuo merto
fora di questo e di piú imperio degno.
     Qual stil è sí facondo e sí diserto
che de le laudi tue corressi tutto
un cosí lungo campo e cosí aperto?
     10Del tuo Mugnon potrei, quando è piú asciutto,
meglio i sassi contar che dir a pieno
quel ell’ad amarti e riverir m’ha indutto,
     piú presto che narrar quanto sia ameno
e fecondo il tuo pian, che si distende
15tra verdi poggi insin al mar Tirreno;
     o come lieto Arno lo riga e fende,
e quinci e quindi quanti freschi e molli
rivi, tra via, sotto sua scorta prende.
     A veder pien’ di tante ville i colli,
20par che ’l terren ve le germogli, come
vermene germogliar suole e rampolli.
     Se dentro un mur, sotto un medesmo nome,
fusser raccolti i tuoi palazzi sparsi,
non ti sarian da pareggiar due Rome.
     25Una so ben che mal ti può uguagliarsi,
e mal forse anco avria possuto prima
che li edifici suoi le fussero arsi
     da quel furor che usci dal freddo clima
or de’ vandali, or de’ eruli e or de’ goti,
30 all’italica rugine aspra lima.

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     Dove son se non qui tanti devoti,
dentro e di fuor, d’arte e d’ampiezza egregi
témpi e di ricche oblazion non vuoti?
     Chi potrá a pien lodar li tetti regi
35de’ tuoi primati e portici e le corti
de’ magistrati e publici collegi?
     Non ha il verno poter ch’in te mai porti
di sua immondizia; se ben questi monti
t’han lastricata sino alli angiporti.
     40Piazze, mercati, vie marmoree, ponti,
tali belle opre de’ pittori industri,
vive scultore, intagli, getti, impronti;
     il popul grande e di tanti anni e lustri
l’antique e chiare stirpi, le ricchezze,
45l’arte, li studi e li costumi illustri,
     le leggiadre manere e le bellezze
di donne e di donzelle, a cortesi atti
senza alcun danno d’onestade avezze;
     e tanti altri ornamenti che ritratti
50porto nel cor, meglio è tacer ch’ai suono
di tanto umile vena se ne tratti.
     Ma che larghe ti sian d’ogni suo dono
Fortuna a gara con Natura, ahi lasso!
a me che val se in te misero sono?
     55se sempre ho il viso mesto e il ciglio basso,
se di lacrime ho gli occhi umidi spesso,
se mai senza sospir non muto il passo?
     Da penitenzia e da dolore oppresso
di vedermi lontan da la mia luce,
60trovomi sí ch’odio talor me stesso.
     L’ira, il furor, la rabbia mi conduce
a biastemiar chi fu cagion ch’io venni,
e chi a venir mi fu compagno e duce,
     e me che senza me, di me sostenni
65lasciar, oimè! la meglior parte, il core,
e piú all’altrui ch’al mio desir m’attenni.

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     Che di ricchezza, di beltá, d’onore
sopra ogn’altra cittá d’Etruria sali,
che fa questo, Fiorenza, al mio dolore?
     Li tuoi Medici, ancor che sieno tali
che t’abbian salda ogni tua antica piaga,
non han però rimedio alli miei mali.
     Oltr’a que’ monti, a ripa l’onda vaga
del re de’ fiumi, in bianca e pura stola,
cantando ferma il sol la bella maga,
     che con sua vista può sanarmi sola.