Lu rebellamentu di Sichilia - Palermo (1882)/Introduzione

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Introduzione

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Codice
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I
l codice che pubblichiamo, come nostro contributo nella commemorazione secolare del Vespro Siciliano, viene ora per la prima volta a luce nella sua integrità originale.

Da qual mano sia uscito questo codice, e dove, e quando, sinoggi e ignoto. Esso è in-4 piccolo (cm. 9,3x6,5) scritto in nitido carattere romano, e contiene ff. 34, a 22 linee per faccia. I richiami e i numeri arabici al recto furono aggiunti da mano posteriore, ma pure antica: più recenti sono le postille, che leggonsi ne' margini, per la più parte in lingua spagnuola, con altre poche in italiano.

È in carta bambagina, diviso in paragrafi colle iniziali in rosso o azzurro invariabilmente alternate. Dalla prima all'ultima pagina alle [p. VI modifica]parole in nero qua e là è soprapposto il rosso. La iniziale del primo paragrafo è adorna d'un piccolo fregio a colori, sebbene rozzamente.

II codice, che probabilmente ebbe origine in Messina o Catania, rimase sconosciuto finchè venne in potere del principe Domenico San Giorgio Spinelli di Napoli, forse dalla famiglia messinese San Giorgio duca di Ossada. L'illustre senatore Michele Amari potè averlo in mano per un momento, e così pubblicarne il titolo nella prima edizione della Guerra del Vespro. (Palermo 1842, App. pag. 292).

Lo Spinelli letterato ed insigne numismatico occupò per parecchi anni la carica di soprintendente generale de' Musei e degli Scavi di Napoli, e morì nell'aprile del 1863. I suoi libri co' non pochi manoscritti (14,000 vol.) nel 1870 passarono in mano del libraio napolitano Giuseppe Dura. Il nostro codice cadde allora sott'occhio del ch. commendatore del Giudice, che ne fece avvertito l'Amari. L'autore della Guerra del Vespro non potea lasciarsi sfuggire il prezioso cimelio, e senza tempo in mezzo ne fece acquisto a nome del Ministro d'Istruzione pubblica (on. Correnti) col patriottico intento di farlo spedire in Palermo. Infatti nello stesso anno fu a noi inviato per uso della Biblioteca Nazionale, che ne pagò il prezzo (L. 200).

Ci guarderemo dall'entrare nel merito storico della Cronaca, che ha dato materia ad opposti apprezzamenti, massime in questi ultimi anni. [p. VII modifica]L'Amari riguarda come romanzo storico il racconto di Giovanni da Procida, e ne ha tale convincimento, che lo trovate ripetuto nelle prefazioni delle molteplici edizioni della Guerra del Vespro dal 1842 sinoggi, e via più ribadito nel suo Racconto popolare di detto Vespro, testè dato alle stampe in Roma co' tipi del Forzani.

Gli oppositori sono molti e tra questi vi hanno uomini egregi, de' quali non è ultimo il ch. Vincenzo Di Giovanni, che a' lavori pubblicati ne prepara oggi de' nuovi per la solenne commemorazione del Vespro.

Forse verrà tempo in cui le due opposte opinioni saranno conciliate, quando la sommossa palermitana sarà separata dalla inaugurazione della monarchia aragonese. Giovanni da Procida in quel periodo si diè moto, e fu anima e braccio nella congiura, ma fu estraneo nella strage del Vespro, come fu protagonista nella chiamata e nella esaltazione di re Pietro. Lo stesso Amari, che nega la congiura del Vespro, non la nega negli altri avvenimenti. «I contemporanei, ei dice, facilmente potevano fondere i due periodi, cioè il movimento spontaneo del popolo palermitano e la macchinazione de' baroni, e ritenere come congiura un fatto non preparato da uomini, ma cagionato da caso fortuito, perchè gli animi eran disposti dall'antagonismo nazionale» (Ediz. citata cap. VI). E nel Racconto Popolare più volte ne ripete il pensiero, scrivendo che la congiura [p. VIII modifica]avea radice in Sicilia, ma non fu causa immediata della sommossa palermitana (pag. 96) ed altrove: «La congiura operavasi per chiamare la monarchia aragonese, nel vespro non già» (pag. 101).

Ma non è di questo che vogliamo qui ragionare. II nostro compito è ristretto alia pubblicazione del codice per rivendicarne la priorità sugli altri finora conosciuti. E lasciando d'intrattenerci del Codice Vaticano, o liber Jani de Procida, della Leggenda Modenese, ovvero del testo della nostra Biblioteca comunale, mss. ben noti dopo varie pubblicazioni, specialmente dell'Amari e del Di Giovanni, ci fermiamo sopra una copia del Rebellamentu, scoperta dal ch. bibliotecario Pasquale Castorina sin dal 1870 nell'archivio comunale di Catania, e rimasta sinora ignota a tutti. Noi ne abbiamo avuto notizia da pochi giorni in seguito alle ricerche fatte sull'assunto nelle principali città dell'Isola. Dagli estratti che ci ha spedito cortesemente il Castorina, si rileva essere una copia tanto fedele del nostro codice o di altro somigliante, quanto che l'uno potrebbe sostituirsi all'altro, salvo pochi mutamenti ne' nessi, nelle iniziali e nella grafia di parecchie lettere.

Il ms. catanese fa parte d'un volume di atti diversi raccolti negli anni 1633 e 1634, ed è registrato a 15 ottobre, 2.a indizione, 1633, e firmato da Orazio Tornabene, giurato di quel tempo. II carattere è della stessa mano di chi scrisse [p. IX modifica]la registrazione, dal che conchiude il Castorina, essere stato certamente trascritto o fatto esemplare per ordine del Senato nel 1633. II testo catanese per quanto prezioso è dunque di data certa del secolo XVII.

Della medesima epoca è la copia del nostro insigne storico Pietro Carrera, che la estrasse di proprio pugno probabilmente dal testo succennato, modificandone la grafia in una forma più italiana, come la leggiamo nella nostra Biblioteca comunale, che n'ebbe un esemplare non si sa quando nè in qual modo, e come la pubblicò il Gregorio nel vol. primo della Biblioteca Aragonese (pag. 264 e seg.) e la riprodusse il Di Giovanni novellamente riscontrata col detto esemplare, colla Leggenda Modenese e col Codice Vaticano (Bologna 1865).

Al contrario il nostro codice risale probabilmente al cadere del secolo XIII, ed è coevo alla Guerra del Vespro, come si rileva dalla carta, dai caratteri, dai nessi, dallo stile, dagli stessi fregi che l'adornano. È probabile che di buon'ora sia venuto in mano dei PP. Benedettini di San Nicola dell'Arena di Catania, strenui raccoglitori di codici e di pergamene, com'è probabile che dopo sia caduto in potere di agiati patrizi, che lo tramandarono intatto per tanti secoli sino all'illustre principe San Giorgio Spinelli.

Il Testo Vaticano e la Leggenda Modenese sono anch'essi di data molto antica, forse del secolo [p. X modifica]XIV, tanto che sono stati pubblicati come codici originali, ma in fatto sono copie. Possiamo dirli coll'Amari, paralleli al nostro, salvo qualche aggiunta o qualche omissione; ma il Siciliano è il capofila, gli altri sono seguaci o traduttori di esso. La lezione è più o meno conforme all'originale, secondo il tempo in cui avvenne l'esemplazione, e secondo la capacità di chi li trascrisse. Il Testo Vaticano risente l'imperizia dell'amanuense, e quello della Bibl. Modenese è spigliato e pulito (V. Di Giovanni, Cod. Vaticano pag. X).

Fra i testi sopra cennati il solo che copiò fedelmente l'originale Spinelliano, è il catanese, il quale si distingue dagli altri eziandio nella variante ricordata dall'Amari (V. qui appresso nota 40) che da noi è stata chiamata omissione. È un salto dell'amanuense di alcuni righi, ne' quali è descritta la carneficina de' francesi, fatta dai palermitani, nelle piazze della città, appena tornati dalla chiesa di S. Spirito. Intraru intra lachitati cum grandi rimuri et foru pli plazi, et quanti franchiskj trouauanu, tucti li auchidianu. (pag. 56).

Questo salto non solamente è nella copia del Carrera, ma nel Codice Vaticano, e nella Leggenda Modenese, secondo che si può osservare nell'Appendice di questo libro, nella quale col facsimile del codice originale abbiamo pubblicato lo stesso squarcio giusta la lezione de' due cennati testi. Per contrario il ms. catanese riproduce [p. XI modifica]fedelmente le parole omesse dagli altri, come ciascuno potrà osservare nella pubblicazione che tra non guari ne farà il lodato Castorina.

Nel qual riscontro, come prova incontrastabile della perfetta somiglianza de' due codici, non solamente si vedrà la copia fedele del passo citato, ma l'omissione delle parole delle due pagine 84 e 86 da noi segnate nelle note 64 e 68. II ms. catanese ritrae identificamente le parole: si liuau luconti di edissi — vidiritj lu meu et di li nostri caualeri, nelle quali il di e il meu restano in sospeso.

Ad ogni modo nella commemorazione del Vespro si avrà completa la serie de' vari testi del Rebellamento Siciliano: quello cioè del Codice Vaticano, della Leggenda Modenese e del Carrera per cura della benemerita Società di Storia patria; il Catanese per opera del lodato Castorina, e con essi il nostro, che or qui diamo, accompagnato dal testo del Gregorio secondo la lezione del Di Giovanni, e corredato da alquante note ed illustrazioni de' passi dubbi, non ancora da altri sufficientemente rischiarati.

Palermo, nel marzo 1882.

F. Evola.