Mab

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Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1878 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu sonetti Mab Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

Quando Rondine
Questo testo fa parte della raccolta XIV. Da 'Iside'
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XVIII

MAB


Mab vocor atque iocor : nigris me linquere corvis
gaudeo; subque dio teneros insector amores.



Mentre ai gelidi passaggi
del crepuscolo s’abbruna
la foresta, e si richiudono
nelle siepi i tenui fior;
5e fan tresca in cima ai faggi
gli scoiattoli alla luna,
e i mastini intorno latrano
nello stabbio dei pastor;
Mab, la piccola reina
10delle fate, in veste azzurra,
che ha per cocchio un guscio d’ebano
e due corvi per destrier,
sulla fonte cristallina,
che fra l’eriche susurra,
15aU’ombria d’un bianco mandorlo
va cantando i suoi pensier.
Gira gira la tua ruota,
bella Parca;
lancia lancia, buon pilota,
20la tua barca;

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passa lieve sul quadrante,
sfera errante;
metti nido nel mio core,
dolce Amore;
25mentre d’astri il ciel s’ammanta,
noi si canta:
— Da qual madre, a qual ora, in quali sponde
venni alla vita, indovinar non so.
Ne lo sanno quest’acque e queste fronde,
30né questa luna, che va pellegrina
di collina in collina,
e mai del mio natal non mi parlò.
Mi rammento dell’Asia, e vidi i sassi
di Ninive e di Menfi, e udii nitrir
35il cavallo di Ciro, e a tardi passi
mirai per le stellate arabe lande
l’aspro cammello e il grande
dromedario le armate orde seguir.
In margine all’Egeo vidi i misteri
40d’Ecate; e nei latini antri l’altar
d’Uia bendata; e i popoli guerrieri
spaurir colle truci aquile il mondo,
e lunge il furibondo
Odoacre l’enorme asta agitar.
45Quel di non piú nelle romulee cene
d’allegra spuma il calice fiori,
e di Chiara e Cloe, dolci sirene,
bagnar la chioma i molli unguenti invano,
e sul triclinio arcano
50il gemito d’Amor piú non s’udí.

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Elmi di ferro ed orride zagaglie
vennero, e i numi non sentir pietá.
E fu misto l’incendio alle battaglie,
e dalla verde tiberina valle
55le barbare cavalle
vidi lanciarsi sulla gran cittá.
E poi monaci e re chiusi neH’armi
sorsero, e in cima al mar mi balenò
la rossa croce; e di Siòn sui marmi
60gli emiri in pugna disperata ho visto
coi cavalicr di Cristo;
e, com’altro giá vidi, altro io vedrò.
Ma voi, stelle del del, voi foste, o rose,
voi, glauchi fiumi, il mio profondo amor;
65e, se patria o natal mi si nascose,
le verdi terre, i pampini fiorenti
e il sibilo de’ venti
e il lume ambrosio mi fu vita al cor.
Quaggiú secoli molti ho numerati,
70ma corallo m’è il labbro, ebano il crin;
e di me senza posa innamorati
sono i falchi dell’aria, i tersi fonti,
il frassino de’ monti
e il bianco silfo che mi sta vicin.
75Questo è il compagno mio. Spirito arcano,
sempre la notte e il di canta con me:
egli sai sul mio cocchio, e andiam lontano
lontano a interrogar boschi e caverne,
e delle cose eterne
80rapir qualcuna, io gentil dama, ei re.

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Ei mi dice che Febo, il biondo e bello
signor dell’armonia, padre a noi fu,
e ini giura che Marte è il mio fratello,
e gli altri dèi la mia superba corte,
85e lá dopo la morte
noi salirem per non lasciarci piú.
Anzi sarem due novi astri al notturno
padiglion dell’Olimpo; ed in beltá
forse a noi cederan Sirio e Saturno,
901 due Gemini, Urano, Espero e l’Orse
e la gran Lira; e forse
men superba di sé Venere andrá.
Qui frattanto nel mondo è nostra usanza
chiedere l’ombra a un mandorlo fedel,
95o sui rivi intrecciar magica danza,
o sulle fosse dei fanciulli estinti
falciar rute o giacinti,
quando scintilla il plenilunio in ciel.
È nostra usanza a mattutino il canto
100spargere nella valle o sul burron,
e, di rosso vestita o azzurro manto,
sempre nel guscio d’ebano, mi piacque
girar le terre e Tacque,
e dare ai miei fantasmi anima e suon.
105Ed ora il guscio d’ebano traete.
piccoli corvi, al nostro angusto asii;
e voi, stelle del ciel, voi risplendete
sopra le chiome della selva bruna;
e tu zampilla, o luna,
110sul vestibolo mio sparso d’aprii.

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E tu, Silfo, mi canta; e ne! viaggio
salvami da procella o masnadieri
sferza i cavalli, e coll’ardor d’un paggio
mordi del roseo pollice il liuto;
115o, se non vuoi, sta’muto,
ch’io giá so quel che pensi, o mio scudier.
Tu pensi che su morbido guanciale
d’odorate giunchiglie io giacerò;
e tu, acceso, qual sei, d’aura immortale,
120colle tue braccia mi farai catena,
e lá, di gioia piena,
come ò mio l’universo, io tua sarò. —
Cosí Mab, cantando, vola
co’ suoi corvi piccioletti:
125per gli arbusti il bianco spirito
curva l’ali e a lei fa vel;
spuntan fiori in ogni aiuola,
le falene e gli augelletti
son ridesti, e sotto l’eriche
130par che canti ogni ruscel.
Oh grandezze, oh maraviglie
della candida natura!
quando saltan gli scoiattoli
delle stelle allo splendor,
135ed un letto di giunchiglie
fa obliar la sepoltura,
e gii affanni si addormentano
nelle braccia dell’Amor!