Mastro Titta, il boia di Roma/Capitolo XXI

Da Wikisource.
Capitolo ventunesimo - L'aggressione del Corriere del Papa

../Capitolo XX ../Capitolo XXII IncludiIntestazione 19 settembre 2008 75% romanzi

Capitolo ventunesimo - L'aggressione del Corriere del Papa
Capitolo XX Capitolo XXII

Sull’imbrunire si fermava alla porta dell’Albergo del Caval Marino una sedia di posta, tirata da due buoni cavalli romani, nella quale si trovavano due persone. Il cocchiere fece schioccar la frusta e tosto accorse Menicuccio, col berretto in mano. Uno dei due viaggiatori sporse il capo e gli ordinò:

- Recaci da bere una bottiglia.

- Subito, Eccellenza, rispose l’oste e s’avviò verso l’interno del negozio, d’onde ritornò poco dopo con due bicchieri di cristallo, sopra un bel vassoio d’argento e una bottiglia, che versò con religiosa attenzione.

Il viaggiatore che l’aveva ordinata passò il vassoio all’altro con rispettosa deferenza; quegli bevve, quindi mormorò:

- A voi.

Il viaggiatore vuotò il suo bicchiere, quindi ordinò a Menicuccio di dare il rimanente al cocchiere, e gli porse uno scudo, dicendogli:

- Da parte di questo signore che ha trovato buono il vostro vino.

- Mille grazie! esclamò l’oste inchinandosi fino a terra, mentre la carrozza partiva di buon trotto. Due spettatori avevano assistito alla scena dalla finestra socchiusa, nascosti dietro le griglie: il cacciatore ed il campagnuolo. Questi esclamò:

- Maledizione! Hanno anticipato di tre ore. Un bel colpo fallito.

- Nulla di perduto, rispose l’altro. Fra mezz’ora io li avrò sorpassati. La salita per la strada maestra è lunga, per i giri che fa la strada ed erta in modo che i cavalli non possono che andare al passo.

- E i compagni?

- Non ci pensare. Li troverò io.

Il buio si era fatto intanto profondo e Menicuccio lieto della sua giornata, aveva chiuso l’albergo, ben certo che a quell’ora nessun altro avventore sarebbe capitato.

Il cacciatore, fatto sicuro di non essere veduto, aperse la finestra, che distava pochi metri dal suolo e colla lestezza e agilità del dardo, discese nella via, tenendo il suo fucile ad armacollo. Toccato il suolo, a passo celere raggiunse una stradicciuola traversale che menava alla montagna. Il campagnuolo, dopo averlo salutato, richiuse la finestra e si coricò, stropicciandosi le mani e mormorando:

- Dio lo salvi e il diavolo lo protegga.

La notte era buia, senza luna e senza stelle. I fanali della sedia di posta proiettavano dai due lati della strada la loro luce rossiccia. Gli alberi parevano gigantesche figure umane tendenti le braccia.

Nel legno i due personaggi sonnecchiavano; ma non erano pienamente tranquilli; un’inquietudine vaga, indefinibile li agitava. Quando s’addormentavano sognavano malandrini, aggressioni e morti e si destavano di soprassalto e portavano le mani alle armi, che tenevano nelle tasche de’ pastrani. La strada fra Porto Recanati e Macerata, dopo aver percorso un tratto nel piano, incomincia a salire ed a serpeggiare lungo la montagna, cingendole i fianchi, come un largo nastro bianco. Il cacciatore aveva tenuto la promessa fatta al suo amico campagnolo, che lo attendeva a Caval Marino: inerpicandosi per scoscesi sentieri, attraverso le macchie, e marciando sempre di buon passo, aveva da lungo tratto sorpassata la sedia di posta e l’attendeva al varco, dietro un burrone, in uno dei punti più difficili della strada.

Di quando in quando si buttava a terra e accostava l’orecchio al suolo, per distinguere i rumori lontani.

- Eccoli - disse ad un tratto - fra dieci minuti saranno qui.

E si rizzò tosto per prendere posizione.
Non appena i cavalli della vettura giunsero innanzi al burrone, ove stava celato, il cacciatore uscì fuori, tenendo nella destra il pistone e ingiungendo colla manca protesa al cocchiere di fermarsi. E il vetturino cedendo alla paura che gli ispirava la persona atletica del masnadiero, la sua estrema sicurezza, il suo sangue freddo, ubbidì.

- Frusta i cavalli, codardo - tonò una voce dall’interno della carrozza e contemporaneamente un colpo d’arma da fuoco rintronò nell’aria.

Era diretto contro l’assalitore e colpì invece alla testa uno dei cavalli, il quale stramazzò.

- Mal diretto! esclamò forte il malandrino. Se sciupate così la vostra polvere, non ve ne resterà per farvi saltare le cervella, se per avventura sdegnassimo noi di farlo.
Due altri colpi da fuoco scoppiarono contemporaneamente. L’uno forò il cappello del vetturino, l’altro sfiorò una spalla del brigante, senza che questi mostrasse avvedersene.

- Scendi disgraziato - gli disse l’aggressore - se no quei signori finiranno coll’ammazzarti.

Il cocchiere, non se lo fece dire due volte, scese in un salto da cassetta, tenendo ravvolte in mano le guide.

- Legale al cassetto, fatti consegnare le pistole da que’ signori e portamele: ai cavalli bado io.

Il vetturino si presentò allo sportello di sinistra e il viaggiatore che si trovava dalla sua parte, gli consegnò tosto le sue armi.
Contemporaneamente s’apriva lo sportello di destra e un signore su trentacinque balzò fuori, dirigendosi coraggiosamente verso il brigante colle pistole spianate.

- Signor conte di Lavello - disse questi - non facciamo ragazzate. E contemporaneamente col calcio del pistone gli faceva saltar di mano una delle due pistole, che descritto un semicerchio in aria, cadde al suolo, lasciando uscire il colpo.

- L’altra è scarica - riprese a dire beffardamente il bandito - farete bene a seguire l’esempio del Corriere di Sua Santità e consegnarmela.

Il viaggiatore che era stato qualificato per Corriere di Sua Santità, si era intanto rannicchiato nel fondo della carrozza, pronto a rendersi a discrezione, anziché correr l’alea di una pistonata, che gli squarciasse il petto onusto di decorazioni.
Ma il conte di Lavello non pareva punto disposto ad imitarlo. Si lanciò puntando contro il masnadiero, facendo atto di afferrargli l’arma: ma un improvviso, fulmineo scarto di fianco dell’avversario, lo fece cadere supino al suolo. E per il dolore cagionatogli dallo aver battuto il petto ed il volto nei ciottoli, svenne.

- Mi siete testimoni, che avrei potuto ammazzarlo e che gli faccio grazia, per rispetto alla Santità di Nostro Signore, che ne affidò i preziosi giorni al suo Corriere, - disse, sempre col suo piglio canzonatorio il bandito, mentre tratta dalla cacciatora che portava una funicella sottile, ma solidissima lo legava colle mani rovesciate dietro le reni, e ai piedi, dopo averlo trasportato sul ciglio della strada.

Compiuta l’operazione, tornò alla sedia di posta e intimò al Corriere del Papa di scendere. Questi non si fece pregare, e fu legato pur lui. L’ultimo a subire siffatta operazione fu il cocchiere.

- È una formalità, sai, - gli diceva intanto il bandito, una semplice formalità.

Incominciò quindi la perquisizione della carrozza, che durò parecchio tempo. Terminata questa, passò il bandito alle persone de’ viaggiatori; i quali non poterono salvare nulla di nulla dalle sue mani rapaci. Stava il masnadiero gettando in una bisaccia tutto il bello ed il buono che aveva preso, quando gli parve distinguere un galoppo di cavalli. Buttossi quindi sulle spalle il sacco del bottino e s’internò nella macchia, non senza lanciar l’ultimo sarcasma a’ suoi svaligiati:

- Avevo intenzione - disse di liberarvi io stesso e di porvi in condizione di continuare il vostro viaggio, ma pare che stiano per giungere de’ vostri amici e non voglio toglier loro questo piacere.