Meditazioni di un brontolone/Giuseppe Mazzini critico ed artista
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GIUSEPPE MAZZINI CRITICO ED ARTISTA
In quella pleiade di scrittori i quali, mentre effettuavano il risorgimento artistico e letterario d’Italia, dalle paludi dell’arcadico e del barocco, in cui il genio nostrano avevano soffocato, per oltre due secoli, il gesuitesimo e lo spagnolesimo, sospingevano altresì la nazione sulla via del rinnovamento morale e politico, in quella pleiade, che comincia con Vittorio Alfieri e si chiude con Francesco Domenico Guerrazzi, va noverato anche Giuseppe Mazzini. E non già quasi a titolo di elemosina e di compassione come, per lo più, si vede nei trattatelli di storia civile e letteraria, che certi professori e certi critici mandano, ai dì nostri, per le mani dei giovani, con quella modesta prosopopeia che, in moneta spicciola, vuol dire: leggete e studiate, figliuoli: nel presente libretto è raccolto, con avveduto discernimento, tutto l’umano sapere su questa materia; ma, con sentimento profondo di ammirazione e di affetto, accordando a lui uno dei più elevati posti fra i critici e gli artisti di quest’epoca esteticamente luminosa; il primo, il più aito, il più nobile posto fra i propugnatori dell’idea nazionale nell’epopea gdoriosa della nostra redenzione.
Eppure quanti sono oggi gl’insegnanti e i saputi in materia d’arte i quali conoscano gli scritti critici e letterari! di Giuseppe Mazzini?... pochi; e fra questi pochi, rari sono coloro che apprezzino, in tutto il dovizioso ed ampio loro valore, i tesori raccolti in quelle opere letterarie, rarissimi quelli che avviino i giovani nello studio e nell’esame di quegli scritti.
Forse la quasi assoluta dimenticanza in cui viene lasciato Giuseppe Mazzini, critico ed artista, deriva in parte dall’odio, onde le sètte politiche proseguono il nome di quel grande oltre la tomba; in parte dalla febbrile ansia del nuovo che agita, in questo periodo di rivoluzione, e di transizione per conseguenza, in politica, in filosofia, in arte, in letteratura, le giovani generazioni italiane.
Ad ogni modo è questo oblio, secondo il mio modesto pensiero, un fatto grave e che va notato, anzi è un fatto contro il quale non credo che si disdica agli onesti e liberi scrittori di levare la voce a fine di richiamare l’attenzione di tutti i cultori dell’arte sugli importanti volumi, nei quali stanno accolti gli altissimi pensamenti critici ed estetici di Giuseppe Mazzini.
Può darsi benissimo che l’alto ideale politico cui mirò, in tutta l’agitata e operosa sua vita, quel grande, non possa nè debba attingersi oggi, come quello che porrebbe a repentaglio la conseguita unità, e i frutti dei tanti sacrifìci durati, fin qui, dagl’Italiani, per costituirsi novellamente in nazione; e così credo fermamente anche io che, sopra alle quistioni di forma di governo pongo la grandezza della patria; può spiegarsi quindi benissimo l’avversione che suscita in molti la calda ed inspirata parola di quel possente apostolo di ogni idea buona, bella, giusta, vera; ma non può spiegarsi, da tutto ciò, il silenzio ingeneroso in cui, da coloro, i quali spiegano dalle cattedre le opere di Sperone Speroni, o illustrano le velenose diatribe del Castelvetro o del Caro, o storpiano e contorcono ad intendimenti, cui mai non mirò l’immortale autore, i concetti del Divino Poeta, vengono lasciati i pensieri altissimi che, intorno all’arte e alla letteratura, ci lasciò questo illustre scrittore, onde l’Italia andrà più superba assai, che oggi non vada, nei secoli venturi.
Difatti il Mazzini fu, nientemeno, che il padre della moderna critica in Italia. Quando dell’alta, vera e filosofica critica non avea dato che i primi accenni Ugo Foscolo; quando in Italia si procedeva ancora, allo studio dei nostri più grandi scrittori, sulla scorta di miseri ed aridi commenti, non pur filologici, ma pedanteschi e grammaticali; quando del Divino Poeta il Monti e il P. Cesari non lodavano e non imitavano che la forma esteriore, e non vedevano, o a bella posta, schivavano la midolla, arrestandosi alla scorza, fu Giuseppe Mazzini che, nei molteplici suoi studi sulle Opere minori sull’Amor patrio di Dante, e sul Commento foscoliano della commedia, denudò, pel primo, agli occhi degl’italiani tutta l’inesauribile ricchezza di intendimenti morali, civili e politici che si ascondeva
sotto il velame degli versi strani.
Fu lui, il Mazzini, il primo che intendesse profondamente
tutti i più alti ideali Danteschi e li additasse, con sintesi
poderosa, agii studi analitici dei futuri commentatori.
Fu egli che, primo, agitò la face della ricerca filosofica
per entro i più reconditi meandri del pensiero
italianissimo dell’Alighieri, onde scaturì queirincendio
di studiosi desiderii, quella vampa di indagini amorose,
incessanti, feconde, da cui derivarono lo stupendo commento
- più ascetico, filosofico ed estetico che patriottico
e civile - del Tommaseo, per mezzo agli scritti del
quale non può negarsi che serpeggi sempre, purtroppo,
la coda velenosa di Don Basilio; e lo splendido commento
di Brunone Bianchi; e quelli dell’Andreoli, del
Camerini, del Fraticelli, e gli studi infiniti onde investigarono
il poeta e la sua mente e le opere sue il
Giuliani, l’Emiliani Giudici, il De-Sanctis, il Carducci,
il Perez, il Sermoneta, il Gioberti, l’Ambrosoli, il Biagioli, il Niccolini, il Giusti e cento altri che attesero,
in questi ultimi cinquant’anni, alla illustrazione della
vita e degli scritti del gloriosissimo ghibellino.
Fu lui, Giuseppe Mazzini, che, armonizzando in un solo, complesso ed altissimo disegno filosofico, civile, ed estetico, tutti gli studi e tutte le manifestazioni del1 umano intelletto, e adoperandosi per quanto era da lui, con una fede incrollabile in quella massima, da lui stesso enunciata, che il segreto della potenza è nella volontà, a far convergere ogni produzione dell’arte ad uno scopo patriottico, morale, civile, fu lui che bandì reiteratamente, nei suoi scritti politici e letterari, che la vita dei popoli e l’inno dei martiri sono i due elementi della poesia che vorrà vivere oltre i giorni e fu lui che affermò che la poesia dell’avvenire, la poesia dei popoli è la sola viva e potente.
Fu lui, Giuseppe Mazzini, che, respingendo del pari le esagerazioni dei classici e quelle dei romantici, divinò, nello stupendo scritto critico D’una Letteratura Europea, cinquantasette anni or sono, tutti i veri che oggi formano la base della nuova letteratura, quando, scevro di ogni scrupolo di tradizione, libero di qualsiasi pregiudizio di scuola, gridò ai giovani ingegni: «....ora voi avete un mondo a teatro di vostra gloria: voi dovete parlare ad un mondo: ogni suono della vostra cetra è patrimonio dell’umana stirpe: nò potete toccare una corda che l’eco non si propaghi fino all’ultimo limite dell’oceano. V’ha uno spirito d’amore, che favella a tutti gli abitanti di questa Europa, ma confusamente e con vigore ineguale. Gli errori di molti secoli hanno logorato l’impronta comune: ma la poesia fu data dal cielo, come voce che può ricongiungere i fratelli dispersi. Voi dovete eccitare e diffondere per ogni dove questo spirito d’amore: dovete abbattere le barriere che ancora si oppongono alla concordia: dovete cantare le universali passioni, le verità eterne. Perciò studiate i volumi di tutte le nazioni: chi non ha veduto che una sola letteratura, non conosce che una pagina del libro dove si contengono i misteri del Genio. Stringetevi in una tacita comunione con tutti coloro che gemono oppressi dalle stesse sciagure, che sorridono alle stesse gioie, che aspirano al medesimo fine. Che monta se il sole manda i suoi raggi attraverso un velo di nubi, o li dardeggia per l’azzurro dell’aria?
«Tutti gli uomini hanno un core che batte più concitato al sospiro della bellezza: tutti gli uomini hanno una lagrima, un conforto pel grido della sventura; e dove è colui che non senta rinnovarsi l’anima in petto alla parola della, libertà? — Inspiratevi a queste sorgenti: la vostra poesia sarà la voce dell’universo.»
Fu lui, Giuseppe Mazzini, che nello splendido scritto intitolato Del Dramma storico, dopo avere discusso, con mirabile ampiezza di dottrina e con profondità inarrivabile di critica, la grande questione del dramma storico e sociale, cinquantasei or sono, insegnava: «Aprite le storie: eccovi l’uomo del paganesimo, l’uomo del feudalismo, l’uomo del secolo xvii - eccovi l’uomo del nord, l’uomo del mezzogiorno; ma, superiore a tutti questi uomini, che sono la rappresentazione d’un grado di sviluppo intellettuale, il prodotto di tutte le cause fisiche e morali particolari a una nazione o ad un dato tempo, sta l’uomo di tutti i tempi, di tutti i luoghi; l’uomo, primogenito della natura, immagine di Dio, creato al progresso del perfezionamento indefinito; l’uomo, centro dell’universo, considerato nella sua parte immortale, nella pienezza delle sue potenze morali; l’uomo insomma, non inglese, non francese, non italiano, ma cittadino della vasta terra, miniatura di tutte le leggi eterne, universe, invariabili: L’Uomo.
«Là è il perno del dramma sociale moderno, che noi abbiamo finora chiamato romantico, per farci intendere in sulle prime da chi s’è avvezzato a non riconoscere nel campo delle lettere che due bandiere
«Là è d’uopo risalga il genio che vorrà darci il dramma invocato dall’epoca! Il diametro della nuova sfera tocchi il passato con una delle sue es’ remità, l’avvenire coll’altra: a questi segni la giovine Europa riconoscerà il suo poeta: iLpoeta al quale i romantici hanno sgombrato e preparato la via.»
Fu lui, Mazzini, che, oltre a mezzo secolo fa, in quell’articolo profondo di acutissima osservazione, fresco, scintillante di eloquenza, limpido, cristallino di stile, intitolato: De l’Art en Italie, a propos de «Marco Visconti,» roman de Thomas Grossi, inserito nella Revue Républicaine, dopo aver dimostrato come o perchè l’arte fiorentina eccellesse ai tempi di Dante, di Ghiberti, di Giotto, di Donatello, «tous ces hommes, race de gêans par l’âme, qui n’avaient qu’ un epensée, la patrie; qu’un culte, l’art; qu’une source d’inspiration, la liberté,» lamentava le misere condizioni a cui si trovava ridotta l’arte mezzo secolo fa in Francia e in Italia; «..... aujourd’hui, fatigué du fantastique, l’art, caprice, protestation, ou inspiration individuile, erre au hasard, sans fonction, sans mission, sans sacerdoce;» onde essa appare al grande Genovese «une bulle de savon montant, descendant, tournoyant dans les airs, et réflétant tour à tour dans sa course le rocher, la vallée, le lac bleu et la mer orageuse;» onde essa a lui sembra «un miroir brisé qui réfìéchit l’univers par fragmens sans pouvoir l’embrasser dans son ensemble.» E quindi, presago del precipizio a cui l’arte sarebbe discesa ai giorni nostri, gridava, fin da allora: «De là à la dissection, au matérialisme, à la mort, le pas est court, le chemin glissant; car s’il volt le monde dans chacune de ses parties, l’âme da monde lui échappe encvre. Edìst-ce là votre art, poèta? Est-ce là ce que votre âme a rèvéf Oh! baissez la tète, et pieurez: car l’art, en ces jours, chez vous cornine chez nous: c’est le mensonge, c’est l’écorce de Vari, quand ce n’en ed pas la prostitution.»
E fu, informandosi sempre a quel suo ideale dell’arte innovatrice, redentrice, moralizzatrice, che egdi giudicò con attica squisitezza di gusto, con profondissimo sentimento estetico, con altissimi concetti di filosofo e di pensatore, con intuizioni proprie soltanto dell’uomo di genio, Dante e il Machiavelli, il Milton e lo Shakspeare, l’Hegel e lo Schiller, l’Hugo e il Delavigne, il Lamennais e il De Musset, il Palestrina e l’Haydin, il Rossini e il Mozart, il Donizetti e il Meyerbeer, il Carlyle e il Byron, il Manzoni e il Guerrazzi, Donatello e Orgagna, il Michelangelo e il Bernini, il Pinelli e l’Hayez.
Una quantità delle verità da lui sostenute ed affermate, dal 1826 al 1846, e moltissimi suoi giudizi, dettati allora, letti oggi, che hanno trionfato e che furono ricevuti ed accettati - se uno si riporta all’epoca in che furono scritti e nella quale parvero bestemmie ed eresie non si palesano soltanto quali alti sogni, nò quali ardimenti di un elettissimo intelletto, ma propini e veri impeti divinatorii di una mente solennemente profetica.
Fu lui, il Mazzini, che nel 1836 scrisse le immortali pagine sulla Filosofia della musica, nelle quali egli, quasi profano di quella scienza divina, precedette e prevenne il Wagner intorno a tutti i problemi dell’arte musicale e li trattò tutti, con delicatissimo senso estetico, con altezza di pensiero filosofico, con lucidità ed evidenza di forma ammirevolissime. E di tanto riuscì più chiaro e persuasivo del tedesco, in quanto che, sollevata la quistione, dal campo delle astruserie del tecnicismo, in quello più vasto e più sereno delle generalità artistiche e filosofiche, la trattò con siffatta larghezza di intendimenti e con tale sobrietà efficacissima di parole che mai, nè prima nè dopo di lui, se ne lessero non che le superiori, le eguali.
In lui il bello, il buono, il vero non trovano soltanto - e sempre - un caldo propugnatore, pieno di quell’entusiasmo che - secondo esso - è ala dell’anima alle belle cose, ma in lui riescono altresì inspiratori di pagine eloquenti, vigorose, palpitanti d’ogni nobile affetto; pagine piene di sentimento, di fede, di soave melanconia che fanno bene all’anima del lettore e ne rialzano la dignità, e ne confortano la coscienza, e ne fecondano l’intelletto.
A chi legga e rilegga gli scritti artistici, critici e letterari di Giuseppe Mazzini - perchè è quasi impossibile che chi li lesse una volta non sia tratto a leggerli una seconda, sospinto da un fascino segreto, che conquide l’anima - è molto probabile che surga in mente, quasi spontaneo, un siffatto quesito: se il Mazzini non fosse stato tratto, lungi dal’ campo dell’arte, nel turbine della vita politica, dalla santa idea nazionale cui egli consacrò tutta da sua nobilissima esistenza, quali opere d’arte avrebbe egli potuto dare all’Italia?...
E quando si consideri che gli scritti di cui parlo furono da lui dettati, quasi di sfuggita, nelle asprezze e nella povertà dell’esilio, nei ritagli di tempo che gli concedeva la fiamma dell’amor patrio diffusa nell’azione, onde erano assorbite tutte le ore del suo tempo, onde era perennemente preoccupata la santissima anima sua, si può asseverare - e io, nell’asseverarlo, so di essere in compagnia di tali che, assai più di me, hanno autorità per dar valore di vero ad una tale asserzione - si può asseverare che il nostro paese avrebbe avuto un gigante di più nella falange dei giganti che esso ha dato, da Lucrezio e da Virgilio fino al Leopardi ed al Manzoni, all’arte e alla letteratura del mondo.
Delle scettiche e pettegole denegazioni che a tale opinione potessero opporre certe nostrane scialbe parodie di Janin, certi microscopici Lessing andati a male, io non mi curerò, per Dio! e continuerò ad eccitare la gioventù a studiare e meditare amorosamente le opere letterarie alte, innovatrici, moralizzatrici di Giuseppe Mazzini.
- Testi in cui è citato Vittorio Alfieri
- Testi in cui è citato Francesco Domenico Guerrazzi
- Testi in cui è citato Giuseppe Mazzini
- Testi in cui è citato Sperone Speroni
- Testi in cui è citato Lodovico Castelvetro
- Testi in cui è citato Annibale Caro
- Testi in cui è citato Ugo Foscolo
- Testi in cui è citato Vincenzo Monti
- Testi in cui è citato Antonio Cesari
- Testi in cui è citato Dante Alighieri
- Testi in cui è citato Niccolò Tommaseo
- Testi in cui è citato Brunone Bianchi
- Testi in cui è citato Francesco De Sanctis
- Testi in cui è citato Giosuè Carducci
- Testi in cui è citato Vincenzo Gioberti
- Testi in cui è citato Francesco Ambrosoli
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