Memorie inutili/Parte prima/Capitolo X

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Capitolo X

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CAPITOLO X

Sono arrolato nella milizia di cavalleria.

Erano scorsi circa a quindici mesi del mio triennio, quando avvenne la da me anzidetta novitá della spedizione di quasi tutte le truppe regolate in Italia e dell’ordine d’arrolare nuove milizie nella Dalmazia. Fu quello il momento in cui parve a S. E. Provveditor generale di farmi registrare nel ruolo de’ militari.

Commise ch’io fossi arrolato cadetto nobile nella cavalleria, ed eccomi soldato da vero in etá di intorno a diciott’anni. Il signor Giorgio Barbarigo, ragionato, basso, grasso e onest’uomo, m’ha data la notizia che m’aveva registrato e che poteva andare nella ragionataria a riscuotere trentotto lire al mese di buona moneta veneta, che si convenivano al mio titolo. Mi sorprese la inaspettata notizia, e fui a ringraziare l’E. S. dell’ordine dato.

Egli rispose al mio dovuto uffizio, che essendo state chiamate in Italia quasi tutte le truppe regolate, vedeva diffícil cosa che se gli potesse aprire la congiuntura nel suo triennio di reggimento, ch’era giá in parte trascorso, di potermi dare maggior grado nelle milizie. Aggiunse con un modo ironico e cherzevole le parole seguenti: — Benché io creda che non abbiate intenzione di seguire la carriera militare, apparendo da molti segni della condotta vostra che abbiate piuttosto quella di vestire l’abito religioso.

Perché il mio cervello (forse pregiudicato) non si forma obbietti e non coltiva pensieri molesti, ho interpretata quella generalizia ironia in mio vantaggio, rispondendo a quel cavaliere con sommessione, ilaritá e ingenuitá, che la mia inclinazione non era veramente di proseguire il corso militare, ma che non avrei nemmeno giammai vestito un abito ecclesiastico; che non era per me disutile l’aver studiata l’umanitá in un’armata e ne’ popoli di quelle due provincie, e che soprattutto m’era utilissimo [p. 77 modifica]l’onore d’aver servito l’E. S. per tre anni. M’avvidi che la mia risposta non gli dispiacque e mi ritirai col solito profondo inchino.

Fui attentissimo a’ miei militari doveri, e sono certo che, se fosse avvenuto un cimento di guerra, mi sarei esposto da ragazzo romanzescamente onorato a morir martire della patria, della mia gloria e delle mensuali trentotto lire.

Non mi acquistai meriti nel mio triennio, a mio credere, che equivalessero il prezzo che riscossi dal principe, riscossione che non oltrepassò il mio triennio.

Epilogherò in un fascio tutti i meriti miei di quel tempo, per lasciar decidere a’ lettori se sono in debito di restituzione.

Sono stato diligente e puntuale alle mie guardie e a tutte le altre ispezioni mie, di giorno e di notte.

Ho seguito il nostro provveditore generale per mare e per terra alla visita delle fortezze terrestri e litorali.

Nelle occasioni di pestilenza, suffumeggiai tre o quattro volte il giorno in un crivello, con danno notabile delle mie camicie e de’ miei manichini, le molti e frequenti lettere che giugnevano da’ villaggi infetti dirette al provveditor generale, che si fidava della mia accuratezza in quell’uffizio di fumo.

Ho portati in voce degli arresti a de’ patrizi veneti dell’armata, a de’ nobili e a degli uffiziali, ordinatimi dall’E. S. e sempre con dispiacere.

Soggiacqui ad un arresto con molti altri uffiziali per una bistorta riferta fatta non so da chi a S. E. Non seppi vedere giammai qual colpa avessi io e qual colpa avessero gli altri, perché fosse fatta la bistorta riferta. Fui il primo liberato poche ore dopo, sulla richiesta di grazia fatta volontariamente per me da una dama Veniero gentilissima. Quantunque fossi innocente, la ringraziai come s’io fossi stato un reo da lei liberato.

Tralascio di porre nel conto de’ meriti miei i patimenti grandissimi che soffersi ne’ viaggi da terra sopra a de’ tristi rozzoni sotto agli ardenti raggi del sole di quel clima, e dormendo le notti vestito con gli stivali in gamba, spesso nelle aperti valli e campagne morlacche; e nei viaggi da mare dormendo nelle galere sopra a’ viluppi delle gomone, ferito da un milione di [p. 78 modifica]cimici. Rivolgeva tanto agevolmente gli argomenti di queste mie pene ad argomenti di saporite risa, che non posso vantar meriti da questa parte. I patimenti che ho passati ne’ disordini volontari, detti sollazzi da’ militari, de’ quali darò qualche idea, sono stati maggiori.

Tuttavia parecchie di quelle attestazioni proccurate da molte persone che assediano il pubblico erario, non hanno maggior fondamento di quelle che avrei potuto proccurar io colle solite caricate espressioni de’ benevoli che le firmano.

Registro un mio merito, che non è marziale, ma che avrebbe potuto essere efficace a qualche altro ragazzo militare, ad aprirgli una via di ascendere con rapiditá forse al grado di colonnello.

Si penerá a credere questa veritá. Io fui in Dalmazia una servetta celebre in sul teatro, nella commedia improvvisa.