Memorie inutili/Parte seconda/Ragionamento

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Ragionamento del cittadino Carlo Gozzi

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Ragionamento del cittadino Carlo Gozzi
Parte seconda Parte seconda - Capitolo I

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Libertá Eguaglianza

Ragionamento del cittadino

CARLO GOZZI

a’ cittadini amici della memoria di pietro antonio gratarol.

Ho letto l’opuscolo che faceste uscire dalle stampe del cittadino Giovanni Zatta, intitolato: Memorie ultime di Pietro Antonio Gratarol coi documenti sulla di lui morte, ecc., ed ho letta la vostra prefazione preliminare a quell’opuscolo.

A me non resta alcun dubbio che i vostri accurati documenti sulla morte di quell’infelice non contengano pur troppo la veritá, e leggendo la sicurezza del di lui miserabile funesto fine, ho provata tutta la umana interna commozione e commiserazione.

Credo quel vostro opuscolo essenzialmente diretto a vendicare dalle ingiustizie del fisco del caduto governo le ottime innocenti cugine del defunto Gratarol.

Vi protesto che giammai lessi cosa con maggior orrore, abborrimento e sdegno delle rapacitá diabolicamente tiranne e ladre usate dal fisco sui beni ed effetti della famiglia di quell’esule sfortunato.

La vostra impresa di prendere ad assistere le oppresse sorelle Gratarol, cugine del mancato di vita, ond’esse possiedano finalmente le sostanze loro dovute ed usurpate con delle inaudite rapine, merita de’ panegirici; ed è da credere costantemente che il nostro nuovo attivo zelante democratico governo, armato di giusta collera e sollecito ad abbattere gli abborribili abusi trascorsi, consoli ne’ limiti del congruo, sulle chiare vostre dimostrazioni, le degne cittadine Gratarol, nostre dilette consorelle. [p. 236 modifica]

È pur degno di lode l’amichevole genio che avete di «riabilitare», come dite voi, la memoria di Pietro Antonio Gratarol, bersagliato in gran parte da un bizzarro indegno capriccio, da una turpe venalitá protetta e dalla tirannide.

Nessuno potrá mai contaminare la di lui memoria dal canto della onoratezza, del talento, dello spirito, della attivitá o della fedeltá incorrotta in ogni tempo verso al, ora, ex-governo e all’ex-senato in cui ha servito; e se mai alcun uomo cattivo osasse di voler macchiare la memoria di Pietro Antonio Gratarol dalla parte delle sopra accennate sue doti e sopra accennate sue virtú, arruolatemi vostro socio nel difenderle con tutto il calore.

Se però voleste sostenere ch’egli fosse piú che un uomo, come folgoreggia dalle vostre infiammate esagerazioni; ch’egli non fosse un po’ troppo immerso nelle leggerezze, nelle effemminatezze, nelle galanterie, nelle splendidezze, senza bilancia sul proprio suo stato; ch’egli non fosse soggiogato dall’amor proprio e da una immagine troppo sublime di se medesimo; ch’egli non avesse alterata la fantasia dalle letture, da’ sofismi, dalle stiracchiate idee romanzesche non confacenti colla sua patria e colla sua costituzione; ch’egli non conoscesse male gl’influssi sopraffattori che ci dominavano per schermirsi da quelli, massime dipendendo da quelli i luminosi uffizi a’ quali aspirava; ch’egli non si credesse infallibile nel sposare delle false opinioni; ch’egli, guidato da’ suoi principi opposti alle sue circostanze, non si fosse indotto a sprezzar la sua patria e a bramare ardentemente d’allontanarsi da quella; ch’egli non fosse orgoglioso, imprudente, puntiglioso, d’umor viperino, indomito, arrischiato, vendicativo eccessivamente, e non avesse quanti capitali bastavano a farsi de’ nimici anche ingiusti; dispensatemi in grazia dall’esser vostro socio nella difesa.

La serie de’ casi affittivi che quell’uomo commiserabile s’è ordita da se medesimo per temperamento, e la sua stessa Narrazione apologetica, in cui l’alterigia biliosa l’ha fatto scordare persino la sua educazione civile, s’oppongono con troppa efficacia e chiarezza su questo punto. [p. 237 modifica]

Non vi recate ad offesa s’io considero che o voi non siate stati giammai amici di lui, o egli non sia stato giammai amico di voi; perocché o voi mancaste nel dargli de’ cordiali, prudenti e sani consigli, o egli li ha rifiutali, derisi e calpestati.

S’io fo qualche esame e qualche riflesso sulla preliminare prefazione e sopra all’opuscolo che a voi piacque di giudicare: Supplemento alla «Narrazione apologetica» del Gratarol, da voi pubblicati colle stampe del generoso Zatta libraio in quest’anno 1797, non v’accendete. Siate giusti, democratici veri, e non considerate le urbane veritá d’un vostro confratello, a torto vituperato, «amarezze e ferocie».

Nella vostra prefazione, in cui innalzate alle stelle la Narrazione del Gratarol, non so se per esaltare la memoria d’un amico o per fiancheggiare un indiscreto e indecente traffico de’ nostri librai, ma in cui anche esprimete molte veritá relative alle esecrabili oppressioni sofferte dal Gratarol sventurato, non posso negare, mi sorpresi nel leggere le seguenti vostre parole:

«Se in una prefazione fosse acconcio il dare un consiglio, noi vorremmo persuadere un uomo assai rispettabile, contro del quale Gratarol s’è permesso qualche sfogo di giusto dolore, a risparmiar l’edizione di due grossi volumi di Memorie inutili della sua vita, ch’egli ha promesso con suo Manifesto stampato dal cittadino Palese, ecc., o almeno a non voler in quelle inutili memorie infierire contro un cadavere o portar ferite all’ombra ancora sdegnata e minacciosa e sempre invulnerabile del Gratarol. Oseremo certo di riprometterci da un uomo dolcissimo e di amabile societá che non vorrá attaccare la memoria di quell’uomo, mentre si cerca da’ suoi amici di riabilitarla, e che al piú, poiché l’opera del Gratarol si è troppo recentemente divulgata, sará contento delle qualificazioni contro di lui giá lanciate con qualche amarezza nel citato Manifesto».

È pur rimarcabile la nota che avete posta a piè di pagina della vostra prefazione, cioè «che il titolo de’ miei volumi dovrebb’essere: Memorie inutili della vita di Carlo Gozzi scritte dei lui medesimo e da lui pubblicate per umiltá».

Non abbiate timore ch’io cambi titolo a’ miei volumi. [p. 238 modifica]

Il mio Manifesto pubblicato dal cittadino Palese è un foriere che avvisa della pubblicazione di due grossi volumi delle Memorie della mia vita, da me scritti sin dall’anno 1780, e che furono tenuti inediti sin ora da una forza e da una violenza che sarei stato uno stolto a non obbedire, e come favorirete di leggere e di rilevare nella mia prefazione posta al primo volume di quelle frivole e stucchevoli Memorie.

Siccome in questo secondo volume di quelle Memorie esiste per incidenza, in tutta la sua estensione e in una risplendente veritá, narrato l’accaduto tra me e l’infelice Gratarol, la mia legittima giustificazione, il di lui affascinamento, le di lui imprudenze, il di lui inganno da cui rifiutò sempre d’esser guarito (volendomi egli con una non piú intesa ostinazione in concerto co’ suoi pur troppo crudeli e ingiusti oppressori, per poter poscia svelenarsi anche contro di me con delle vilissime e laide dettrazioni alla mia innocente riputazione, eternandole con delle pubbliche stampe in un libro da lui e da voi creduto Apologia); non v’è uomo cristiano e democratico che, in un momento fortunato di libertá, deva desiderare o consigliare un uomo d’onore e fedelissimo vostro concittadino a rimanersi con una menzognera marca d’infamia non smentita e non rintuzzata e a tener inedite le sue veraci Memorie, come voi v’ingegnate affettatamente di consigliarmi.

Nel mio Manifesto, ch’è foglio volante e smarribile, non si leggono che delle cose accennate in astratto; e voi mi vorreste imbecille a segno d’esser contento di quello e di tener in silenzio le prove da me promesse ad un pubblico, per una vostra privata e, riguardo a me, ingiusta passione? Siate giusti e democratici veri.

Pretendo che siate certi che, se non avessi veduta inaspettatamente la nostra cittá innondata da piú stampatori a gara, mossi dall’aviditá d’un schifo mercimonio o mossi da’ vostri appassionati stimoli della nuova ristampa della Narrazione del Gratarol; o per lo meno se si fosse avuta l’urbana avvertenza di por tre righe di dichiarazione sull’errore ostinato di quel misero rabbioso scrittore riguardo a me, le quali mi separassero [p. 239 modifica]dalla lega dei suoi nimici oppressori; non mi sarei sognato di pubblicare il mio Manifesto, e le Memorie della mia vita dormirebbero ancora dove dormirono dall’anno 1780 all’anno 1797, per quelle veritá che avrete lette e potete leggere nel Manifesto e credere a chius’occhi, perch’io fo professione di dire la veritá quand’anche ella fosse a discapito mio.

Mi piace nella vostra prefazione l’aria soave di tenuitá colla quale riferite unicamente che «il Gratarol s’è permesso contro a me qualche sfogo di giusto dolore».

Voi chiamate semplicemente «qualche sfogo» quello che, di cento e quarantotto pagine del suo libro stampato in Stockholm, imbratta per lo meno un terzo di quelle pagine d’una pittura infame del mio carattere, con cento calunniose menzogne, suggerite alla di lui riscaldata fantasia da un errore ostinato e ch’ebbe origine da una puerile, leggera, effemminata credulitá — progresso ne’ suoi passi mal consigliati, — dall’arte obbrobriosa de’ suoi nimici e da un livore che, ad onta d’una non mia colpa e delle chiare veritá ch’egli non volle giammai né ammettere né ascoltare, ma volle tener ardente per tanto tempo nell’animo suo, per vomitare poscia sino dal nord sopra ad un terzo delle sue centoquarantotto pagine contro di me, in consonanza della sua lunga esosa pittura, gli epiteti fioriti e replicati di ipocrita, di impostore, di caupone, di indegno, di malvagio, di mentitore e d’altri consimili vocaboli tratti da un bordellesco vocabolario?

Sará questo un semplice «qualche sfogo di giusto dolore»?

Qual motivo di «giusto dolore» ebb’egli da me, fuori da quello ch’egli ha voluto formarsi colle bistorte sue idee e tener inchiodato nel suo pensiero con una pertinacia brutale?

Ma voi non scorgete altro che delle gemme e dell’oro purissimo nella di lui Narrazione, e nel punto che mi consigliate mellifluamente a «risparmiare la edizione de’ due grossi volumi delle Memorie della mia vita», ingenue, che pur a voi sta a cuore che sieno «inutili», onorandomi però de’ titoli d’«uomo assai rispettabile», d’«uomo dolcissimo e di amabile societá», riportate poscia un frammento de’ tesori del Gratarol, nella vostra mente [p. 240 modifica]intangibili e venerabili dalla prima sino all’ultima sillaba, come se i di lui animaleschi sfoghi fossero parole della Sacra Bibia.

Ecco la rosa che infiora la pagina 39 delle Memorie ultime di Pietro Antonio Gratarol, da voi di fresco pubblicate per servire di «supplemento», anzi pur di consolidazione alle di lui Narrazioni apologetiche:

«La civil condizione, il grado ministeriale, le sostenute fatiche, l’incorrotto onore sono vittime veramente degne da immolarsi all’invidia, alla persecuzione, al sucidume dell’infamia teatrale, all’infernale ipocrisia di un mentitore satirico, agli allori d’una prostituta patrizia dominatrice d’un semidittatore, insigne per talenti, per ricchezza, per passioni, per tirannide».

Confesserete che questo frammento da voi pubblicato recentemente, senza nemmeno due parole d’una vostra urbana postilla che separi me dagli oppressori veri del Gratarol, è un codicillo che riconferma, ribadisce e perpetua nella memoria de’ viventi e de’ posteri la intenzione libellatrice contro me dell’affascinato povero defunto, non meno che la opinione e intenzione di voi, che siete vivi; la qual cosa, con mio dispiacere piú per voi che per me, contraddice direttamente alle vostre espressioni gentili ch’io sono un «uomo rispettabile, dolcissimo e di amabile societá».

Ne’ casi nostri, gli elogi che m’avete largiti non possono essere giudicati che per di quelle ironie, le quali sono le satire piú velenose, piú sanguinose e piú mordaci.

Tuttavia, siccome io non potei giammai odiare il Gratarol, con tutti i libelli che ha urlati e disseminati caninamente contro la mia riputazione, siate certi ch’io giudicherò sempre voi, come ho giudicato lui, per mal prevenuti e riscaldati, e che vi sarò sempre buon confratello ed amico.

Vi prego a non mai scordarvi che i miei due primi volumi di Memorie della mia vita furono da me scritti l’anno 1780; tempo in cui il Gratarol viveva e in cui egli ha tentato colla sua Narrazione, con tutta l’arte che può suggerire un’ingiusta e guercia rabbia furente, d’uccidermi alla vita civile, per un suo livore a torto concepito, alimentato contro di me, e con quel vano effetto che avete potuto vedere. [p. 241 modifica]

Se l’anno 1780, una violenza temuta in que’ giorni non avesse incatenati e tenuti inediti i miei due volumi, il Gratarol, vivente allora, avrebbe potuto ingegnarsi, a fronte delle mie Memorie, a sostenere quanto ha narrato e pubblicato di me, combattendo la storia mia; o si sarebbe ritrattato, se si trovasse convinto, come promette, da quell’uomo d’onore ch’io l’ho sempre voluto credere, nella pagina 52 della sua Narrazione stampata in Stockholm l’anno 1779, e come si legge nella pagina 131 del rinnovato mercimonio indiscreto de’ nostri librai fatto in questo anno 1797, e ch’io non voglio credere animato dalle vostre passioni.

Voi, amici di quel commiserabile rovinato dal proprio istinto, dalle proprie mal consigliate direzioni e da’ veri suoi oppressori nimici: voi che vi siete eretti commissari e tutori suoi colle vostre Memorie ultime, co’ vostri Supplementi, colle vostre esagerate prefazioni, assumerete per debito anche le sue veci.

La mia ferma proposizione è quella che, nelle veritá innegabili delle mie Memorie e nella stessa Narrazione apologetica del Gratarol, abbiate finalmente a rilevare e a persuadervi che nella commedia intitolata: Le droghe d’amore, non abbia io giammai avuta l’idea di porre il di lui carattere, e nemmeno per sogno la inonesta volontá di esporlo al martirio delle pubbliche risa sopra una scena per una leggerezza vendicativa di amorosa passione (fantasia proporzionata al suo cervello effemminato e sedotto); che abbiate a rilevare e a confessare che la sua puerile e frascheggiatrice credulitá, le sue mosse imprudenti abbiano armata la malignitá de’ suoi nimici e la sozza comica venalitá inurbanamente protetta contro lui; che abbiate a rilevare e a confessare che, colle sue mal consigliate cieche violenze e co’ suoi inconsiderati iracondi contrattempi, abbia egli accesi i tribunali d’allora a tener ferma la detta commedia nel teatro, e che ad onta de’ miei onorati e replicati tentativi per impedire un disordine da me abborrito e da lui cagionato, egli da se medesimo si sia ordita la sciagura di porsi e di perpetuarsi sopra una scena, facendo divenire la mia innocente commedia strumento d’una satira personale. [p. 242 modifica]

Leggerete con sofferenza e calma di spirito le mie ingenue Memorie; e se trovate in esse che l’amico vostro abbia proccurato di lacerare la mia buona fama per una iraconda, cervicosa e mendace prevenzione contro di me, espurgate la sua memoria da un errore che la contamina, e pubblicate la ritrattazione da lui promessa in risarcimento del buon nome d’un vostro concittadino e confratello d’onore, se è vero che voi lo crediate «assai rispettabile».

Il confessare un errore è virtú. Al sostenere indelebile un errore che denigra la fama d’un uomo onesto, incapace d’offendere nessuno, lascio a voi l’arbitrio di dare l’attributo e gli epiteti che se gli convengono.

Se però sembra a voi di poter cavillare contro alla veritá de’ fatti contenuti relativamente a me dalle mie Memorie, e credete di poter sostenere, colla cieca lusinga di fare un’eroica azione, de’ libelli infamatori scagliati contro la mia persona da un disperato in errore, compatibile ma non difendibile, la vostra penna dovrá avere la stessa libertá della mia.

Mi lusingo che abbiate a conoscere che il tener occupate le penne a’ nostri giorni nel lezzo d’un argomento affatto antidemocratico e il dar pascolo a degl’ingordi indiscreti librai, fomentatori di queste tali lordissime effimere controversie, sia cosa contraria alla vostra e alla mia onestá.

Contemplate, vi prego, i primi due volumi delle mie Memorie col pensiero all’anno 1780; tempo in cui furono da me scritti, e tempo in cui il misero Gratarol, acceso e ingannato dalle sue vertigini, volle fare il pittore e darvi un ritratto mostruoso e di false tinte del mio carattere per farmi abborrire da tutti i vivi, se gli fosse riuscito.

È cosa naturale che, ferito io sull’onore ingiustamente in que’ giorni, senza però usare pennellate come le sue, triviali, basse e indecenti ad un ritrattista educato, abbia adoperato un pennello piú del suo veritiero e legittimo.

Non vi scandalezzate. I miei tratti non sono che veritá, e non frutti d’un livore ch’io non ebbi giammai né contro quell’esule bersagliato né contro altra persona di questo mondo. [p. 243 modifica]

È certo che se scrivessi que’ volumi a’ dí nostri e dopo aver letta la certa sua morte ne' documenti veridici delle vostre Memorie ultime, adopererei il mio inchiostro diversamente, perch’io so non «infierire contro a’ cadaveri», quantunque il vostro Supplemento alla «Narrazione» di quel sventurato defunto non mi dia buon esempio in sul proposito del rispettare i cadaveri né i viventi.

Vorrei poter capire il significato e la intenzione delle vostre parole enfatiche poetiche, e che ricordano il paganesimo nell’etá nostra evangelica, cioè «ch’io non vorrò portar ferite all’ombra ancora sdegnata e minacciosa e invulnerabile del Gratarol».

Macchinereste voi d’usare ancora della occulta tirannide di quella oligarchia che in un provvido governo democratico di libertá si vuol sbarbicata?

L’uomo che difende la propria riputazione coll’arma semplice della veritá dalle ferite d’una calunniosa menzogna, non è feritore.

Restami a dirvi le ragioni per le quali intitolo i miei volumi: Memorie inutili della vita di Carlo Gozzi scritte da lui medesimo e da lui pubblicate per umiltá, ma che voi vorreste un po’ troppo «inutili».

La prima ragione è quella della mia umiltá, non avendo io alcuna presunzione di me medesimo per credere che ci sia alcun bramoso di leggere il corso della mia vita, né alcuna considerazione o baldanza per li scritti miei.

La seconda ragione è quella che, siccome gli accidenti della mia vita sono di poco rimarco e non atti ad interessare, cosí le narrazioni veridiche di quelli non mi servirono che d’un pretesto per poter empiere i miei grossi volumi di riflessioni di quella morale ch’io sempre credei la piú sana e la piú utile per il mio prossimo, e che da cinquant’anni ho predicata nei pubblici teatri e ne’ miei fogli stampati, e sempre con una perfettissima inutilitá.

La scienza ingegnosa del nostro secolo, che da gran tempo va fiancheggiando e adulando con molta industria le passioni della umanitá, dipingendo da pregiudizi le massime della morale di tanti secoli al nostro secolo anteriori, ha seminato una mèsse [p. 244 modifica]di morale a rovescio (vede Iddio, e dovrebbero vedere anche gli uomini, con qual ricolta desolatrice e venefica alle famiglie) ed ha resa la mia povera morale affatto inutile.

Eccovi appagati anche sul titolo de’ miei volumi.

Se voi credete utili le replicate edizioni della Narrazione apologetica del Gratarol e il tenerla viva sotto agli occhi dell’universo, non isdegnate che le Memorie inutili della mia vita possano presentarsi a stampa almeno sotto al mezzo guardo di qualche monocolo.

Viziato io a scrivere i miei pensieri con uno stile piano, naturale e semplice, perdonerete se in questo mio ragionamento che indirizzo a voi, non trovate né energia, né energico, né energumeno, avendo sempre proccurato di difendere la mia fantasia dall’andar soggetta a’ volvoli, alle coliche ed a’ premiti.

Nell’ultimo mio paragrafo un fraterno debito di coscienza mi obbliga ad avvertirvi che le mal fondate prevenzioni, le sposate parzialitá, le esagerazioni, i ciechi trasporti, le private passioni, le invettive, le declamazioni iraconde, lo spirito di vendetta, le indistinte e non cribrate condanne, l’entusiasmo ed il fanatismo, sono velenosi tarli, rodenti le radici e i germogli di quella sospirata democrazía, che noi bramiamo ardentemente abbarbicata, consolidata e vegetabile.


Salute e fratellanza.