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Memorie storiche della città e del territorio di Trento/Parte prima/Origini e governo de' Romani

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Parte prima Parte prima - Del regno de' Goti

[p. 1 modifica]L’origine o la fondazione della città di Trento viene da Plinio, ove parla dell’origine di varie città italiche, attribuita a’ Reti. Egli attribuisce l’origine di Mantova a’ Toschi, di Brescia a’ Galli Cenomani, di Trento a’ Reti, di Verona agli Euganei, ed a’ Reti 1. E la testimonianza di Plinio è conforme all’autorità di Catone il Censore, il quale nato dugento e vent’anni avanti l’era cristiana in uno dei suoi libri Delle Origini più volte lodate da Cicerone aveva ricercato, d’onde ogni città d’Italia avesse avuto principio. Nè deesi punto attendere chi l’origine di Trento attribuisce a’ Galli sull’autorità di Giustino, il quale scrisse, da’ Galli essere state edificate Milano, Como, Brescia, Bergamo, Verona, Trento, e Vicenza; poichè il chiarissimo Marchese Maffei scoprì e dimostrò maestrevolmente l’errore, ch’è nel passo di Giustino, e pose questo punto di storia nella più aperta luce 2.

[p. 2 modifica]Gli Etruschi avevano assai prima che Roma fosse edificata, occupata l’Italia: quelli che vennero di qua dall’Appennino, occuparono tutta la pianura tra il mare e i monti, e tutto il lungo tratto di qua dal Po. Regnando in Roma Tarquinio Prisco i Galli a tanta moltitudine venuti, che più a nutrirli non bastava il loro paese, valicaron l’Alpi, e condotti da Belloveso in gran numero scacciarono gli antichi abitanti delle più fertili pianure d’Italia. Gli Etruschi profughi presero la via dei monti, e perchè in tal ritirata ebbero Reto per duce, chiamati furono Reti. Essi fabbricaron Trento, e molto ampiamente poi si difusero per l’Alpi. Hetrusci, dice T. Livio, etiam quæ trans Padum sunt, omnia loca excepto Venetorum angulo usque ad Alpes tenuere. Alpinis quoque ea gentibus haud dubie origo est, maxime Rhætis, quos loca ipsa efferarunt, ne quid ex antiquo præter sonum linguæ, nec eum incorruptum, retinerent3.

Di Trento ovvero del suo territorio fanno menzione tutti gli antichi scrittori, che parlano della guerra de’ Cimbri. Questo popolo feroce e formidabile era disceso pei monti trentini come un rovinoso torrente fino all’Adige. Cimbri, dice Floro 4 tridentinis jugis in Italiam provoluti ruina descenderunt [p. 3 modifica]ad Athesim. L’esercito Cimbrico aveva sparso il terrore in tutta l’Italia, ed in Roma medesima; ma venne sconfitto interamente e distrutto in una grande battaglia datagli da Mario, e dal suo collega Q. Catulo nel territorio di Verona, battaglia memorabile, per cui Mario meritò d’essere chiamato nuovo fondatore o salvatore di Roma. Prima di questa rotta nello scendere che facevano i Cimbri, e negli sforzi de’ Romani per opporsi loro, varj fatti d’armi successero nelle nostre parti. Il Proconsole Q. Catulo era venuto loro incontro nelle Alpi trentine, e vi aveva occupato vicino all’Adige un castello; ma ne fu da’ Cimbri scacciato, come leggesi nell’Epitome di T. Livio [lib. 68.] Cimbri repulso ab Alpibus fugatoque Q. Catulo Proconsule, qui fauces Alpium obsederat, et ad flumen Athesim castellum editum insederat, reliqueratque. Tra queste stesse Alpi seguì il celebre fatto del figlio di M. Emilio Scauro, il quale essendo nel numero di quelli, che avevano abbandonato in un conflitto il Proconsole, ed essendogli stato detto per ordine del padre, che si quid modo reliquum in pectore verecundiæ superesset, conspectum degener filius irati patris vitaret, si diede da se stesso disperatamente la morte. Valerio Massimo5, che questo avvenimento racconta, dice ch’esso seguì apud Athesim [p. 4 modifica]flumen, e Frontino6 più specificamente esprime in saltu tridentino.

Gli avanzi di que’ Cimbri, che scapparono alla strage universale nella sconfitta data loro da Mario, si rifuggirono ne’ vicini monti. Alcuni luoghi ancor vi sono tra i confini del Veronese, Vicentino, e Trentino, dove si parla il proprio ed antico idioma teutonico, prova assai chiara, che coteste generazioni discesero da quei tedeschi chiamati Cimbri, che dopo la sconfitta suddetta ottennero di campare la vita in quelle montagne. Il luogo sopra Trento chiamato Cembra in latino Cimbria, tuttochè oggidì sia una nobile terra, e non vi si parli che il dialetto comune italiano, pure dal nome, che ancor conserva, sembra essere stata anticamente una colonia di quegli antichi Cimbri. Il linguaggio cimbrico o teutonico parlasi ancora in quelle montagne del Perginese, i cui abitanti vengono chiamati Mocheni, e che ogni ragione ci porta a credere, che sieno pure i discendenti dell’antica gente Cimbrica.

È celebre tra le guerre, che narransi nella storia romana, la guerra Retica. I Reti seguendo il costume de’ popoli barbari di quei tempi scendevano sovente nella vicina Gallia, e nell’Italia a farvi de’ depredamenti e saccheggi, ed infestavano pure que’ Romani, che viaggiando per le lor terre passavano. Essi erano stati più volte respinti e sconfitti dalle [p. 5 modifica]armi romane; ma continuando eglino tuttavia di tempo in tempo le loro incursioni Augusto stabilì di sottomettere interamente e soggiogare queste genti, che insultavano la maestà di Roma; e non solo stabilì di sottomettere e soggiogare i Reti, ma tutte altresì le genti alpine cominciando dal mare Ligustico fino all’Adriatico. Poichè dovevansi domare popoli feroci e bellicosi, e superare inoltre passi difficili, e vincere molti ostacoli, che la natura opponeva, egli scelse il tempo più opportuno a fare la guerra ne’ monti, cioè quel della state, e diede il comando dell’armata ai due fratelli Claudio Druso, e Tiberio, che fu poi Imperatore, suoi figliastri. Venne prima coll’esercito Druso, il quale incontrata una parte de’ Reti presso le Alpi trentine venuto a battaglia li ruppe interamente, e li pose in fuga. Respinti dall’Italia i Reti infestavano tuttavia la Gallia; per lo che Augusto spedì poscia anche Tiberio contro di essi. Druso dunque e Tiberio penetrarono per diversi luoghi nelle altre montagne de’ Reti, e ritrovatili separati e dispersi gli hanno vinti tutti, e sconfitti per modo, che que’ che rimasero, resi omai troppo deboli, e perduto ogni coraggio si sottomisero interamente al dominio di Roma. Ma perchè assai popolata era la Rezia, ed avevasi ragion di temere, che que’ popoli non fossero per tentar nuova guerra col tempo, la massima e la più valida parte di essi fu trasportata altrove, nè vi fu lasciata se non tanta [p. 6 modifica]gente, quanta bastasse a coltivare il paese, ma non avesse più forze per ribellare e muover l’armi.

Parlarono di questa guerra T. Livio, Strabone lib. 4., Vellejo Patercolo nel lib. II., e Lucio Floro lib. 4. cap. 12., ma il racconto più esatto è quello, che ne fa Dione nel lib. 54. della storia romana. Il passo è il seguente: Eo tempore (Anno ab U. C. 738.) a Druso et Tiberio hæ res sunt gestæ. Rhæti inter Noricum, et Galliam ad Alpes Italiæ finitimas, quas Tridentinas nominant, sedes suas habent. Hi vicinam Galliam frequenter populati erant: etiam ex Italiæ finibus prædas egerunt, Romanosque et eorum socios iter per ipsorum terras facientes infestaverant. Id quidem consuetudine jam receptum erat, ut in eos, qui nullo ipsis essent fædere juncti, ita statuerent. Sed præter eos omnes masculos, quos comprehendissent, etiam in utero adhuc matrum (id enim quibusdam divinationibus investigabant) morantes necabant. Ea propter Augustus principio Drusum contra eos cum exercitu misit, isque Rhætos apud Alpes Tridentinas obviam sibi factos prælio congressus haud magno certamine fudit, ejusque victoriæ ergo prætorios honores adeptus est. Deinde cum ab Italia rejecti Rhæti nihilominus Galliam urgerent, Tiberium quoque contra eos misit. Proinde Drusus ac Tiberius simul multis locis in Rhætiam irrumpentes Legatorum opera, ac [p. 7 modifica]ipse etiam Tiberius per lacum navigiis subvectus exterruerunt ea re barbaros, dissipatosque aggressi haud difficulter multis exiguis præliis dispersas eorum copias deleverunt, reliquosque infirmiores exinde, ac animis collapsos in suam potestatem redegerunt. Quia vero populosa erat gens Rhætorum, videbanturque bellum denuo tentaturi, maximam ejus, et ætate validissimam partem inde abduxerunt iis relictis, qui et colendæ ei regioni sufficerent, et ad rebellandum non satis virium haberent.

Tale fu il principio e l’esito della celebre guerra Retica terminata colla sconfitta totale di que’ popoli pel valore delle armi romane, alle quali tutto doveva cedere. I differenti popoli, che componevano la Rezia, possiam credere, che avessero come gli altri popoli barbari un cieco coraggio, e combattessero con furore; ma essi ignoravano l’arte della guerra, e trascurarono inoltre i vantaggi dell’unione. Se avessero congiunte le loro forze, e combattuto avessero unitamente, forse avrebbero se non conservata, almeno difesa per più lungo tempo la loro libertà. Essi combatterono separati e dispersi; onde furono vinti e soggiogati gli uni dopo gli altri.

Magnifico trofeo fu eretto ad Augusto per le vittorie riportate sotto i suoi auspicj dai due fratelli Druso e Tiberio con Iscrizione conservataci da Plinio, ch’è la seguente:

[p. 8 modifica]


Imp. Caes. Divi. F. Augusto
Pont. Max. Imp. XIIII. Trib. Por.
S. P. Q. R.
Quod. Ejus. Ductu. Auspiciis. Que
Gentes. Alpinæ. Omnes
Quæ. A. Mari. Supero
Ad. Inferum. Pertinebant
Sub. Imperium. P. R. Redactæ. Sunt
Gentes. Alpinæ. Devictæ
Triumpilini. Camuni, Vennones
Vennonetes. Hisarci. Breuni
Naunes7 Focunates
Vindelicorum. Gentes IIII
Consuanetes. Virucinates
Licates. Cattenates
Abisontes . . . . .

Indi seguono i nomi d’altri popoli, che in tutti sono quaranta.

Anche i poeti non mancarono di celebrare queste vittorie. Orazio nel libro IV. ode IV. v. 17. dice

Videre Rhæti bella sub Alpibus
Drusum gerentem, et Vindelici...

E nell’ode XIV. ad Augusto

...Maxime Principum
Quem legis expertes latinæ
Vindelici didicere nuper
Quid marte posses. Milite nam tuo

[p. 9 modifica]

Drusus Genaunes, implacidum genus
Breunosque veloces, et arces
Alpibus impositas tremendis
Dejecit acer plus vice simplici.
Major Neronum mox grave prælium
Commisit, immanesque Rhætos
Auspiciis pepulit secundis

Considerando i nomi de’ popoli vinti, e nominati nell’Iscrizione, quelli che si riconoscono più chiaramente di tutti gli altri, sono i Camuni, cioè i popoli della Val Camonica, ed i Naunes o Genaunes, cioè i popoli della Val di Non detta sempre in latino Naunia o Anaunia. Uno scrittore tedesco dello scorso secolo, cioè Antonio Rosmano colloca i Genauni nelle vicinanze di Sterzing, ed i Breuni ne’ luoghi vicini al monte Brenner, riferendosi all’ode sopra citata d’Orazio, ma malamente a me sembra; poichè questo poeta dice, che la guerra Retica incominciò sotto le Alpi, e che quivi furono sconfitti i Nauni ed i Breuni: Videre Rhæti bella sub Alpibus Drusum gerentem. Che la prima battaglia data da Druso seguisse vicino a Trento, o presso le Alpi trentine, ne abbiamo inoltre la chiara testimonianza di Dione sopra citato: Isque Rhætos apud Alpes Tridentinas obviam sibi factos haud magno certamine fudit. I Triumpilini, i Camnui, i Venoneti, gl’Isarci, i Breuni nominati nell’Iscrizione sembra, che fossero popoli confinanti coi Nauni, i quali nominati vengono nell’Iscrizione [p. 10 modifica]subito dopo di essi. Il celebre Maffei Verona Illustrata Part. I. lib. IV. p. 11. parlando de’ Breuni dice, parergli quasi certo, che il primo luogo da questi popoli abitato fosse quello, che oggi si chiama Brè, ed è nell’alto della Val Camonica poche miglia lontano dal Trentino.

Può fare qualche difficoltà all’opinione del Marchese Maffei, che colloca i Breuni nell’alto della Val Camonica, il vedere, che nell’Iscrizione al trofeo i Camuni, che sono pure evidentemente i popoli della Val Camonica, vengono nominati separatamente dai Breuni, i quali perciò non in Val Camonica, ma in altro paese sembra che avessero loro stanza; ma ogni difficoltà si dilegua, allorchè si consideri, che Camuni potevan chiamarsi que’, che abitavan la valle inferiore, e Breuni que’, ch’eran posti nell’alto o nella sommità della valle, così chiamati dal luogo principale Brè, che vi esiste anche oggidì, non essendo punto improbabile, che i primi avessero un nome distinto e diverso dai secondi; di che v’hanno pure moltissimi altri esempj.

Che i Breuni fossero gli abitatori della sommità della Val Camonica, il Marchese Maffei n’era sì persuaso, che disse ciò parergli quasi certo; ma d’opinione diversa fu il chiarissimo Abate Tartarotti, il quale nelle Memorie antiche di Rovereto cerca di fissare la stanza de’ Breuni vicino al fiume Eno; perchè negli atti di S. Corbiniano si legge: [p. 11 modifica]In ipso autem itinere Romam pergendo, cum ad Breonos pervenit... Egli adduce inoltre i versi di Venanzio Fortunato in vita S. Martini

Si vacat ire viam, neque te Bojarius obstat
Qui vicina sedent Breonum loca, perge per Alpem.

Dal che si vede, dic’egli, che la sede de’ Breoní era vicina alla Baviera, e intorno all’Eno, tanto più che vestigi di tal nome conservansi ancora nel monte Brenner tra Sterzing, ed Innsbruck. Queste ragioni però valevoli punto non sembranmi ad abbattere l’opinione del Marchese Maffei. Altri sono i Breoni, de’ quali parlarono Corbiniano, e Venanzio Fortunato alcuni secoli dopo la guerra Retica, i quali si concede, che fossero intorno all’Eno, o presso il monte Brenner, ed altri sono i Breuni, de’ quali parlano l’Inscrizione al trofeo, ed Orazio. I Breuni, de’ quali parlano l’Iscrizione ed Orazio, dovettero esser popoli, che tra i primi furono vinti dai Romani, e vicini e confinanti ai Nauni; poichè i Breuni, ed i Nauni vengono nominati immediatamente gli uni dopo gli altri, e dopo di essi vengono nominati pressochè quaranta altri popoli vinti nelle susseguenti battaglie. Quando i Breuni nominati nell’Iscrizione e da Orazio dovessero intendersi gli abitatori de’ luoghi intorno al monte Brenner, allora si sarebbero nell’Iscrizione nominati tra’ primi quelli, che furono soggiogati gli ultimi.

[p. 12 modifica]Marco Velsero nella sua Vindelicia rapportando i versi d’Orazio: Videre Rhætis bella sub Alpibus Drusum gerentem et Vindelici, c’insegna, che dee cancellarsi la congiunzion et, e che la vera lezione è la seguente

Videre Rhaetis bella sub Alpibus
Drusum gerentem Vindelici

e questa essere la vera lezione parve pure al celebre Abate Quadrio nelle sue Dissertazioni sopra la Valtellina, delle quali parleremo di sotto. Orazio non dice già, che i Genauni ed i Breuni fossero popoli della Vindelicia, ma dice solo, che i Vindelici han veduto ed imparato, qual fosse il valore delle armi romane, allorchè videro Druso guerreggiar contro i Reti sotto le Alpi: Videre Rhætis bella sub Alpibus Drusum gerentem Vindelici. Nell’ode poi XIV. egli parla chiaramente in primo luogo della battaglia data da Druso ai Genauni ed ai Breuni, che fu quella di cui parla Dione seguita apud Alpes Tridentinas, e poi parla delle sconfitte, che Tiberio il maggiore de’ due fratelli diede agli altri Reti, ed in questa guisa ciò che dice Orazio, concorda esattamente col racconto di Dione.

Ma qualunque si fosse la stanza ed il soggiorno de’ Breuni nell’alto della Val Camonica o in altro luogo, ciò che sembra chiaro e certo, e fuor d’ogni dubbio si è, che i Naunes o Genaunes nominati nell’Iscrizione al trofeo, e da Orazio altri non sono, nè possono essere che i popoli della Valle di [p. 13 modifica]Non; poichè i popoli della Valle di Non furono sempre e in tutti i tempi chiamati in latino Naunes o Genaunes, e la Valle fu sempre chiamata Naunia o Anaunia. E chi mai esser potrebbero i Nauni o Genauni mentovati nell’Iscrizione e da Orazio, co’ quali seguì la prima battaglia appresso le Alpi trentine, se non i popoli della Valle di Non? La guerra Retica cominciò nelle nostre parti, e Dione attesta, che la prima battaglia seguì coll’esercito di Druso apud Alpes Tridentinas. Dunque la prima zuffa dee essere stata quella coi popoli della Valle di Non o soli, o congiunti con altri popoli circonvicini, e combinando il racconto di Dione con tutto ciò, che abbiam fin qui addetto, è manifesto, che i Nanui o Genauni mentovati nell’Iscrizione, e da Orazio sono i popoli della Valle di Non; poichè altri popoli apud Alpes Tridentinas non vi sono, nè vi furono mai con questo nome.

Dopochè io aveva scritto tutto questo essendomi venuta alle mani la Vita del ch. Abate Girolamo Tartarotti scritta dal sig. Abate Costantino Lorenzi e pubblicata l’anno 1805 in leggendola vidi, che di parere uniforme al mio era pur quel celebre Abate, il quale, qualunque si fosse la sua opinione intorno alla stanza de’ Breuni, quanto ai Nauni o Genauni giudicò, che questi altri non erano che i popoli della Valle di Non. All’autorità di questo insigne letterato, che ad una vasta [p. 14 modifica]erudizione e dottrina accoppiava uno squisito giudizio, e la cui vita fu in gran parte consacrata allo studio delle antichità, e della storia patria, possiamo aggiungere ancora quella del celebre Abate Quadrio, il quale nelle sue Dissertazioni critico-storiche intorno alla Valtellina stampate in Milano l’anno 1755 dopo aver citato nella Dissertazione II. i versi d’Orazio lib. IV. ode 14. Drusus, Genaunes implacidum genus .... I Genauni, dic’egli, detti in latino ANAUNI, GENAUNI, e NAUNES sono i popoli della Valle di Non posti di qua da Trento a gradi 46 minuti 9 di latitudine, che furono così nominati dal fiume Nauno oggi detto Non [ossia Nos]. Ma ciò basti dei Nauni o Genauni.

Non si veggono nell’Iscrizione al trofeo nominati punto i Trentini, come nominati sarebbero pure stati indubitatamente, se stati fossero essi pure nel numero de’ popoli vinti: onde convien dire, che già prima di quel tempo essi cogli abitanti della pianura venuti fossero all’ubbidienza di Roma.

Tutto il nostro paese dunque insieme col restante della Rezia, la quale oltre le Valli summentovate, ed i Grigioni comprendeva una gran parte del paese, che oggidì chiamasi Tirolo, venne nell’impero d’Augusto assoggettato al dominio di Roma; ma se i Reti vinti e sottomessi dai Romani perdettero la loro antica indipendenza e libertà, essi lor condizione migliorarono per tutti gli [p. 15 modifica]altri riguardi. I Romani facevano ne’ paesi di lor conquista fiorire l’agricoltura e le arti, che aumentano gli agi ed i comodi della vita umana, ed i popoli vinti venivano civilizzati dalle mani medesime, che gli avevano soggiogati. Augusto terminata la conquista della Rezia ordinò, come attesta Strabone lib. IV., che aperte fossero ed appianate nuove strade, e riparate, e ridotte in miglior forma le antiche vincendo, per quanto fosse possibile, gli ostacoli, che la natura de’ luoghi opponeva. Egli ordinò, che fossero presidiati con soldatesche i castelli, e vi fossero posti per tutto Speculatori, come rilevasi da più lapide, che ancor esistono, onde assicurare e mantenere l’ordine e la tranquillità pubblica.

Erano celebri in Roma i vini Retici, de’ quali soleva usare Augusto, e le viti Retiche rammentò Virgilio, il quale pare che giudicasse il loro vino unicamente inferiore al Falerno. Fa fede anche Strabone, che il vino Retico non cedea la palma ai più lodati vini d’Italia, e che a’ piè de’ monti Retici proveniva. Il Marchese Maffei nella Verona illustrata vuole, che tal vino sì rinomato si facesse in un certo luogo del Veronese. L’Abate Quadrio pretende, che i vini Retici fossero quelli della Valtellina, ed il sig. Clemente Baroni nel suo libro intitolato Idea della storia della Valle Lagarina pretende, che fossero quelli d’Isera; ma altri potrebbero pur dire, che forse erano i vini di [p. 16 modifica]Santa Massenza, o del Monte Calavino, o d’altre campagne alla città di Trento contigue.

Dopo la guerra Retica fu stabilita in Trento una colonia, come attestano più momunenti, de’ quali parleremo di sotto, e la Naunia ossia la Valle di Non fu innalzata in progresso di tempo all’onore di municipio. Splendida era la condizione delle colonie, le quali erano un’immagine ed un perfetto modello della romana Repubblica. Esse ricevevano bensì dal Senato romano, o dagli Imperatori le leggi; ma avevano l’interna amministrazione e governo di se stesse, creandosi dal corpo loro magistrati per l’interno governo e per l’amministrazione della giustizia, e godevano i diritti della cittadinanza romana. Esse avevano il loro consiglio pubblico, ovvero il loro senato, i loro Duumviri a somiglianza dei due Consoli romani, i lor Decurioni a somiglianza dei Senatori di Roma, i lor Censori, i Questori, gli Edili, ed altri magistrati. Esse avevano pure i loro sacerdoti, come gli Auguri, i Pontefici, i Flamini. Il Duumvirato era il sommo onore, ed il numero de’ magistrati era più o meno grande secondo la maggiore o minor grandezza delle colonie 8.

[p. 17 modifica]Municipio era una città o una regione ragguardevole, ai cui abitatori veniva pure dato il diritto di cittadinanza romana. I municipj egualmente che le colonie erano una specie o immagine di repubblica. Essi pure avevano il loro senato o consiglio pubblico, i loro Duumviri, i loro Decurioni, i loro Sacerdoti, Questori, Edili, Censori ed altri magistrati, che avevano il diritto d’eleggere e creare dal loro seno, e governavansi interamente quanto alla loro amministrazione interiore a guisa di repubblica, subordinati però sempre del pari che le colonie quanto alla somma delle cose alla suprema autorità del Senato romano e degli Imperatori. Le colonie del pari che i municipj erano ascritti ad una delle trenta Tribù in Roma, e tutti avevan il diritto di scegliersi tra i più illustri Patrizj romani un protettore, o patrono, che vegliava in Roma a’ loro interessi, e li proteggeva ne’ loro affari9.

Qual differenza fosse tra le colonie ed i municipj, tratta ampiamente Aulo Gellio10; ma al tempo di Adriano non si sapeva, qual fosse tra essi la condizione, che dovesse essere preferita, cioè se quella delle colonie o de’ municipj per modo ch’egli si maravigliò in vedere, che alcune città cospicue dell’Asia [p. 18 modifica]gli dimandavano il titolo ed il rango di colonie, quando godevano i diritti e gli onori di municipio.

Ben diversa era la condizione delle prefetture, o delle provincie; perchè a governarle spedivasi da Roma un Prefetto o un Proconsolo, il quale vi dettava le leggi a suo grado, nè alcun diritto esse avevano di crearsi i lor magistrati, e molto meno alcun diritto di cittadinanza romana, come avevano le colonie ed i municipj11. S’egli è assai probabile, che i Reti, dacchè furono soggiogati, fossero ridotti alla condizione di prefettura o provincia, ed in tale stato rimanessero per alcun tempo, egli è certo però, che in progresso alcuni di essi cangiarono condizione, e che altri aggregati furono alle vicine colonie o municipj, ed altri ottennero essi medesimi l’onore e le prerogative di municipio, quali furono i Nauni come appresso vedremo.

Che la città di Trento godesse la prerogativa e l’onor di colonia, tra molt’altri monumenti l’attesta l’insigne Iscrizione, che leggesi nella lapida, che tra alcune altre conservasi nel Castello del Buon Consiglio in Trento, e ch’è la seguente:

[p. 19 modifica]

C. Valerio. C. F. Pap.
Mariano
Honores. Omnes
Adepto. Trident
Flamini. Rom. Et. Aug
Præf. Qinq. Augur
Adlecto. Annon. Leg. III.
Italic. Sodali. Sacror
Tusculanor. Judici
Selecto. Decur. Trib.
Decurioni. Brixiæ
Curatori. Rei. P. Mant
Equo. Publ. Præf. Fabr
Patron. Colon
Publice

La Colonia trentina abbracciava verisimilmente tutte le terre, che le erano d’intorno di qua e di là dall’Adige, e tutta pure la Valle Lagarina fino ai confini del Veronese. In Avi terra nobile del Trentino ritrovate furono, alcuni anni sono, nel cavar terreno due Iscrizioni romane, le quali menzion fanno di più collegj di sacerdoti, indizio infallibile, che Avi non solo fu ne’ tempi romani, ma fu ancora considerabil villaggio, o vogliam dire un vico o castello della colonia di Trento. Questi sacerdoti venivano eletti dai Decurioni della colonia, a cui eran soggetti. Le due accennate Iscrizioni furono illustrate dal ch. Abate Girolamo Tartarotti (Memorie antiche di Rovereto p. 62.)

[p. 20 modifica]

Una insigne Iscrizione d’Augusto fu nello scorso secolo discoperta nella chiesa di S. Apollinare fuori di Trento, ch’è la seguente:

Imp. Caesar. Divi. F
Augustus. Cos. XI. Trib.
Potestate. Dedit
M. Appulejus. Sex. F. Leg
Jussu. Ejus. Fac. Curavit

Quest’Iscrizione fu dottamente illustrata dal Barone Giacomo Cresceri in un Opuscolo intitolato Ragionamento intorno ad un’Iscrizione Trentina d’Augusto stampato in Trento l’anno 1760. Augusto comandò al suo Legato M. Appulejo, ch’era già stato console di Roma, di fabbricare sopra il colle Verruca posto di là dall’Adige, detto ora volgarmente Dos Trento, un castello, il qual è ora distrutto, e solo pochi avanzi ne rimangono qua e là dispersi in sul colle.

Molte e varie lapide ed iscrizioni romane in diversi luoghi del nostro paese furono ritrovate, alcune delle quali furono pure illustrate da erudite penne, ed un’intera raccolta secondo l’ordine de’ tempi ne ha fatta l’eruditissimo Sig. Conte Benedetto Giovanelli, il quale ha dato in cotali studj altre luminose prove del suo valore, e solo è da desiderarsi, ch’egli mandi la sua dotta fatica alla pubblica luce.

Abbiam detto, che i Nauni ottennero in progresso di tempo la prerogativa e l’onore [p. 21 modifica]di municipio, e di ciò ne fa indubitata testimonianza la Tavola di bronzo, che qui sotto rapporteremo. Nell’anno 1595 in Nardò nel regno di Napoli tra le rovine d’un antico edifizio una tavola di bronzo fu ritrovata con iscrizione, che pubblicata ed illustrata con erudita dissertazione dall’Abate Pietro Polidoro leggesi nella Raccolta del Padre Calogera Tom. VII. n.° 18. Il dotto scrittore napolitano rettamente giudicò, appartener questa tavola ai popoli da Plinio chiamati Naunes o Genaunes, cioè ai popoli della Valle di Non, ed essere da questi stata mandata a M. Salvio Valerio, a cui è dedicata, in Roma, o in Napoli, o in altro luogo, ov’egli risiedeva. Questo insigne monumento merita di essere qui posto sotto l’occhio del leggitore

Antonio. Marcellino

Et. Petronio Probino. Coss
II. Nonas. Majas
Succlamante. Populo. D. Empurii. Nau
Ne. De. T. Offerenda. D. Aerea. D.
Incisa. Patronatus. M. Savio. Balerio. Viro
Splendido. Cui. Jam. Dudum. Secun
Dum. Boces. Ejusdem. Populi. Et. Bo
Luntatem. Onor. Patronatus. Oblatus. Est
Q.D.E.R.F.P.D.E.R.I.C. Cum. Devotus. Populus
Jampridem. M. Jul. Balerio. Publice
Onorem. Patronatus. Obtulerit
Cujus. Immensa. Beneficia

Semper. Non. Tantum. In Municipes Berum
[p. 22 modifica]
Etiam. In. Nos. Ipsos. Contulerit

Empurium. Quoque. Nostrum. Ita
Semper. Dilexerit. Ut. Ubicumq
Res. Elegit. Tutos. Defensosque. Præs
Tite
Rit. Propter. Quod. Necesse. Est
Eum. Remunerari. Oportere
Placet. Itaque. Universo. Popu
Lo. Empurii. Naunitani. Tabulam
Aeream. Incisam. Ei
Offeri. Debere. Quo. Gratius. Digne
Onorem. Sibi
Conlatum. A. Devotissimo. Populo. D.
Empurii. Nostri. Libenti. Animo
Suscipiat.
Censuentibus. Gn. Julio. Memio
Prætore. G.
Jul. Secundo. Cl. Gem. Afrodisio
D . . . . . . . . . .

Marcellino e Probino erano consoli nell’anno 341 dell’era volgare. Da questa Iscrizìone si raccoglie, che la Naunia aveva tra i Patrizj di Roma il suo protettore o patrono, il qual era della famiglia Valeria, che il Nauno o l’Anauno era un municipio, come attestano le parole: Non. Tantum. In Municipes. Berum. Etiam In Nos. Ipsos, e che perciò egli aveva i suoi magistrati, ed un’amministrazione sua propria, independente e separata da quella della colonia di Trento. E quantunque il Naunio fosse ascritto alla Tribù Papiria, a cui era ascritto pur Trento, [p. 23 modifica]da ciò non segue punto, ch’egli avesse comuni con Trento l’amministrazione e le leggi; poichè molte colonie, come a tutti gli eruditi è noto, e molti municipj diversi erano ascritti in Roma ad una stessa tribù; ma di questa Tavola di bronzo ossia di quest’Iscrizione io parlerò alquanto più diffusamente nelle Memorie storiche riguardanti particolarmente l’Anaunia o la Naunia.

Nella guerra, che avvenne dopo la morte di Nerone tra Galba, Ottone, e Vitellio fu turbata insieme con quella dell’Italia la pace pure della Rezia, la quale seguiva le parti di Vitellio. Varj fatti d’armi anche in essa ebber luogo tra i nemici eserciti, come narrasi da Tacito nella sua storia, e da altri; ma dopo le vittorie di Vespasiano anche la Rezia come ogni altro paese venne alla di lui obbedienza.

Nel Museo veronese v’ha un’iscrizione, che parla di Cecilio Cisiaco Vicelegato della Provincia Rezia. Ella non è anteriore agli Antonini, ma non posteriore a Costantino. L’uffizio de’ Vicelegati era quello di far le veci de’ Legati o de’ Presidi delle provincie; ma da ciò non dee dedursi, che Trento venisse a quel tempo amministrato a guisa di provincia; poichè le colonie, qual era indubitatamente Trento, godevano esenzione e independenza da’ Presidi, e quest’era un privilegio comune a tutte le colonie d’Italia soggette soltanto all’immediata [p. 24 modifica]autorità del Senato, e degli Imperatori. Lo stesso è da dirsi delle città e de’ paesi, che godevano l’onore di municipio: laonde il Legato o il Preside della provincia Rezia la sua autorità esercitava soltanto sopra le altre parti della Rezia prima e seconda, e non sopra le colonie o i municipj.

Nella Notitia Imperii si fa menzione del Duca della prima e seconda Rezia; ma la porzione di Rezia, ch’era in Italia, o ch’era all’Italia contigua ed annessa, niente aveva che fare, come abbiam detto, co’ Presidi anticamente. Trento era della Region X. d’Italia, e non è poi da dubitare, che tale non fosse anche nella posteriore division Costantiniana, come ben osserva il Marchese Maffei nella Verona Illustrata Part. I. lib. 8.

La Rezia fu durante l’impero de’ Romani più volte assalita dai barbari. I Catti popoli germanici penetrarono sotto Marc’Aurelio nella Rezia, la quale fu pure invasa poco dappoi dai Marcomani, e dai Quadi altre genti della Germania. Gli uni e gli altri furono vinti, e Pertinace uno de’ capitani di M. Aurelio liberò la Rezia ed il Norico dai nemici 12. Anche sotto Aureliano i Germani si portarono per la Rezia in Italia, e devastarono tutti i paesi dal Danubio fino al Po. Essi furono disfatti in una grande battaglia presso [p. 25 modifica]Fano nell’Umbria, ed in un’altra presso Pavia.

L’anno 358 i Guitunghi popoli pure dell’Alemagna sotto l’impero di Costanzo infestarono la Rezia; ma spedito di poi contro di essi Barbazione gli riuscì di dar loro una rotta, e loro insegnò di rispettare quindi innanzi le terre romane13.

L’anno 452 sotto l’impero di Valentiniano e Marciano seguì la famosa invasione d’Attila Re degli Unni appellato flagello di Dio in Italia, ma pare ch’essa non abbia punto toccato il Trentino; poich’egli venne dalla Pannonia, ed entrò in Italia per la parte del Friuli. Dopo aver assediata, e poi arsa e distrutta Aquileja Attila passò a Vicenza, Verona, Brescia, e Bergamo, poi si inoltrò a Milano e Pavia, e dopo aver saccheggiato varie città si attendò a Governolo, e mentre stavasi sospeso, se portar si dovesse a Roma, vennero gli Ambasciatori romani, fra i quali S. Leone Papa ed ottennero la pace14.

L’anno 457 gli Alemanni avevano fatta una scorrerìa nella Rezia vicino all’Italia, ma spedito contro di essi Burcone uno de’ principali uffiziali gli sconfisse. Fatto poi imperatore Majorano diede principio al suo governo con un’altra vittoria contro di essi15.

[p. 26 modifica]La Rezia abbracciava, come abbiam detto più sopra, oltra il paese de’ Grigioni, e la Valtellina, e le altre Valli summentovate, e i Nauni o Genauni, tutto il Trentino, ed una gran parte del paese che ora chiamasi Tirolo. Alla Rezia fu poscia giunta la Vindelicia, chiamata Rezia seconda, e Rezia prima denominossi quella, che abbiamo ora descritta.

Il Padre Arduino nelle note al Plinio lib. 3. cap. 16. dice, che le Alpi Retiche chiamansi Alpi Trentine, perchè Trento era la capitale della Rezia: Alpes Rhæticæ Tridentinæ appellantur a capite Rhætiæ Tridento. Che la città di Trento sia stata la metropoli della Rezia, l’osservaron pure molti altri gravi scrittori. Samuele Pitisco lex. ant. Rom., dice che Alpes Rhæticœ appellatæ fuerunt Tridentinæ a capite totius Rhætiæ Tridento, Athesi amni apposito. Filippo Cluverio nella sua Introd. geog. lib. 3. scrive in tal guisa: Supra Euganeos fuere Rhæti, duce Rhæto, ex Tuscis quum hi pellerentur e circumpadana regione a Gallis, orti. Fines habuere a Rheni fontibus ad fontes usque Dravi amnis in Danubium defluentis. Caput eorum Trídentum. Giovanni Doujat nelle Note a ''Tito Livio'' lib. 5. 33. ad usum Delph. dopo aver nominati i popoli o paesi componenti la Rezia, e descritti i loro confini soggiunge: Caput eorum Tridentum fuit. Fortunato Sprechero scrittore Grigione, il quale [p. 27 modifica]nella sua Rhætia sembrò voler rinserrare nei soli Grigioni tutta l’antica Rezia, dieci anni dopo questo suo libro avendo pubblicata l’Historia Motuum, et Bellorum .... astretto dalla verità confessò, che Trento fu veramente la metropoli della Rezia: Sic factum, ut caput Rhæticæ gentis Tridentum fuerit, uti post Vindelicorum Augusta.

Fin al quarto secolo tutto il nostro paese egualmente che i paesi finitimi professava ancora l’antica religione pagana, nè abbracciata aveva la fede di Cristo, perchè non vi era per anco stata annunziata. S. Vigilio, che fiorì in questo secolo, fu solo il terzo Vescovo di Trento, come dimostrò il ch. Abate Girolamo Tartarotti nella sua opera intitolata De origine Ecclesiæ Tridentinæ, et primis ejus Episcopis. S. Ambrogio Vescovo di Milano sapendo, che una parte de’ paesi vicini a Trento adorava ancora gli idoli, spedì a S. Vigilio tre cherici venuti da Cappadocia chiamati Sisinnio, Martirio, ed Alessandro, i quali ardevano di desiderio di predicare agli idolatri il Vangelo. S. Vigilio mandò i tre cherici nell’Anaunia, ove giunti vi fecero alcune conversioni, e fabbricarono nel villaggio ora detto S. Zeno una piccola chiesa; ma nella primavera dell’anno 397 facendosi dal popolo di que’ contorni le consuete lustrazioni o processioni intorno alla campagna, onde implorare dagli Dei l’abbondanza delle raccolte, il tre cherici, che vi predicavano [p. 28 modifica]una nuova fede, furono da una parte di quel popolo posti a morte. Dopo quest’avvenimento S. Vigilio portatosi nell’Anaunia vi predicò, e tutta la Valle abbracciò in seguito la religione cristiana. Egli raccolse poi le ceneri o le ossa de’ tre Ss. Martiri, una parte delle quali trasportò in Trento, e fabbricò a loro onore una chiesa nel luogo stesso, ove ebbero la morte. Egli diede poscia contezza del loro martirio a Simpliciano Vescovo di Milano successore di S. Ambrogio, ed a S. Giovanni Grisostomo Vescovo di Costantinopoli con due lettere, che tutt’ora conservansi, la seconda delle quali è intitolata: Ad Joannem Costantinopolitanum. In questa lettera egli fa un vivo e natural ritratto dell’Anaunia di quel tempo, che sembra pure il ritratto dell’Anaunia d’oggidì. Positus est, egli dice, locus, (cui inquilinum est Anagnia vocabulum) viginti quinque stadiis a civitate divisus .... angustis faucibus interclusus, uno pene aditu relaxatus, qui resupinus molli dorso, valle ex omni latere dissidente, castellis undique positis in coronam spectaculi genus exhibet scena naturæ. La storia del martirio de’ Ss. Sisinnio, Martirio, ed Alessandro è stata scritta con tutto quel corredo di erudizione e dottrina, che alla materia convenivasi, dal più volte lodato Abate Girolamo Tartarotti16. S. Massimo Vescovo di Torino, [p. 29 modifica]e S. Gaudenzo Vescovo di Brescia, e S. Agostino encomiarono le virtù di questi tre Santi chiamati da essi Clerici Anaunienses, e Martyres Anaunienses, ed il loro martirio divenne celebre nella Chiesa latina. Essi ebbero pur culto e chiesa particolare in Milano, nè dee qui tacersi ciò che narra il Muratori17, cioè che avendo le città Lombarde collegate contro l’Imperatore Federico Barbarossa riportata contro di esso una segnalata vittoria nella famosa battaglia tra Legnano ed il Ticino il dì 29 Maggio 1176, ch’è il giorno festivo de’ nostri tre Santi, i quali erano fin d’allora nel calendario della Chiesa di Milano, i cittadini milanesi attribuirono all’intercessione de’ Ss. Sisinnio, Martirio, ed Alessandro il glorioso avvenimento, e solenne ringraziamento ne resero a Dio, che continuarono a rendere anche dappoi annualmente nello stesso giorno 29 Maggio, festa de’ tre Santi Anauniensi.

Ma S. Vigilio dopo aver raccolte le ceneri de’ tre Santi Martiri, e fabbricato in loro onore una chiesa nel luogo della lor morte andò poco tempo dopo ad incontrare pur egli la stessa sorte; poichè ito personalmente a predicare la fede di Cristo nella Val di Rendena, ove non era ancor penetrata la luce del Vangelo, fu da quella gente furiosamente lapidato, e posto a morte. Il corpo del santo [p. 30 modifica]Vescovo fu poi trasportato in Trento, ed a lui fu dedicata la chiesa cattedrale, ove riposano le sue ossa insieme con quelle dei tre Martiri Anauniensi.

Tutta la Rezia, e con essa tutto il nostro paese rimase soggetto all’impero di Roma fino all’invasione de’ Goti, ed alla distruzione dell’Impero occidentale. Trento era, come abbiam detto, una splendida colonia, ch’era una piccola immagine della romana repubblica, ed era la capitale d’una grande provincia, cioè di tutta la Rezia, come Augusta fu poi la capitale della Vindelicia, ossia della Rezia seconda. La Naunia ebbe l’onore, e la prerogativa di municipio, che poco differiva da quella delle colonie. Noi ci persuaderemo facilmente dello stato avventuroso de’ nostri antenati in quei tempi, allorchè considereremo, qual fosse la prosperità e la felicità generale di tutte le genti, e di tutte le contrade, ch’erano venute all’ubbidienza di Roma. Gettiamo una rapida occhiata su questa parte della storia.

Reca stupore il vedere l’immensa estensione e grandezza del romano Impero, ma ciò che più importa è la felicità, di cui godevano tante nazioni al medesimo soggette. Roma aveva sottomesse le più belle regioni della Terra, che unite tra di esse dalle leggi, ed abbellite dalle arti godevano nel seno della pace tutti gli agi, e tutta la felicità, di cui possono quaggiù godere gli uomini. [p. 31 modifica]Poteva accadere, che alcuna di esse soffrisse talvolta qualche abuso d’autorità per parte di qualche proconsole o governatore; ma il principio del governo non era che il benessere e la felicità de’ popoli. L’Oriente era già da lungo tempo in possesso delle arti, ed era pieno di ricchezze e di lusso. Le provincie occidentali dell’Impero, che prima d’esser conquistate erano rozze, incolte, e barbare, ricevettero ben tosto da Roma insieme colle leggi la pulitezza, le scienze, e le arti. La lingua di Cicerone e di Virgilio divenne universale non solo in Italia, ma nella Spagna, nelle Gallie, nella Bretagna, nella Pannonia, e nell’Africa. Tra tutti i mezzi, che il Senato romano impiegò, onde mantenere ubbidienti e fedeli tante, e sì diverse, e sì rimote nazioni, egli sentì, che il più possente e più sicuro d’ogn’altro era quello di far amare a’ popoli vinti il nuovo governo, con rendere lo stato e la condizione loro migliore di quella, in cui prima trovavansi, con far fiorire per tutto l’agricoltura, le arti, il commercio, e con far regnare le leggi, l’ordine pubblico, e la giustizia. Quindi universali erano l’opulenza, e la ricchezza, e la prosperità de’ popoli, conseguenze della sapienza e moderazion del governo.

Le ricchezze però non tutte venivano consumate in vane spese, o in vane ed inutili pompe; perchè impiegate pur erano all’abbellimento delle città, ed al bene e vantaggio [p. 32 modifica]pubblico. Fra le magnifiche e superbe opere consacrate all’utilità universale poche furono quelle, che abbiano resistito alle ingiurie del tempo e della barbarie; ma le loro maestose rovine sparse nell’Italia ed in tante altre provincie provano, a qual alto grado fosse giunta l’opulenza e la ricchezza pubblica. Anfiteatri, tempj, portici, bagni, acquedotti, ed altri superbi edifizj erano bensì opera per la più parte della magnificenza degli Imperatori; ma v’ebbero pur quegli eretti dalle città e dai cittadini o personaggi più doviziosi, che le loro ricchezze amavano d’impiegare in monumenti destinati all’utilità ed all’ornamento delle lor patrie.

Dacchè poi per legge dell’Imperatore Antonino Caracalla tutti i sudditi del dominio romano furono fatti cittadini di Roma, la carriera delle dignità e degli onori era aperta a tutti i sudditi dell’Impero egualmente, e tutti potevano correrla d’un passo eguale, qual che si fosse il paese o la contrada, in cui erano nati. I Galli, gl’Ispani, e generalmente gli uomini di merito di qualunque nazione ottenevan seggio nel Senato romano, comandavano delle legioni, e governavano delle provincie. Noi ne abbiamo nelle nostre parti un esempio in Sesto Festo Rufo, il quale per testimonianza d’Amiano Marcellino era Trentino, e che salì alle prime dignità dell’Impero, e fu Proconsole dell’Asia sotto [p. 33 modifica]l’Imperatore Valente18. Tutti gli abitanti delle provincie conoscevano lo stato fortunato e felice, di cui godevano, e tutti gli storici di quei tempi ci descrivono la maestosa bellezza delle città, l’aspetto ridente della campagna coltivata come un immenso giardino, e que’ giorni di festa, ne’ quali tante nazioni governate dalle medesime leggi celebravano in mezzo alle dolcezze della pace la felicità, e la prosperità pubblica.

Tal è il quadro, che fa un grande storico 19 dell’Impero di Roma, e della felicità, di cui goderono tutte le nazioni, ch’erano ad esso soggette massime ne’ due primi secoli, che seguirono l’elevazione d’Augusto: e dallo stato della prosperità generale ben possiamo argomentare, quale fosse pur quella del nostro paese. Trento, sebbene sia anche oggidì bella città e ben fabbricata, ed adorna di molti palagi, e molti nobili edifizj, ogni ragione però dee farci credere, che al tempo de’ Romani più bella fosse ancora, e più popolosa, e più grande, e di maggiori ornamenti fregiata, com’erano tant’altre città in quei fortunati tempi. Quella moltitudine di castella dell’Anaunia, cioè di terre e [p. 34 modifica]villaggi, che posti in corona al dire di S. Vigilio nella lettera ad Joannem Costantinopolitanum presentavano a chi entrava nella Valle l’aspetto d’una specie di teatro, era una prova della prosperità e felicità pubblica, e del saggio e dolce governo de’ Romani. Anche que’ villaggi, e quelle terre, che nelle altre parti del Trentino or veggiamo, molte delle quali son oggidì pur nobili e ragguardevoli, erano forse in quel tempo più ragguardevoli ancora; poichè i secoli infelici, che susseguirono, e le invasioni de’ popoli settentrionali, e le devastazioni, e gl’incendj, e le ruine, da cui furono accompagnate, gittarono tutta l’Italia in un nuovo stato di barbarie, e di povertà, a cui ella non uscì che lentamente nelle posteriori età. Ella salì bensì poi nuovamente ad opulenza e grandezza; ma per quanto sia il suo presente splendore, esso è tuttavia ben lungi dall’eguaglìare l’antico.

Egli è vero, che v’ebbero talvolta dei tiranni, che insanguinarono e funestarono Roma; ma le crudeltà di Tiberio, di Caligola, di Claudio, di Nerone, di Domiziano, di Commodo e d’altri non furono fatali che ad alcuni particolari, e ad alcune famiglie le più elevate della capitale, nè si fecero pressochè sentire oltre il recinto dil Roma. Se si eccettua la tempesta, che avvenne dopo la morte di Nerone per le guerre di Galba, Ottone, e Vitellio aspiranti all’Impero, ma dissipata ben tosto da Vespasiano, i due [p. 35 modifica]primi secoli non furono turbati da alcuna guerra nè esterna, nè interna o civile, ed allorchè si considerano i tempi fortunati d’Augusto, il cui regno durò quarant’anni, e quelli di Nerva, di Trajano, di Adriano, e dei due Antonini occupati non d’altro che della felicità pubblica, la qual’era l’unico oggetto delle lor cure, quale magnifico spettacolo non ci presenta lo stato felice, di cui godette la natura umana in tutte le parti dell’Impero romano! Il regno di Trajano, di Adriano, e dei due Antonini durò ottant’anni, e invano cercherebbesi un altro periodo simile negli annali del mondo.

Vero è, che dopo la divisione dell’Impero fatta da Diocleziano, non meno che dopo quella fatta da Costantino tra’ suoi figli, il mantenimento delle corti dei diversi Imperatori e Cesari, e le guerre, ch’essi poi si fecero gli uni contro gli altri, e le varie altre guerre interne o civili, che in varj tempi insorsero tra i diversi pretendenti alla porpora imperiale, e le guerre straniere e le invasioni de’ barbari, ed altre molte cagioni indebolirono sempre più la forza dell’Impero, e la sua primiera possanza, ed i popoli aggravati essendo di sempre maggiori contribuzioni ed imposte, l’opulenza e la prosperità pubblica andò sempre più decadendo, ed è vero pure, che negli ultimi tempi del romano Impero infelicissimo era divenuto lo stato d’Italia; ma resta sempre vero altresì tutto ciò che [p. 36 modifica]abbiam detto della felicità, di cui ha goduto generalmente l’Impero romano, e per conseguenza anche la nostra patria per un sì lungo corso di tempo.

Sfortunatamente i corpi politici per quanto sieno grandi e possenti portano seco come i corpi naturali sempre misti i semi della loro rovina, e quando que’, che li governano, non pongano incessantemente in opera quei mezzi, che più atti sieno a conservarli, essi vanno ogni dì più decadendo, e cadono in fine interamente, e periscono. L’Impero romano dopo esser asceso a quell’alto grado di gloria, di possanza e grandezza, a cui non salì mai nè prima nè dopo alcun altro Impero del mondo, vide finalmente in Occidente giunger il tempo fatale della sua caduta. Odoacre fu il primo fondatore del regno dei Goti in Italia, e noi passeremo ora a parlare del loro dominio.


Note

  1. Plin. l. 3. c. 19.
  2. Maffei Verona illustrata lib. I.
  3. T. Liv. Histor. lib. V.
  4. Lib. 3. cap. 3.
  5. Memorabil. lib. 3. cap. 8. §. 4.
  6. Stratagem. lib. 4. cap. 1 §. 3.
  7. Alcune edizioni di Plinio in luogo di Naunes hanno Genaunes.
  8. In coloniis erat consilium et senatus et populi. Senatores in coloniis Decuriones vocabantur. Magistratus præcipui erant Duumviri, Censores, Ædiles, Quæstores. Samuel Pitiscus v. coloniæ.
  9. Veggasi su tutto questo Sigonio De antiquo jure ital. cap. II. e segg.
  10. Noct. Att. lib. XVI. cap. 13.
  11. Praefecturæ erant oppida, in quibus, qui habitabant, non suis legibus ut municipes vivebant, nec ullos de suo corpore magistratus creare poterant, sed a magistratibus a Roma missis regebantur iis legibus, quas romanus magistratus dixisset, qui quoniam præfectus vocabatur, præaefecturæae dicebantur. Samuel Pitiscus v. Praefecturæ
  12. Murat. Annal. d’Italia. Anno 168, ed Anno 175.
  13. Muratori Annal. d’Ital. Anno 358.
  14. Muratori Annal. d’Ital. Anno 452.
  15. Muratori Annal. d’Ital. Anno 457.
  16. Memorie storiche del martirio de’ Ss. Sisinio, Martirio ed Alessandro.
  17. Annal. d’Ital. Anno 1176.
  18. Questo Sesto Festo Rufo fu un personaggio celebre per molti titoli. Egli compose un compendio della storia, o dello stato dell’Impero romano, per uso degli Imperatori, il quale conservasi anche oggidì.
  19. Gibbon de la dècadence, et da la chûte de l’Empire Romain Vol. I. cap. II.