Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo LXV - Pio VII in Ceva.

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Capo LXV - Pio VII in Ceva.

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Capo LXIV - Repubblica Cisalpina e l’Impero Francese. Serie cronologica dei vescovi d’Alba.
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CAPO LXV.


Pio VII in Ceva.


Un avvenimento memorando per Ceva fu certamente la fermata che vi fece il sommo Pontefice Pio VII, li 16 agosto 1809. Non sarà discaro al lettore che si facciano precedere alla narrazione di questo avvenimento alcune interessanti memorie sulle vicende luttuose di questo gran Pontefice.

Nato in Cesena il 14 agosto 1742, dalla nobile famiglia Chiaramonti, fu eletto sommo Pontefice li 14 marzo 1800, nel Conclave tenutosi in Venezia a cagione delle turbolenze d’Italia.

Li 3 luglio stesso anno fece la sua entrata in Roma che trovavasi in preda a gravi disordini cagionati dalla ivi stabilita repubblica francese.

Non ostante i forti dissidii insorti tra la S. Sede ed il conquistatore d’talia Napoleone Bonaparte, Pio settimo sulla speranza di cattivarsi l’animo di questo gran capitano, e di allontanar dalla chiesa maggiori sciagure si arrese all’invito fattogli di andarlo ad incoronare in Parigi li 2 decembre 1804 Imperatore dei francesi e Re d'Italia.

Ritornato a Roma li 16 maggio 1805, ebbe a sostenere continue lotte coll’ingrato imperatore, che ad ogni modo voleva spogliarlo del patrimonio di S. Pietro e di ogni podestà temporale.

Le cose si spinsero al punto di venir decretato il di lui arresto. [p. 318 modifica]Lasciamo che questo luttuoso e troppo celebre avvenimento venga narrato da Carlo Botta, istorico contemporaneo di queste vicende.

« Occupata Roma per ordine di Napoleone, si vide Pio settimo costretto a fulminar la scomunica, contro l’usurpatore, e tutti i suoi fautori ed aderenti.

Data la sentenza si ritirava (il Papa) nei penetrali del suo palazzo attendendo a pregare, ed aspettando quello che la nemica forza fosse per ordinare di lui. Fe’ chiudere diligentemente le porte, e murare gli aditi del Quirinale, acciocchè non si potesse pervenire nelle interne stanze sino alla sua persona, se non con manifesta violazione del suo domicilio.

Informarono i Napoleoniani il loro padrone dello sdegno del Papa, e della fulminata sentenza: pregarono, ordinasse ciò che avessero a farsi.

Rispose, rivocasse il Papa la scomunica, accettasse gli offertigli due milioni; quando no, l’arrestassero ed il conducessero in Francia. Duro comando trovò duri esecutori. Andarono la notte del 5 luglio (1809) sbirri, masnadieri, galeotti e con loro, cosa incredibile, generali e soldati napoleoniani alla violazione della pontificia stanza. Gli sbirri, masnadieri ed i galeotti scalarono il muro alla panatteria, dove era più basso, ed entrati, aprirono la porta ai napoleoniani, parte gente d’armi, parte di grossa ordinanza.

Squassavansi le interne porte, scuotevansi i cardini, rompevansi i muri: il notturno rumore di stanza in stanza dell’assaltato Quirinale si propagava: le facelle accese che parte dileguavano, parte più addensavano l’oscurità della notte, accrescevano terrore alla cosa. Svegliati a si grande ed improvviso fracasso, tremavano i servitori del Papa: solo Pio imperterrito si mostrava. Stava con lui Pacca, cardinale, chiamato a destino peggiore di quello del Pontefice, per avere in tanta sventura e precipizio serbata fede al suo Signore, pregavano e vicendevolmente si confortavano. Ed ecco arrivare i napoleoniani, atterrate o fracassate tutte le porte, [p. 319 modifica]alla stanza dell’innocente e perseguitato Pontefice. Vestivasi a fretta degli abiti pontificali: voleva che rimanesse testimonio il mondo della violazione, non solamente della sua persona, ma ancora del suo grado e della sua dignità. Entrò per forza nella pontificia camera il generale di gendarmeria Radet, cui accompagnava un certo Diana, che per poco non aveva avuto il capo mozzo a Parigi per essersi mescolato in una congiura contro Napoleone, con lo scultore Ceracchi, ed ora si era messo non solamente a servir Napoleone, ma ancora a servirlo nell’atto più condannabile che da lungo tempo avesse commesso. Radet, pensando agli ordini dell’imperatore venne tostamente intimando al Papa, accettasse i due milioni, rivocasse la scomunica, altrimenti sarebbe preso e condotto in Francia. Ricusò, non superbamente, ma pacatamente, il che fu maggior forza, il Pontefice la proferta. Poi disse, perdonare a lui, esecutor degli ordini: bene maravigliarsi che un Diana, suo suddito, si ardisse di comparirgli avanti, e di fare alla dignità sua tanto oltraggio; ciò non ostante, soggiunse, anche a lui perdonare..... Preso con una mano un Crocifisso, coll’altra il Breviario, ciò solo gli restava di tanta grandezza... s’incamminava dove condurre il volessero. Il generale Miollis (quel desso che fu comandante di Ceva alla resa del forte), passeggiava nel giardino del contestabile per sorvegliare all’operazione. Non era senza sospetto di qualche rumore, motivo per cui scelse la notte.

Assiepato da ogni intorno dalle armi napoleoniche fu celeremente accompagnato alla carrozza che a questo fine era stata apparecchiata, e solo con Radet, entrò in essa e si partì precipitosamente per la Toscana per prevenire la fama dell’arresto.

Trasmettevansi l’uno all’altro i gendarmi di stazione in stazione il cattivo e potente Pio.

Quel di Genova, temendo di qualche moto nella riviera di Levante, l’imbarcava sur un debole schifo che veniva di Toscana. Domandò il Pontefice al carceratore se fosse intento [p. 320 modifica]del governo di Francia di annegarlo. Rispose negando. Posto il piede a terra il serrava nell’apprestate carrozze in Genova, pena di morte ai postiglioni se non galoppassero. Sostossi in Alessandria, come in luogo sicuro per le soldatesche, a desinare. Poi traversossi il Piemonte con velocità di volo; a S. Ambrogio di Susa, il carceratore apprestava i cavalli per partire con maggior celerità che non era venuto. Lasso dall’età, dagli affanni, dal viaggio, l’addomandava il Pontefice, se Napoleone il voleva vivo o morto; vivo, rispose. Dunque starommi questa notte in S. Ambrogio. Varcato il Moncenisio, e traversata la Savoia, fu lasciato il Papa fermarsi qualche giorno in Grenoble. Come se altra strada non vi fosse, fu fatto passare a Valenza di Delfinato, stanza di morte di Pio VI; atto tanto più incivile quanto non necessario.» Per Avignone, per Aix, per Nizza di Provenza e Cuneo, giunse a Mondovì, alle ore 6 pomeridiane di domenica 13 agosto 1809, prese alloggio in casa Germagnano, e passò in quella città la festa dell’Assunta. Celebrò nella cattedrale la S. Messa, vestito delle paramenta che ivi lasciò S. Pio V, e la mattina dei 16 agosto, partì per Ceva, in una sedia gestatoria non essendovi ancora strade carrozzabili.

Alle ore 11 di mattina dello stesso giorno, arrivò in Ceva accompagnato dal prelato Doria e dalla gendarmeria capitanata da Boissard uomo di duri modi e di niun risguardo per la sacra persona che accompagnava.

Il signor avv. Antonino Morretti presidente del tribunale di prima istanza l’accolse nel suo palazzo, e nulla risparmiò per onorare in ogni maniera l’ospite illustre e sventurato.

Ricevette il S. Padre al bacio del piede, l’arciprete e canonici della Collegiata, le autorità tutte del paese e i più distinti cittadini.

Al pranzo apprestatogli mangiò non altro che due uova al guscio, un po’ di zuppa, e un tantino di trotta; così disse un antico servo di casa Greborio che lo serviva. Ogni qualvolta s’accostava questi al papa faceva genuflessione. Il papa [p. 321 modifica]gli disse amorevolmente, non occorre mio figlio che vi diate tanto incomodo.

Dopo questa così parca refezione andò a riposo, e dormì per due ore in un letto all’imperiale, che al dire del suo cameriere particolare avea molta somiglianza con quello in cui dormiva nel Vaticano. Questo letto ora trovasi nella casa parrocchiale dello scrivente, come preziosa memoria d’un tanto personaggio.

S’affollò gran gente nella pubblica piazza. Il Pontefice da un balcone di casa Morretti diede al popolo la benedizione papale. E siccome i tetti delle case in prospettiva erano coperti di gente avida di vederlo, ne fu egli commosso, e quel che più attirò il suo sguardo si fu un ragazzo che si era avviticchiato alla croce dell’arciconfraternita.

Alli 5 della stessa sera Boissard diede ordine della partenza, si trovarono alla porta del palazzo due lettighe, l’una pel santo Padre e l’altra pel prelato Doria.

Erano pronti otto robusti portatori sotto la direzione del signor Andrea Ponte fu Giuseppe uomo di conosciuta probità e religione, e che fu narratore allo scrivente di quanto si dirà in appresso.

Boissard con quattro gendarmi a cavallo scortava la pontificia lettiga, seguiva il signor sindaco Giacomo Davico e i civici consiglieri, non che una turba di persone che a dispetto del Boissard tenevano dietro al santo Padre. Alle Mollere s’aggiunsero altri gendarmi, ed altri a Priero per tema che si facessero tumulti e dimostrazioni in favore del Papa.

Giunto il convoglio nella piazza di Priero si prese fiato. Boissard indispettito per la calca che assediava la lettiga del S. Padre, gridò che si andasse avanti, fece scalpitare bruscamente il suo cavallo con ispavento dei circostanti e si riprese la marcia. Ne restò offesa tutta la popolazione, e la civica amministrazione di Ceva giustamente sdegnata pel villano procedere di quel capitano se ne ritornò rattristata alle proprie case. [p. 322 modifica] Varcato il colle di Montezemolo si fermò la comitiva nella valle del Belbo. Il santo Padre chiese a Ponte che region fosse quella. Ponte rispose la valle di Belbo. Aperse il Pontefice la carta geografica che seco aveva e si fece ad esaminarla. Uscì dalla sua lettiga il prelato Doria, si portò a quella di S. S. per chiederle se abbisognava di qualche cosa. Rispostogli di no si continuò la via, e traversando Roccavignale si vide molta gente a correr sul passaggio del Papa piangendo e gridando, o santo Padre! e Lui compartiva loro la benedizione intenerito anch’esso sino alle lacrime.

Giunti alla valle di Millesimo nelle ore che incominciava ad imbrunire, si trovarono sei persone con torchie a vento che precedevano il Municipio che veniva ad incontrare il Pontefice. Si accompagnò al palazzo della nobilissima dama la signora contessa Del Garretto di Millesimo nata Mazzetti di Saluggia, donna d’alti e nobili sentimenti e specchio di virtù e di religione1.

[p. 323 modifica] Per una bizzarra combinazione fu assegnata al santo Padre la camera istessa, e l’istesso letto in cui nel 1796 aveva dormito Napoleone Bonaparte.

La mattina dei 17 agosto alle ore 8 dopo aver sentita la messa nella cappella del palazzo, continuò il S. Padre il suo viaggio per le Carcare. L’aspettavano colà con tre carrozze il prefetto di Savona e tre vescovi. In Carcare alloggiò in casa del signor Bartolomeo Ferreri2.

Il Prefetto con piglio militare licenziò il fiero Boissard, che tornossene addietro scornato da tutti quelli che lo videro a trattare con tanto sgarbo il santo Padre.

I portatori di Ceva ebbero dal Papa un luigi d’oro di mancia caduno, e se ne tornarono a casa gloriosi d’aver avuto l’onore di servire sì d’appresso il Padre comune dei fedeli.

Pio VII la notte del 9 giugno fu con gran segretezza, condotto a Fontainebleau in Francia dove Napoleone poco dopo arrivava; caso fatale, che là dove otto anni prima era Pio arrivato trionfante ora prigioniero arrivasse, e di là dove [p. 324 modifica]era Napoleone signore del mondo arrivava, prigioniero, due anni dopo se ne partisse.

Caduto Napoleone, Pio VII lasciò Fontainebleau il 23 gennaio 1814, il 24 maggio si trovò in Roma.

Ne ripartì il 22 marzo 1815 per l’occupazione di Murat nei cento giorni. Venne a Savona in quel frattempo ed incoronò solennemente il Sacro Simulacro di Maria SS. della Misericordia che si venera nel celebre santuario di quella città.

Pio VII perseguitato morì libero in Roma il 20 settembre 1823. Napoleone persecutore morì prigioniero in sant’Elena li 5 maggio 1821.

Napoleone vinse tutta l’Europa, Pio VII vinse Napoleone, di chi sarà maggior la gloria? di chi vinse col ferro e fece correre fiumi di sangue, o di chi vinse coll’umiltà e colla fiducia in Dio, e pregò pei suoi persecutori?

Alla caduta di Napoleone cadde pur Ceva dall’antico suo lustro e dall’importanza che le derivava dall’essere capo di sottoprefettura.

Al ritorno di Casa Savoia in Piemonte fu nominato un comandante, e destinata una guarnigione per questa città, ma nè l’uno nè l’altro riuscirono di gradimento a chi ambiva di primeggiare e si fece istanza al governo, onde fosse richiamato il comandante e la guarnigione, e Ceva fu ridotta ad un ristretto mandamento di Giudicatura come trovasi al presente.

Qui si mette fine alle memorie istoriche di Ceva, e s’aggiungono a modo d’appendice la cronologia dei vescovi d’Alba, che ha con Ceva molti rapporti, ed un breve cenno istorico dei paesi sui quali si estendeva la giurisdizione di questo marchesato.

Note

  1. Il Colonnello Boissard o Boizard voleva spegnere le torchie, perchè non si vedesse chi era nella lettiga, e voleva impedire che il Santo Padre si mettesse al balcone, onde benedire l’immensa popolazione accorsavi, se non che avvisato dall’Arciprete di Millesimo D. Giovanni Giuseppe Monge da Alba che ciò facendo si poteva fare una sollevazione, non vi si oppose oltre. Nella mattina seguente il S. Pontefice sentì la Santa Messa celebrata da Monsignor Doria, ed un’altra, quindi partì. Il Boissard barbaramente sferzava coloro che si volevano avvicinare alla lettiga;
    Si conservano con religiosa premura gli oggetti che furono usati dal Santo Pontefice dal compitissimo gentiluomo Carlo Aleramo Del Carretto di Gorzegno, Novello e Moncrivello, Gran Cacciatore e Gran Falconiere, Commendatore dell’Ordine de’ Santi Maurizio e Lazzaro, Cavaliere di altri ordini, il quale aveva sposata la spiritosa damigella Valburga unica figlia ed erede di Enrico Del Caretto dei Marchesi di Savona, Conte di Millesimo, Cengio, Cosseria, Rocchetta ecc. e della sullodata Contessa Gabriella Mazzetti di Saluggia. Si racconta il seguente aneddoto relativamente alla giovinetta damigella, cioè che non contento il truce carceriere Boissard di tenere in dura custodia ed affliggere l’illustre suo prigioniero voleva farla da padrone in casa altrui, col destinare i posti all’imbandita mensa, gli si oppose l’ardita damigella, dicendo che a lei sola, in assenza della Contessa madre incommodata, apparteneva di comandare nella sua casa. Estinta la linea dei Del Garretto di Millesimo nella Contessa Valburga, i diritti ed il titolo passarono nell’egregio suo figlio il Conte Gustavo che come si disse è dell’istessa agnazione Del Carretto. (A. B.)
  2. In memoria di quest’avvenimento fu dall’egregio signor Nicolò Ferreri nipote ex filio del suddetto Bartolomeo posta un’epigrafe sotto il ritratto di quel gran Pontefice, che rammenta la sua fermata in quella sala. In quella sala istessa alloggiò tre volte e per diversi giorni Napoleone Bonaparte, vi segnò la capitolazione del forte di Cosseria ai 14 aprile 1796, dopo la fiera battaglia di Millesimo. A proposito di questa battaglia si racconta il seguente fatto: Bonaparte si fece accompagnare dal prelodato Bartolomeo Ferreri onde scorgere come andava l’attacco del forte di Cosseria, e fermatosi a guardare da posizione troppo lontana per vedere chiaramente, ed invitato dal Ferreri ad avvicinarsi un poco più, rispose, che un generale senza un potente motivo non doveva avventurarsi alle palle nemiche. Napoleone era solito dire che da Millesimo derivava la sua nobiltà e la sua fortuna, ed avrebbe anche dovuto soggiungere, dalla cattura del Pontefice la sua disgrazia. (A. B.)