Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo XXI - Cevesi illustri per pietà e per dottrina in materie ecclesiastiche.

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Capo XXI - Cevesi illustri per pietà e dottrina in materie ecclesiastiche.

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Capo XXI - Cevesi illustri per pietà e dottrina in materie ecclesiastiche.
Capo XX - Vescovi del secolo XVII e XVIII. Capo XXII - Segue degli uomini di Chiesa.
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CAPO XXI.


Cevesi illustri per pietà e per dottrina

in materie ecclesiastiche.


1. Roberto Ceva.

Nel 1315 moriva in Assisi Roberto Ceva figlio di Guido dei marchesi di Ceva e conte di Battifollo. Per le sue rare virtù e per miracoli operati si meritò il titolo di Beato. Come religioso Francescano trovavasi nel convento d’Assisi in quell’anno appunto in cui vi era colà un gran concorso di forestieri per l’indulgenza plenaria della Portiuncola. Alla sua morte si fecero solennissime esequie, a cui prese parte il figlio di Carlo II re di Sicilia per nome Pietro.

Ecco quanto ne lasciò scritto il Vadingo:

« Occurrit.... memoria fratris Roberti filii comitis Guidonis de Battifollo qui hoc anno (1315) tempore indulgentiae Portiunculae, virtutibus et miraculis clarus obiit Assisii, solemniter praeparatis exequiis interfuit dominus Petrus Caroli II Siciliae regis filius, ac sancti Ludovici Tolosatis episcopi frater, qui tunc eamdem lucraturus indulgentiam venit Assisium. »


2. Fra Bonifacio Ceva.

Nel 1507 fiorì in Francia Fra Bonifacio dei marchesi di Ceva celebre predicatore provinciale dei minori osservanti. Morì in Parigi, e sulla sua tomba si appose il seguente epitaffio: « F. Bonifacii de Ceva clarissimis natalibus orti, [p. 115 modifica]omnique disciplinarum gloria eminentissimi, ac provinciae Franciae ordinis minorum ministri praestantissimi hic sita sunt ossa 1507 aprilis 12. »

Il suo nome al secolo era Giovanni Galeazzo figlio di Carlo e Catterina Grimaldi marchesi di Ceva e consignori di Garessio e di Ormea.

Fu uomo di gran dottrina e di gran santità, meritò che Leone X approvasse le sue costituzioni della regolare osservanza. Lasciò scritte opere utilissime sulla perfezione cristiana, sull’odio dei vizi, e sulla scienza del ben morire. Era pure dotato di singolare prudenza e sagacità che adoperò efficacemente nel sedare i tumulti onde era a’ suoi tempi travagliata la Francia.

Nell’elenco degli scrittori piemontesi si fa di lui il seguente elogio: « Vir in scientiis excellentissimus... in negotiis pertractandis mirae dexteritatis, et prudentiae in sedandis principum Galliae tumultibus tanta charitate et patientia laboravit ut omnium sibi corda, animosque ligaverit. »


3. Giovanni Leonardo Sartoris.

Giovanni Leonardo Sartoris di Ceva fu versatissimo nella sacra scrittura, e fanno prova del suo profondo sapere i libri da lui messi alla luce in Basilea nel 1553. Si hanno di questo illustre scrittore troppo scarse notizie da poterne dir di più di quello che ne parlino i suoi libri, solo risulta dall’elenco dei benefattori dell’ospedale degli infermi che questa famiglia già fioriva in Ceva nel 1400.


4. Il vener. Alessandro Ceva.

Ci gode l’animo nello intraprendere a parlare di questo illustre romito, perchè forma una delle più belle glorie, non solo della famiglia Ceva, ma del Piemonte e d’Italia.

Questo venerabile solitario al secolo Ascanio, nacque in Garessio il 13 gennaio 1538 terzogenito da Giovanni Ceva e da Catterina Scarampi, marchesi di Ceva e consignori di Garessio e di Ormea. Il primogenito Giorgio che fu consigliere di Vittorio Amedeo I, duca di Savoja, uomo di [p. 116 modifica]consumata bontà e morigeratezza: il secondo Pompeo che vestì ancor giovinetto l’abito di Minor conventuale di S. Francesco, e fu di non mediocre bontà e dottrina, come si ha dal prof. Carlo Tenivelli nella Biografia Piemontese, Decade quarta, parte seconda. Torino MDCCXCII, presso Gian-Michele Briolo a pag. 301 nella vita di questo venerabile.

Di questa vita se ne tirarono alcune copie a parte con ritratto inciso da D. Tosco di Chieri.

Il marchese Giovanni scorgendo in Ascanio un’indole eccellente, ed una propensione particolare allo studio, lo affidò alle saggie cure dell’abbate Galbiate da Pontremoli, che fu poi, secondo l’Ughelli, vescovo di Ventimiglia, nel 1573, e morto nel 1581.

Terminati i suoi studii di teologia, si portò l’Ascanio munito di commendatizie del suo maestro abbate Galbiate Francesco e di altri a Roma, dove per la sua esemplare condotta e rari talenti incontrò la grazia del cardinale Alessandro Crivelli della famiglia milanese, che diede alla S. Sede Urbano III, e lo nominò suo intimo segretario.

Sostenne quella carica per 10 anni, ma l’amor suo per la solitudine lo fece rinunziare alle grandezze del mondo, e chiese d’entrar nella religione eremitica di S. Romualdo. Ottenne non senza difficoltà di abbandonare il servizio del cardinale, e se ne volò all’abbadia di Camaldoli in Toscana.

Vestito l’abito Camaldolese, cangiò il nome d’Ascanio in quello di frate Alessandro. Fece solenne professione il primo novembre 1571, e per la santità dei costumi, per prudenza e per dottrina, fu fatto procuratore generale di sua religione nel 1592, e spedito a Roma per affari riguardanti il romitaggio di Camaldoli, e là fu bene accolto dal sommo pontefice Clemente VIII, il quale mentre era ancor cardinale era molto amico del cardinale Crivelli già suo principale.

Nel 1596 fu spedito fra Alessandro a governare il piccolo monastero di S. Maria di Pozzo di strada vicino a Torino con piena facoltà di ampliarlo, e di erigerne dei nuovi.

[p. 117 modifica]Entrò in relazione coll’arcivescovo della metropolitana, monsignor Carlo Broglia, il quale lo fece conoscere al duca Carlo Emmanuele I, che non tardò a conoscerne i distinti meriti, e specialmente l’eminente sua pietà; lo scelse a suo confessore, e prese con lui i necessarii concerti per erigere un eremo degno della munificenza sovrana.

Questo progetto dovette rimandarsi a più propizie circostanze, per cagione della terribile peste che invase furiosamente la città di Torino.

Chiamato il padre Alessandro ad assistere gli appestati della capitale, diede prove di tanta carità ed abnegazione di se stesso, che era da tutti considerato come un angelo consolatore loro concesso dalla provvidenza. Siccome in Torino più non osavasi entrar nelle Chiese, il padre Alessandro fece ergere in mezzo alla gran contrada di Dora Grossa un altare, dove celebrava messa, con grande edificazione dei desolati cittadini.

Questo terribile flagello commosse altamente l’animo religioso del duca Carlo Emmanuele I, che fece voto solenne d’ergere il progettato eremo, se veniva il suo popolo liberato dall’infuriante pestilenza.

Questa cessò, ed il Sabaudo duca ordinò al suo ambasciatore a Roma, conte di Verrua, di ottenere dal S. Padre il breve di erezione dell’eremo in capo al padre Alessandro, il che si concesse dal regnante Clemente VIII.

Si scelse pel nuovo eremo un sito amenissimo e solitario vicino a Pecetto. Fu a visitarlo lo stesso duca, l’arcivescovo Broglia, e l’ingegnere Ascanio Vitozzi.

Li 21 luglio 1602 si pose la prima pietra di quella chiesa, alla presenza del duca e dei principi RR. suoi figliuoli.

Stabilito l’eremo, ne fu sempre confermato ogni triennio priore il padre Alessandro. Il duca Emmanuele I, ne apprezzò sempre più i distinti meriti, e lo propose a vescovo di Saluzzo, d’Ivrea e di Tarantasia, ma l’umile romito rifiutò costantemente gli offertigli onori; anzi, avrebbe rinunziato [p. 118 modifica]anche a quello di confessore di S. A. se non ne fosse stato dissuaso dai grandi di corte, e dagli stessi suoi correligiosi.

Carico d’anni e di meriti, cessò di vivere in concetto di santità questo venerabile solitario addì 16 ottobre 1612. Furono splendidi i suoi funerali per la parte che vi prese il duca, il quale vi spedì gran numero di cavalieri ad accompagnarne il feretro. Fu sepolto nanti l’altare maggiore dell’eremo.

Molte furono le mortuarie iscrizioni che si apposero o sulla tomba, o ai piedi della statua statagli eretta, o sotto i ritratti, uno dei quali volle nelle sue stanze il duca Carlo Emmanuele.

Per la sua tomba ne compose una il celebre letterato milanese D. Valeriano Castiglione monaco Cassinese, che rivela lo stile dei suoi tempi, e che pel giuoco di parole, di cui è composta, merita d’esser qui riportata:

D. O. M.
Clausus diu jacui
Diutius hic claudendus jaceo
Resurrectionem expectans
Cella stetit mihi pro Coelo
Coelestia cum meditabar
Stetit et pro sepulchro
Mortis cogitatio dum me tenebat
Sepulchrum nunc verius me habet
Eremi erectorem eremitarum rectorem
Sub lapide ne sim ignotus
Lapis hic me fecit notum
Alexander sum a Ceva
Silentiosus vixi; viator tace

1

[p. 119 modifica]Sotto la statua si leggeva:

Ven. P. Alexander ex marchionibus Cevae eremita Camaldulensis fundator, et maioris eremi Taurinensis a serenissimo Carolo Emmanuele Sabaudiae duce erectae et dotatae, ex apostolico indulto deputatus. Obdormivit in Domino pridie nonas octobris an. 1612, aetatis suae 74, professionis vero vitae eremiticae 42.

Sotto al suo ritratto si leggeva questo elogio;

Pedemontanae Camaldulensium eremitarum congregationis institutor, severioris monasticae disciplinae cultor eximius et propagator, ob recusatos episcopatus duos, et archiepiscopatum Tarantensem singularis modestiae laude clarissimus.


5. Francesco Bassi.

Viveva pure in questi tempi l’abbate Francesco Bassi di antica patrizia famiglia di Ceva, governatore dei paggi, limosiniere del duca Carlo Emmanuele I, cerimoniere dell’Ordine della Nunziata, visitatore generale dell’abbazia del principe cardinale Maurizio di Savoia, e prevosto della metropolitana di Torino.


6. Salvatore Cadana.

Monsignor Della Chiesa nella sua Corona reale di Savoia parlando di Ceva, fra i cittadini che l’illustrarono, non esita punto a comprendervi « Salvatore Cadana dell’ordine dei Minori Osservanti di S. Francesco, il quale essendo eccellentissimo teologo, facondissimo predicatore, ed in ogni scienza versato, come dai sermoni ed altre dotte composizioni da lui scritte, ed a benefizio universale stampate [p. 120 modifica]si può vedere. Dopo avere molti anni governato il convento di S. Tommaso di Torino ed il provincialato di Piemonte, morì pochi anni sono in Ciamberì. »

Vi è chi pretende che questo celebre scrittore sia più di Torino che di Ceva, ma concordano e storici e manoscritti nel dirlo Cevese. Quel che è certo si è che nel 1600 fioriva in Ceva una famiglia Caldano o Cadana ed è probabilissimo che sia di questa il Salvatore (e non Solutore) Cadana, quantunque per la sua lunga dimora in Torino abbia acquistata la cittadinanza di quella capitale.

Quel che è certo si è che acquistò fama per tutta Italia di gran predicatore, ed il suo quaresimale stampato in Mondovì nel 1636 fa veramente credere che la sua patria fosse Ceva vicina a Mondovì, e che avesse qui più relazioni che a Torino per dare alle stampe il suo manoscritto.

Questo quaresimale fu proibito dalla sacra Congregazione dell’indice con decreto 10 giugno 1669 (donec corrigatur). Nelle sue prediche soleva citare il P. Anadac, cioè se stesso invertendo l’ordine delle lettere del suo cognome. Fu ripreso per questa licenza dall’istorico Nizzardo Pier Gioffredo con un epigramma che è il 72 della raccolta stampata in Torino dal Zappata nel 1681. Fu l’8° ministro provinciale dei Minori Osservanti in Torino e teologo consigliere del duca Carlo Emmanuele II.

Oltre il quaresimale furono pure portati all’indice i suoi dubbi scritturali (donec corrigantur) con decreto 8 marzo 1662, e da questi decreti si rileva che il suo nome era Salvatore e non Solutore.

Diede pure alle stampe in Torino i Saggi politici, il Principe avvisato, il Principe regnante, Regnum hominum et angelorum, il Santuario comune, il Mariale, ossia Sermoni in lode di M. V. Modus recipiendi legata perpetua in toto ordine Seraphico etc. dedicato al Padre Paolo Brizio, prima che fosse vescovo d’Alba. Stampato in Torino 1641, apud Jo. Sinibaldum typographum realem: in 4°.

[p. 121 modifica]L’Avvento, il Segretario, Eridani legatio, il Formolario delle obbedienze, ed una collezione di bolle pontificie e di decreti della S. Congregazione. Cessò di vivere in Ciamberì nel 1648.

Un ritratto ed un elogio del P. Cadana si trova nel libro stampato in Venezia dal Valvense, nel 1647, intitolato le glorie degli incogniti.

Fra gli ecclesiastici degni di ricordanza devono annoverarsi Gioan Antonio Derossi, Zio del vescovo d’Alessandria, Giuseppe Tommaso, arcidiacono della cattedrale d’Asti, elemosiniere del duca Carlo Emmanuele II, designato vescovo di Nizza, ma che colpito da morte immatura non potè sedere su quella cattedra vescovile. Il padre Maestro Agostino Dalmazzone, Vicario generale della Congregazione dei padri Agostiniani della provincia di Genova, si distinse per la sua predicazione nelle più cospicue città d’Italia. Quattro cittadini di Ceva, cioè Giovanni Antonio Elena, Cristoforo Chiavelli, Luca Barberis e Francesco Derossi de’ Minori conventuali furono chiarissimi dottori della Sorbona.

In Tortona vive onorata la memoria di tre illustri Cevesi, quali sono Francesco Sartoris, Giulio Roelli e Pietro Mina.

Francesco Sartoris dell’ordine dei predicatori fu lettore di teologia in quel seminario vescovile per trent’anni sotto i vescovi Tommaso Moroni ed Uberto Gambara (che furono poi amendue cardinali di S. Chiesa), cioè dal 1525 al 1556. Era profondo teologo ed eruditissimo nelle sacre carte, e molti dei suoi scuolari riuscirono eccellenti dottori in scienze ecclesiastiche, apparteneva alla famiglia del Leonardo Sartoris, che come si disse altrove stampò in Basilea varie opere teologiche assai accreditate.

Giulio Roelli, fu nel 1329 vicario del podestà di Tortona, Giovanni Scipione.

Pietro Mina distinto per la sua cristiana pietà, per la sua dottrina, per fermezza di carattere e per intemerata giustizia, [p. 122 modifica]fu eletto più volte superiore del convento degli Agostiniani di Tortona denominato della Trinità, nel quale cessò di vivere sul tramontare del secolo XVI. Si crede che fosse zio del senatore Fancesco Mina Cevese, anch’egli. Nella chiesa metropolitana di Torino vi è sopra marmo con l’arma scolpita la seguente epigrafe, come si ha dalla raccolta delle iscrizioni torinesi fatta dal Priore T. A. Bosio.

Hoc tumulo rari splendoris dona ferūtur
Hic ē Cristophorus tumulatus Marchio Cevæ
Cardineique nepos patris cognomine Sancti
Clēmentis sacri templi reverendus et huius
Canonicus quovis censendus honore sacerdos
Moribus ingenio vita probitate decore
Obiit XV maii MDXVI.

Era figlio di Aria di Valarano della Rovere, signor di Vinovo, e di Leonetta Orsini di Rivalta, e sorella di Domenico Vescovo di Torino e Cardinale di S. Clemente che rifabbricò il Duomo torinese, e di Gio. Antonio Ceva d’Ormea.



Note

  1. Traduzione della suddetta Inscrizione:

    A Dio Ottimo Massimo

    Vissuto qui molti anni chiuso, chiuso vi giacerò per tempo più lungo aspettandovi la risurrezione.
    La cella era il mio cielo mentre meditava le cose celesti, essa fu il mio sepolcro mentre meditava la morte.
    Or mi contiene un sepolcro più vero.
    Perchè sotto la pietra non giaccia sconosciuto, la stessa pietra mi nomina fondatore dell’Eremo, e direttore degli Eremiti.
    Fui Alessandro di Ceva.
    Vissi taciturno, e tu passeggero taci.