Mentre a i Zeffiri molli il crin sciogliea
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ANTONIO CARRACCIO
CANZONE
INTITOLATA LA BELLA INTRECCIATA
MEntre a i Zeffiri molli il crin sciogliea
Colei, che dei suoi crini
Tesse catere al mio dolente cuore,
Ed il picciolo Amore
5Saltellar si vedea
Tra filo e fil di quei dorati stami,
Quai veggiam gli augellini
Scherzar tra verdi rami;
Ella ver me, che di me fuor tenea
10Ogni pensier fra quelle chiome involto,
Rasserenando il volto:
Vieni, mi disse, e di discreta ancella
L’opra adempiendo in queste sciolte anella
Prova, se in nastri, e in bende
15Legar saprai chi già ti lega e prende.
Indi colla man candida m’offerse
Le reticelle, e i veli,
Le polveri odorate, i fior, le piume
Cha di sparger costume
20Sell’auree chiome e terse
Per adescar gl’insidiati cuori
Che non san qual si celi
Laccio tra polve e fiori.
Così Villan, che le sue reti aperse
25In verde riva a i garruli augelletti,
De’ lacciuoli sospetti
Cuopre le fila di minute biade
Onde il semplice stuol, che all’esca cade,
Mentre sicuro crede
30Pascere il ventre, s’incatena il piede,
Io quasi scosso da gran sonno allora
Non risolvea, rapito
Da timore in un tempo e da desìo.
Ben vaghezza avev’io,
35Ch’io suoi lacci talora
Fidasse in me, che prigionier mi tiene
Ma poi non era ardito
Di tentar le catene:
E l’inesperienza e l’odio ancora,
40Ch’era in me di quell’arti, e di quegl’usi
Feminili e confusi,
Temer faceanmi di vergogna, o danno;
Pure mi trasse il mio desìo tiranno
A trattare in quel crine,
45Più che le pompe sue, le mie ruine.
Con eburneo strumento in pria le masse
A scevrar cominciai
Di quel fin or, che fluttuava tu̟tto;
E parea, che in quel flutto
50Ogni cuor naufragasse.
Oh quante volte, in riversarle io spesso,
Del mio cuor vi cercai
Alcun vestigio impresso!
E quante volte, ove incespar mostrasse
55Il fesso avorio, io ne sospesi il dente
Ansìoso e dolente
Per timor, ch’il mio cuore ivi non fosse!
E ben fu allor, che sventolate e scosse
L’aurate fila, io dissi:
60Fuggi, mio cuor; nè il mio consiglio udissi.
Ella ridendo pur, de’ varj modi
Me ammaestrando gìa
Come disporre or vaga treccia, or nastro;
Ed io fatto già mastro
65Tessea legami e nodi
E gruppi e cerchj e tortuosi anelli,
Ma più nell’alma mia,
Ch’a lucidi capelli,
Ah crudo Amor, per quante vie tu godi
70D’esercitar ne’ tuoi seguaci e servi
Gli empi lacci protervi,
E prova far de’ tuoi tiranni imperj!
Che d’alma effeminata e di pensieri
Non sazio ancor, vuoi d’essi
75Effeminati i ministerj stessi.
E’ fama già, che tra le Reggie Lide,
Poi ch’Ercole sul tergo
I cardini librò dell’asse eterno,
E ‘l debellato Inferno
80Prostrato a piè si vide,
Vinto restò da giovinetta Donna,
Che del Leon l’usbergo
Fece cangiargli in gonna.
Allor mutato in femminella Alcide,
85Delle reali Ancelle in mezzo al Coro,
Siccome una di loro,
Diessi a servir la vincitrice altera;
Colla man robustissima e guerriera,
Usa coll’Idre e gli Aspi,
90Or le rocche avvolgendo, ed ora i naspi.
Ben si stupiro in rimirar quel Prode
Trattar la lana e il fuso
I Mondi allor, delle cui sfere istesse
Altr’ei vinse, altre resse:
95E ridea della frode
Seco maravigliando Amor protervo,
Che non era ancor’uso
Serva a mirar di servo.
Ma più che di stupor, degna di lode,
100Più che di riso è la novella prova,
E tal, che invidia muova
Nè più fidi Amator; perocchè quanto
Mc avanzò Alcide di fortezza,or tanto
Di beltà, di sembianza
105L’Onfale sua la mia Dorinda avanza.