Milano 1859 - Chi ha costruito il raccordo sulla Circonvallazione?

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Silvio Gallio

2010 Saggi/Ferrovie/Ingegneria/Milano Milano 1859 - Chi ha costruito il raccordo sulla Circonvallazione? Intestazione dicembre 2010 75% Saggi

Silvio GALLIO


RFI - Direzione Compartimentale Movimento


Reparto Gestione Circolazione- Bologna



È noto e arcinoto che, durante le prime fasi della Seconda guerra di indipendenza italiana, a Milano venne utilizzato un raccordo fra le stazioni di Porta Tosa e Porta Nuova. Anziché costruire un binario del tutto nuovo e svincolato dal traffico stradale, venne scelta la soluzione di utilizzare una parte del largo Viale di Circonvallazione…

Una soluzione per nulla stravagante. All’epoca una strada ferrata veniva considerata niente più che “un altro modello di strada”; nel 1859 le velocità e la densità di occupazione di certe strade erano tali da permettere una coesistenza dei due tipi di traffico; ferroviario e stradale. E per qualche verso questa coabitazione perdura. Tant’è vero che da questo concetto di uso misto discende l’idea del tramway. E anche oggi, senza nessuno stupore delle genti, le due forme di trasporto convivono (quasi) pacificamente.


Una strana ferrovia?

No; una ferrovia di questo tipo veniva considerata semplicemente una “strada ferrata economica” e vari progetti si susseguirono per unire parti di una stessa città e anche città vicine. Paladino di questa forma di traffico misto fu l’ingegner Giuseppe Bruschetti. Due parole su questo pioniere delle ferrovie italiane. Aveva esordito negli anni ’30 suggerendo di rendere ferrate le strade alzaie a lato dei canali navigabili allo scopo di utilizzare le locomotive al posto dei cavalli per trainare le chiatte. In effetti una simile idea fu realizzata in Scozia, pare con ottimi risultati.

Poi, nel 1836, Bruschetti presentò il suo “Progetto della strada di ferro da Milano a Como.

Poi, nel 1838, con Albino Parea, presentò il “Progetto della strada di ferro da Milano a Bergamo.

Poi nel 1844 Bruschetti presentò “Delle strade a ruotaje di ferro per l'interno delle città”,

Poi nel 1857, ancora l’ingegnere pubblicò “Sulla conversione di strade postali in ferrovie”.

Nel 1857, di nuovo, nel Giornale dell’Ingegnere-Architetto ed Agronomo di febbraio, Bruschetti ritornò sull’idea delle rotaie all’interno delle città.

Come si può agevolmente osservare, l’ingegnere vedeva che l’uso delle strade già esistenti, “rinforzato” da una o due coppie di rotaie, poteva accelerare in maniera facile ed economica la velocità commerciale dei trasporti fra le città nelle strade postali, ma anche dentro le città utilizzando le strade di una ampiezza tale da permetterne l’uso promiscuo.

Una strada ferrata economica era quindi il Raccordo fra le stazioni Tosa e Nuova di Milano. A proposito di questo Raccordo, si legge e sente in giro qualcosa di piuttosto generico come: “costruito dagli austriaci nel 1859 e utilizzato dai franco-piemontesi durante la Seconda guerra d’indipendenza”.

Viene da chiedersi che cosa si intenda per “austriaci”.

Noi anziani, immersi fin da bambini nella retorica del Risorgimento, residuo di una visione patriottarda piuttosto datata, siamo stati abituati a identificare gli austriaci con gli Asburgo. Ovvero con un Governo. Ma, a pensarci bene, “austriaco” è un aggettivo, applicabile quindi a qualsiasi soggetto. Militare, civile, privato, pubblico o regnante. Allora “chi” effettivamente erano “gli austriaci” che costruirono, se lo costruirono, il Raccordo Nuova-Tosa? Gli Asburgo intesi come governo civile? Oppure gli Asburgo intesi come esercito? Ovvero cittadini austriaci come per esempio i milanesi o i veneziani, sudditi del Regno Lombardo-Veneto, che avevano dato l’avvio alla “Ferdinandea”? Erano “austriaci”?

Abbiamo cercato e trovato qualche informazione. Che ci mostra come il Raccordo fra le due stazioni di Milano, posto che pure fosse stato costruito per un ordine partito dagli austriaci (intesi come Asburgo = governo civile), non fu utilizzato dagli austriaci (= militari). Nemmeno per ritirarsi più velocemente.

Come ripete un giovane e famoso giornalista figlio di un anziano e famoso giornalista: “se avete la pazienza di seguirmi...”, vediamo come si è sviluppata la ricerca, partendo da poche note di storia patria e da una memoria scritta da un avvocato. (Brrr!) Prima, per la storia, andiamo a riassumere cosa successe da aprile 1859 in avanti nell’area di Milano e a ovest della città.

Pillole di storia patria

Il 29 aprile, dopo le innegabili provocazioni di Cavour e l’ultimatum di Francesco Giuseppe era scoppiata per davvero la guerra fra l’Impero Asburgico e i Savoia. Il successore di Radetzky, il generale Ferencz Gyulai von Maros-Nemeth und Nadaska, solo Gyulai per i nemici, alla testa del suo esercito aveva attraversato il Ticino ed era entrato “nella Sardegna” all’altezza di Pavia sferrando un attacco preventivo contro l’esercito piemontese. Tirandosi così sul capo l’intervento dell’esercito francese guidato da Napoleone III in persona, baffi e pizzo.

Una settimana dopo l’esercito austriaco scorrazzava per il Piemonte ed era arrivato a Biella. Come ci raccontavano i libri già alle elementari i piemontesi allagarono l’intera area per frenare l’avanzata e attendere l’arrivo del francesi la cui 2° armata scese dal Moncenisio solo il 5 maggio1.

Il 10 maggio Napoleone III parte da Parigi con il treno, arriva a Genova il 12 e ad Alessandria il 14. Lì, altre truppe francesi e una buona parte dell’esercito piemontese. Con grande velocità i due eserciti alleati avanzano verso la Lombardia con una serie di oggi famose battaglie: Montebello, Palestro, Magenta. Dopo la sonora sconfitta di Magenta, il 4 giugno, da Vienna giunge a Gyulai l’ordine di retrocedere e combattere sul Mincio. Il giorno successivo si registra la definitiva uscita dagli austriaci da Milano e, infine l’8 giugno i milanesi assistono all’ingresso trionfale dei due re, Vittorio Emanuele II e Napoleone III. Il 12 giugno i franco piemontesi riprendono la marcia verso oriente. Il 24 giugno, abbiamo le battaglie finali di San Martino e Solferino.

Cosa c’entra tutto questo con la ferrovia? Poco e tanto.

Anzitutto l’invio delle truppe francesi venne enormemente accelerato dall’uso del treno sia in Francia che da Genova verso Alessandria e la Lombardia. Poi, rammentiamo che Milano e Venezia erano state finalmente congiunte (via Bergamo) dal 1857. La prima corsa di prova della non ancora collaudata tratta Coccaglio-Bergamo era stata effettuata il 23 agosto 1857 fra polemiche e ripicche. Ancora. Dopo la conquista di Milano, la ferrovia fu utilizzata per l’avanzata dei franco-piemontesi (o franco-sardi se si preferisce). Infine, come ci racconta H. Dunant, l’inventore della Croce Rossa, i feriti delle grandi battaglie di San Martino e Solferino, con la ferrovia vennero inviati a Milano per farsi curare. A Porta Tosa, stazione terminale della Ferdinandea, ci fu grande concorso di popolo per prendersi cura dei combattenti.

Ma parliamo del Raccordo.

Torniamo all’ingegnere Bruschetti Giuseppe e alla sua visione di come si dovessero costruire le ferrovie. Con “Delle strade a ruotaje di ferro per l'interno delle città” possiamo certamente considerare l’ingegner Bruschetti uno dei precursori del concetto di tramway, con e senza cavalli, che tanta fortuna avrà qualche anno dopo in terre alemanne e anglosassoni. Non stupiamoci, quindi se nella Gazzetta di Milano del 18 giugno 1859 rivendicava con toni trionfalistici la paternità dell’idea del Raccordo che si andava costruendo:”In riguardo adunque dell'odierno trionfo di questo nostro pensiero, concepito per la prima volta fino dall'epoca del nostro primo progetto tecnico di strade ferrate per l'Italia, cioé fino dall'anno 1830

Peccato, per noi che cerchiamo un indizio preciso per la nascita del Raccordo, che l’ingegnere non ci dica la data esatta in cui questa sua idea cominciò a essere messa in atto. Sarebbe stato bello che avesse scritto qualcosa come “il giorno xx/yy/zzzz sono iniziati i lavori con i quali si mostra il nostro trionfo…”.

Ma ciò non è. E così non sappiamo se il raccordo fu costruito con gli austriaci (= governo + esercito) a Milano o dopo la loro partenza. Ma come vedremo furono davvero gli austriaci a creare il Raccordo. Però non intesi come “Governo asburgico” ma come Imperial-Regia Società privilegiata per le strade ferrate lombardo-venete e dell’Italia centrale.

Cos’era accaduto

Nel 1851 i “Cinque Eccelsi Governi” (Impero Asburgico, Stato della Chiesa, Granducato di Toscana, Ducato di Modena e Ducato di Parma) avevano dato vita alla Prima Convenzione per la costruzione della Ferrovia dell’Italia Centrale (in rapida sintesi la Milano-Pistoia). Nel 1856 questo progetto stava avviandosi verso una fine miseranda quando venne preso in mano da Raffaele de Ferrari, duca di Galliera, portavoce dei Rothschild che stavano rapidamente diventando i moghul delle ferrovie di mezza Europa.2 Il 19 marzo 1851 passò in mani governative la linea Milano-Como e il 9 giugno 1852, la Società per la ferrovia Venezia-Milano, anch’essa in cattive acque, venne “rilevata” dal governo asburgico.

Nel 1855, in Austria, Karl Ludwig von Bruck divenne Ministro delle Finanze.

K.L. Von Bruck era un profondo conoscitore del mondo ferroviario del Lombardo-Veneto avendo avuto –tra l’altro- ripetuti contatti d’affari con esponenti della Imperial-Regia privilegiata strada ferrata Ferdinandea Lombardo-Veneta quando era ancora un progetto. Il ministro, non era fortunato; si ritrovò a guidare il Ministero delle Finanze in un momento di gramaglie economiche. Lo Stato annaspava con le casseforti vuote mentre l’imperatore voleva (o era costretto a) una costosa politica estera che comprendeva azioni belliche fino a Sebastopoli, in Crimea. Von Bruck, oltre a scatenare nelle tasche dei sudditi un grandioso Prestito Nazionale, procedette alla vendita della rete ferroviaria che lo Stato stesso era stato, negli anni, costretto ad acquistare.

Ananké, la Necessità, l’essere superiore della mitologia greca cui anche Zeus e gli dèi dovevano sottostare, dispiegò tutta la sua potenza; la potenza della necessità! In soli tre giorni, dal 14 al 17 marzo 1856 vennero firmati accordi di vendita per la quasi totalità delle strade ferrate del Lombardo-Veneto. Da Milano a Como, da Milano a Venezia. Non contento, il Ministro delle Finanze (Austriaco) riuscì a vendere anche le ferrovie degli stati confinanti (un po’ come se lo Stato italiano vendesse le sue ferrovie e quelle –per esempio- della Svizzera. Von Bruck si libera così della ormai agonizzante “Concessione per la costruzione della Strada ferrata Centrale italiana”. Questo succulento coacervo di strade ferrate, nate a volte sotto spinte localistiche, posto sotto il controllo finanziario di Rotschild e soci, fece nascere la Imperial-Regia Società privilegiata per le strade ferrate lombardo-venete e dell’Italia centrale. Che si impegnò anche per la costruzione di altre tratte e in breve diventerà S.F.A.I.. Da qui la necessità di intrecciare i collegamenti.

La linea di congiunzione

Che un raccordo fra le stazioni di Milano fosse ipotizzato prima del 1856 e della nascita di questa Società ferroviaria è probabile. Sicuramente fu la prima delle esigenze della neonata Società.

A Milano le principali linee erano quella verso il Piemonte (e in prospettiva la Francia); la Milano-Como (e in prospettiva la Svizzera) e la Milano-Venezia (vera e propria dorsale del Regno Lombardo-Veneto) che faceva capo alla stazione, ancora provvisoria, di Porta Tosa. In questa stazione era previsto anche l’attestamento (provvisorio in una stazione provvisoria) delle costruende linee per Piacenza-Bologna e per Pavia.

Uno dei primi atti della Società ferroviaria fu, quindi, quello di impostare la costruzione della Stazione Centrale di Milano. Dando la stura alle roventi polemiche che ne accompagnarono la gestazione e la nascita. Assieme alla Stazione Centrale era prevista una tratta che la collegasse alle linee per Piacenza e per Venezia che dovevano dividersi a Bivio Acquabella. Questa tratta doveva per forza attraversare il Lazzaretto. Il passaggio dei treni avrebbe ammorbato l’aria dei Bastioni, luogo di ameno passeggio cittadino; il rilevato avrebbe nascosto la vista delle montagne, rovinato il Lazzaretto stesso. La cosa suscitò grande sconcerto e vibrate proteste.

Nell’agosto 1856 ci fu, peraltro, un tentativo dell’ing. G.B. Bossi, già collaboratore di Milani per la Ferdinandea, già delegato da Milani alla tratta Milano-Treviglio e dirigente della stessa società ferroviaria, di spingere per la creazione di una stazione di Milano Centrale 3, vagamente ripercorrendo una vecchia proposta di Cattaneo. Un progetto troppo minimale come dimensioni e troppo diverso nella concezione di quanto la Società si apprestava a costruire. Non venne preso in considerazione

Ma un collegamento delle linee convergenti su Milano era nella forza delle cose. Perfino l’ingegner Bossi, nella stesura del suo progetto, lascia vedere seppure a grandi linee, un’ipotesi di tracciato che, uscendo dai Bastioni nei pressi di Porta Tosa, si dirigeva con un ampio sistema di bivi, verso sud (Piacenza), verso Est (Venezia) e verso Nord (Porta Nuova). Ovviamente non poteva dirigersi verso la futura Milano Centrale perché quella era proprio la stazione che il suo progetto voleva evitare.

Qualche anno in avanti

Siamo nell’ottobre del 1859.

I giochi politici e militari sono stati fatti. Gli austriaci erano attestati in Veneto e l’esercito di Vittorio Emanuele II scorazzava fra il Po e l’Appennino. E qui ritroviamo le tracce del Raccordo.

In questo contesto temporale appare “Storia di fatto e di diritto sulle strade ferrate aventi per centro principale la città di Milano”, in cui l’avvocato Michele Cristo Cavaleri ripercorre, tentando un’ultima strenua e disperata difesa della strada postale Comasina e del Lazzaretto, tutti i momenti “politici” e amministrativi che videro svilupparsi questo progetto. Partendo addirittura dal Codice napoleonico.

Cavaleri scrive, contro le prevaricazioni della Società ferroviaria, quasi “in nome e per conto” degli abitanti di Milano. E, senza quasi, per conto di quei proprietari di immobili della Comasina che avevano visto crollare il valore delle loro proprietà, improvvisamente diventate ancora “più” periferiche per lo spostamento della strada principale.

Per collegare la futura “Centrale” alle linee per Venezia, Pavia e Bologna la società ferroviaria voleva attraversare il Lazzaretto. Era quasi costretta a farlo dalla posizione della stazione che doveva sorgere il più vicino possibile alle mura ma in “quella” zona della città. Non bisogna dimenticare che siamo ancora in un’ottica lombardo-veneta secondo la quale per Milano si privilegiavano i collegamenti “interni” al Regno e tutt’al più quelli con i confinanti stati “amici” (i Ducati, lo Stato pontificio), a scapito della congiunzione “internazionale” con il Regno dei Savoia che sembravano appollaiati sulle rive del Ticino in attesa della buona occasione.

Ma perché ci interessano Cavaleri e la sua battaglia legale? Beh, l’avvocato utilizza Bruschetti e le sue idee di “ferrovia sulle strade” per negare fermamente l’asserita “necessità” di rovinare il Lazzaretto. E quindi ci fornisce le notizie sul Raccordo. “Anche per il metodo oggigiorno dal mese di giugno p. p. in poi usato fuori della stessa Porta Orientale per rendere ferrate le attuali strade di circonvallazione...

Visto il sottolineato? Ecco una prima data. Purtroppo è larga un intero mese (giugno). Non basta.

Anche Bruschetti si scaglia contro “Vienna” (intesa come Società ferroviaria e non Asburgo). Ma, in questo breve contesto, ci preme leggere le righe successive: “E difatti egli é da varj giorni che si é messo mano all' opera di congiungere presso alle Porte di Milano le tre linee di ferrovia Milano-Como, Milano-Venezia e Milano-Magenta, servendosi e profittando di un lembo della magnifica Strada di Circonvallazione già esistente a fianco delle due Stazioni fuori di Porta Nuova e di Porta Tosa, onde posarvi e mantenervi in esercizio stabilmente l'occorrente binario di guide di ferro”.4

Eureka! Da Bruschetti stesso ci giunge allora l’informazione che alla data del 18 giugno 1859 al Raccordo “è da varj giorni che si é messo mano”. Si stava costruendo.

Il mese di giugno segnalato da Cavaleri è stato decurtato del 30% circa. Il Raccordo ancora il 18 giugno era in costruzione. Quindi non poteva essere stato usato dagli “austriaci” (dall’esercito austriaco) per le sue operazioni militari. Ma ancora non sappiamo “chi” lo aveva voluto.

Ci chiediamo: “quale arco di tempo possiamo ritenere congruo per essere descritto come “varj giorni”? La Gazzetta di Milano, quotidiano di stretta osservanza governativa, non aveva certo dei tempi lunghi fra la ricezione di una lettera e la sua pubblicazione. Figuriamoci, poi, se la lettera proveniva da un noto e stimato ingegnere che, per di più, spendeva parole di apprezzamento per quanto veniva costruito con il beneplacito dei politici e dei pubblici amministratori.

Possiamo quindi supporre che, se la pubblicazione dell’articolo di Bruschetti era del 18 giugno la scrittura dell’articolo sia stata di due, massimo tre giorni prima. Diciamo il 15 giugno. E il 15 giugno i franco-piemontesi erano già oltre Brescia occupati a incalzare l’esercito di Gyulai che, come abbiamo visto, aveva lasciato Milano 10 giorni prima. Ragion per cui non poteva aver avuto il tempo di organizzare una ferrovia. Per quanto breve. Se pur lo avevano pensato, i militari dovevano averlo fatto prima dell’inizio del ripiegamento. Perché in una situazione del genere questo tipo di strutture vengono demolite o fatte saltare per non favorire il nemico.

Tirando una rapida somma, in giugno nessuna data appare logica per attribuire al governo o all’esercito austriaci l’inizio dei lavori per la costruzione del Raccordo. La logica basata sul solo movimento degli eserciti può valere per entrambi i periodi. Prima l’esercito austriaco potrebbe aver iniziato la costruzione per rinforzare con truppe e materiali un esercito in ritirata. Ma, abbiamo opinato, di solito in questi casi si usa la dinamite. Dopo, il lavoro poteva essere fatto dai franco-piemontesi per il motivo opposto; per accelerare l’inseguimento.

Se giugno deve essere

Se giugno deve essere, cerchiamo di stabilire se la cosa ha avuto inizio prima o dopo il fatidico “giorno 5”. Non ci riusciamo. Si può suggerire che la costruzione del Raccordo che percorreva i viali di Circonvallazione fra le stazioni di Porta Tosa e Porta Nuova sia stata determinata dalla volontà della Imperial-Regia Società privilegiata per le strade ferrate lombardo-venete e dell’Italia centrale. E quindi “austriaca”. Ma la costruzione fisica dei binari, magari solo per un puro caso della Storia, è stata abbondantemente italiana5.

Sorpresa! Non è vero che non abbiamo una data!

Il Raccordo fra le due stazioni di Milano fu aperto ufficialmente domenica 26 giugno 1859.

Trascrivo l’avviso che venne emesso qualche giorno prima per avvisare la popolazione.

«La Società delle strade ferrate lombardo-venete, nell'intento di facilitare i trasporti militari, ha disposto una ferrovia provvisoria per unire le due Stazioni di Porta Nuova e Porta Tosa, la quale è situata in gran parte sulla strada di Circonvallazione e passa a livello davanti la barriera di Porta Orientale.»

«Per ciò si avverte il pubblico, che venendo la medesima aperta al servizio nel giorno di Domenica 26 corrente, abbia ciascheduno ad astenersi, al passaggio delle locomotive, dal troppo avvicinarsi alla ferrovia medesima, specialmente con cavalli e carri, e ciò a scanso di disgrazie.»

«Viene parimenti raccomandato al pubblico, che voglia prestare debita obbedienza ai guardiani della strada stessa, incaricati di permettere il transito ai passeggeri ed ai carri, nei luoghi appositamente destinati pel traverso della ferrovia.» 6

Ma allora?

Lasciamo perdere l’esercito di Gyulai che si sta riorganizzando nei pressi di Verona e torniamo alla Imperial-Regia Società privilegiata per le strade ferrate lombardo-venete e dell’Italia centrale e osserviamone una breve cronistoria riguardante l’area di Milano.

Nel 1856 dopo aver ottenuto la concessione della rete lombardo-veneta la società ferroviaria comincia a progettare la nuova stazione e la “linea di congiunzione”. Si scatenano le polemiche e l’ing. Bossi (pur dipendente della Società) presenta il suo progetto alternativo Il 12 settembre dell’anno successivo si pone la Prima Pietra della Stazione. Due giorni dopo ecco un avvenimento che la dice lunga sulla situazione; dopo la posa della prima pietra si discute con le “autorità” locali se e dove costruire la struttura...Assieme alla stazione si parla anche della “linea di congiunzione” (che, attraverso il Lazzaretto, terminerà a Bivio Acquabella).

Il 1858 trascorre fra tentativi della Società ferroviaria, sostenuta da varie forze dell’Amministrazione e dell’Esercito, di forzare la costruzione della “linea di congiunzione” ma incontra parecchie resistenze anche da qualche ente pubblico locale. Nel febbraio del 1859, un anno e mezzo dopo la posa della Prima Pietra, l’ingegner Busche, Direttore Generale della Società ferroviaria, da Verona, manda per la prima volta il progetto per la costruzione della Centrale e della “linea di congiunzione”. Il 21 aprile viene pubblicato l’”Avviso” che la Strada postale Comasina verrà chiusa il prossimo giorno 30 per permettere la costruzione del Magazzino n.3 della stazione. Per lo stesso giorno viene però fissato un “Congresso” di una Commissione e una Deputazione dei Corpi Santi; si deve discutere sui problemi generati dalla volontà della Società ferroviaria di costruire le strutture dove aveva deciso.

Sempre leggendo Cavaleri scopriamo che la Società ferroviaria agiva in modo arbitrario; non aveva nessuna Sovrana Concessione per costruire le strutture in base a qui tardivi “progetti”. Quindi forzava questa costruzione per mettere tutti davanti al fatto compiuto. Il premio sperato (e possibile) era l’ottenimento della Concessione e l’aver costruito la stazione esattamente dove desiderava. “coll’inganno dei molti e il sagrificio di tutti”. Facendolo però apparire come “fatto eseguito e conforme alle viste di quel governo militare”. Ah, le sacre esigenze di Marte!

Si capisce allora che fino al 28 aprile i lavori per il dirottamento della strada postale Comasina e per la costruzione della tratta ferroviaria fra le stazioni non erano ancora cominciati. La Società ferroviaria, quindi, non ha alcuna necessità di costruire il Raccordo. Dal 29 aprile (inizio della guerra) al 25 giugno abbiamo raccontato come è andata. Il 26 giugno “in gran parte sulla strada di Circonvallazione” viene aperta la ferrovia provvisoria, costruita nell’intento di facilitare i trasporti militari. Il Raccordo.

Qualcosa non torna

L’intervallo fra l’apertura delle ostilità e l’apertura della strada ferrata provvisoria è di poco meno di due mesi. Dal 29 aprile al 26 giugno.

In questo frattempo, Bruschetti (citato da Cavaleri) si vanta che la Società ferroviaria aveva finalmente adottato la sua soluzione e da alcuni giorni si stava costruendo la ferrovia della Circonvallazione. Era il 18 giugno 1859. E, lo abbiamo visto, il momento era proprio a ridosso dell’uscita dell’esercito austriaco verso il Mincio. Anzi, mentre gli austriaci uscivano da Milano.

Il 26 giugno, nell’Avviso riprodotto più sopra, la Società ferroviaria afferma che “nell’intento di facilitare i trasporti militari, ha disposto una ferrovia provvisoria”.

Milano è o non è la capitale italiana della pubblicità? I creativi della Società, pur in quell’infuocata estate del 1859 non se la cavavano per nulla male. Solo due giorni prima si erano verificate le disastrose (per l’Austria) battaglie di San Martino e Solferino e magari si cominciava ad intuire come sarebbe andata a finire. Il treno e il telegrafo avevano certo portato a Milano la notizia (e ricordiamo che la Direzione Generale della Società era nella vicina Verona). Non ci è voluto molto alla fantasia pubblicitaria della Società “vendere” il Raccordo, una struttura nata per esigenze strettamente private e che aveva necessità di essere legalizzata, come se fosse un aiuto dato agli eserciti “liberatori”. Approfittando anche del marasma organizzativo ed amministrativo che ogni guerra porta con sé.

Molto probabilmente le vicissitudini militari misero temporaneamente un freno alla costruzione della “linea di congiunzione” attraverso il Lazzaretto. La logica di chi costruisce in tempi calamitosi è di evitare di vedersi distruggere subito quello che tanti sforzi fisici ed economici è costato. Molto meglio sfruttare l’idea di Bruschetti e la strada di Circonvallazione. Si otteneva qualche vantaggio:

Il Raccordo era sufficiente alle necessità della Società che, per il momento, aveva quasi solo bisogno di spostare materiali nel cantiere che andava dalla Centrale a Bivio Acquabella;

Il Raccordo sarebbe costato poco dato che utilizzava una struttura già presente. Molto minore il rischio di perdita economica per eventi bellici.

Il Raccordo avrebbe messo un punto fermo sulla necessità di collegare le varie linee che entravano a Milano; così la progettata, e probabilmente in parte costruita, tratta attraverso il Lazzaretto sarebbe diventata il “perfezionamento” di una struttura esistente e quindi maggiormente difendibile.

Il Raccordo, che poteva essere, più o meno surrettiziamente definito “militare”, avrebbe potuto, e quasi certamente lo fu, essere utilizzato dagli eserciti franco-piemontesi. Possibili grossi guadagni. Forse un vero e proprio autofinanziamento.

Cavaleri ci mostra un Bruschetti ultrasessantenne ma inarrestabile, che non progetta più linee ferrate e che nemmeno le copia – come il progetto della Milano-Bergamo- dalle sue stesse opere. Un Bruschetti che gongolava per il buon andamento della struttura e consigliava i vari Comuni di utilizzare l’idea ovunque possibile (e magari anche dove possibile non era) e strombetta –neanche lo avesse costruito lui- che quel Raccordo sta funzionando a pieno ritmo: “Poiché da più mesi é in attualità di esercizio, col più felice successo, sulla strada di circonvallazione a Milano, la ferrovia di congiunzione delle tre linee di Venezia, di Como e di Torino...

Con buona pace di Bruschetti e delle sue idee sulle ferrovie economiche il Raccordo non durò molto a lungo. Una volta aperta la stazione di Milano Centrale e attivato il Bivio Acquabella la stazione “provvisoria” di Porta Tosa venne prima dismessa e affittata alla Senavra e quindi smantellata; i terreni furono alienati e frazionati in una estesa operazione immobiliare. Il Raccordo fra le stazioni, essendo scomparse le stazioni dal panorama ferroviario cessò di avere un significato.

Somme

La storia del Raccordo ha preso una fisionomia un po’ più chiara. Non sembra sia stato utilizzato dall’esercito austriaco ma nato dalle esigenze dell’austriaca Società ferroviaria.

La spiegazione più logica risiede sull’abitudine, logica e generalizzata, di utilizzare una struttura-binario prima di tutto per costruire se stessa e poi per un uso “interno”; non tanto per un “trasporto” quanto per uno “spostamento”. Ovvero la struttura non era al servizio del pubblico (ad esempio per mancanza di permessi e di collaudi) bensì veniva utilizzata per spostare materiali e attrezzature di proprietà della Società ferroviaria. Se poi il binario era usato “a trazione animale” non avrebbe creato particolari problemi di sicurezza per quanto riguardava la circolazione di altri mezzi nella strada. E che altro saranno, poi, i tram a cavalli?

Per realizzare stazioni e binari controversi, quale migliore momento di una situazione bellica in cui il governo “uscente” era stato scalzato, e quello “entrante” non si era ancora insediato? Avessero vinto i Piemontesi,. forse non avrebbero nemmeno saputo della diatriba e la situazione si sarebbe assestata sull’esistente; fosse ritornato Gyulai ci sarebbero stati festeggiamenti e luminarie, qualche patriota avrebbe mugugnato e i mugugni degli abitanti del Borgo di Porta Comasina sarebbero stati zittiti come anti-austriaci.

C’era una certa fretta per mettere la città davanti al fatto compiuto visto che tutta la procedura per la costruzione sia della “linea di congiunzione” che dell’intera stazione di Milano Centrale era viziata da gravi elementi di illegalità. Mai perseguiti.

Mentre invece furono minacciati di essere perseguiti, gli abitanti della zona della Comasina. Dopo che la strada per Como era stata tagliata da un fossato da operatori della Società ferroviaria, nella notte fra il 22 e il 23 ottobre avevano riempito la trincea e ripristinato il transito stradale. Come risposta ottennero un minaccioso Avviso con cui le autorità…italiane, “invitavano gli abitanti del Comune alla tranquillità e all’osservanza delle prescrizioni superiori”.

Oh che strano, una ricca e potente Società per azioni riesce a forzare la costruzione di suoi progetti anche in assenza di permessi e in barba alle leggi e invece la popolazione di un quartiere di periferia non viene difesa da quelle leggi e non le è permesso di continuare a vivere secondo le sue secolari abitudini usando quelle strutture che nel corso del tempo essa stessa si era creata.

Nihil sub sole novi. Testa, vinco io. Croce, perdi tu.

Due anni più tardi la ferrovia da Piacenza giunse alla stazione di Porta Tosa e l’anno successivo i treni cominciarono a correre fino a Bologna e Ancona attraversando il Po. Quando iniziarono ad arrampicarsi sull’Appennino verso Pistoia e Firenze iniziò anche a funzionare la Stazione Centrale di Milano. Allora la tratta dalla Centrale a Bivio Acquabella permise la chiusura della Stazione di Porta Tosa e il passaggio dei treni attraverso il Lazzaretto che, alla lunga, scomparve del tutto. Una battaglia fu perduta e una battaglia fu vinta. Dipende da quale parte ci si colloca; quella della civiltà o quella del progresso.

Note

  1. Un po’ a dimostrazione di quanto sia necessaria, a volte, una via ferrata. Possibilmente ad alta velocità.
  2. Cfr. S. Gallio, Cenni sulla nascita della linea ferroviaria Milano-Bologna (Oggi è un’ora di viaggio), in “TecnicaProfessionale”, C.I.F.I., gennaio 2009.
  3. Cfr. S. Gallio, Il progetto della nuova (1856) stazione di Milano Centrale, in “Tecnica Professionale”, C.I.F.I., giugno 2009.
  4. M.C. Cavaleri, Storia e di fatto e di diritto sulla congiunzione delle strade ferrate aventi come centro principale la città di Milano, Tip. Bernardoni, Milano, ottobre 1859, pag. 32.
  5. E magari anche la Francia è stata d’aiuto. Non solo nel senso napoleonico-militare. Ma proprio nel senso ferroviario. Buona parte degli ingegneri che lavorarono nella Imperial-Regia Società privilegiata per le strade ferrate lombardo-venete e dell’Italia centrale venne”importato” in Italia dalla Compagnie du Chemin de fer du Nord, sempre a proprietà Rotschild. Fulgido esempio J.L. Protche (e tutta la sua “corte” di ingegneri) che poi a Bologna divenne il pilastro costruttivo della linea Piacenza-Bologna-Pistoia, la parte “Italia Centrale” di quella rete ferroviaria del nord Italia.
  6. M.C. Cavaleri, cit., pag. 47.