Narcissa

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Pellegrino Gaudenzi

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Questo testo fa parte della raccolta Poemetti italiani, vol. XII


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NARCISSA


POEMETTO


DI


PELLEGRINO GAUDENZI


Che voce è questa tremola gemente,
Che sovra l’ali del notturno vento
Lenta s’avanza, e tratto tratto spezzasi
Entro il fosco silenzio? ella somiglia
5Al roco suono di lontano rivo,
Che volve l’onda fra dirupi infranta.
Or che in alta quiete abita e posa
Tutta la terra, e tutto il mondo è muto,
Chi fra mortali ancor calma non trova,
10E alberga il duol nell’affannoso petto?
Chi siede là sotto sfrondato pino
In quella balza? ei fitto ha il guardo in cielo,
E fioco parla alla cadente luna.
    Bella figlia del cielo, ah! tu nascondi
15Il bianco raggio; la tua nube incontra
I passi tuoi; già di nebbioso velo
Ricuopreti la fronte.... Ah mia Narcissa!
Tu pur così da me fuggendo, avvolta

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In fosco ammanto, nell’eterna notte
20Ahi! t’inchinasti, ed io solingo e mesto
Ti chiamo invano a rigodere il giorno.
    Questa è la voce del Cantor di Livia,
Che piange la sua sposa. Ella sotterra
Dorme il sonno di morte. Ei l’ha nel core,
25E sono solo i suoi pensier di tomba.
Or che ricuopre le paterne sale
Lutto funebre, il piè rivolse a questa
Balza romita: oh! qual sul ciglio oscura
Nube gli siede di tristezza, e quale
30Piena d’affetti gli si affolla in seno,
E il cor gli preme, e gonfiagli negli occhi
Le lagrime del duol! pende negletto
Il laureo serto dalle sparse chiome,
Nè sulla cetra la smarrita mano
35Gode svegliare l’armonìa del canto.
Solingo, inconsolabile, abbattuto
Distrugge in pianto e in gemiti profondi
L’anima palpitante.... Oh Dio! di nuovo
Sento che rompe l’aere notturno
40Con sue querele.... Amabile Narcissa!
Te sempre chiamerò; viva tu fosti
Solo la gioja del mio core, e morta
Tu sola albergherai questo mio core.
Ah mia Narcissa! amata mia Narcissa!
45Tu non rispondi; ah che non vieni, o cara,

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A consolar lo sposo? in queste balze
Se mai t’aggiri in compagnia dell’ombre,
Una sol volta alla tua nube affacciati,
E fa ch’io veda il grazioso aspetto,
50Che i giorni miei sparger solea di gioja.
    Cantor di Livia, la tua voce è trista,
E scende all’alma, e lagrime le chiede;
Ma sorgi omai; dall’addensata nebbia
Svolgi il tuo spirto; a che giaci sepolto
55Fra questi orrori in affannosa pena,
Che ti flagella, e in te nera ristagna?
Perchè mai guati quella muta piaggia,
Nè sai staccar dall’occidente il guardo?
Ti volgi, e mira che l’opposto cielo
60Tutto si tinge di vermiglia luce,
E fuori della liquida marina
Rimena il giorno la novella aurora.
Se a te celossi un astro, ancor più bello
Sorgerà un astro a rallegrarti il core.
    65Ma vè! che nube è quella mai che s’alza
E il lucido sentier del rinascente
Sole precede? maestosa avanza
D’un aurea luce vagamente orlata,
Che tutto intorno l’aere dipinge
70Di roseo colore, e sotto a lei
Par che s’allegri il giovinetto colle.
Vè come affretta! ella si volge a questa

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Balza, o cantor di Livia: oh! viene a noi;
Vedi, si fende un cotal poco; ah quale
75Lucida forma le traspare in seno!
Ella somiglia alla cerulea faccia
Di chiaro rivo, che addensato in gelo
Splende da lungi ai mattutini rai.
Cantore, ella è Narcissa; la tua sposa
80Tu non vedesti? ma s’è chiusa, oh Dio!
Nella sua nube: ella affacciossi un poco,
E ti guardò; non pianger no, la vidi
Ch’era ridente, e come raggio in onda
Entro un fonte di gioja tremolava.
85Parvemi solo che importuna nebbia
Velar tentasse quella pura luce,
Che le brillava nel sereno viso.
Ah! quella nebbia era vapor funesto
Da’ suoi sospir tessuto e dal tuo pianto.
90Deh ti consola! agli occhi tuoi s’ascose
Forse perchè la tua soverchia doglia
Offende il suo riposo: ah! prendi, prendi
La cetra, e sveglia i tremiti sonori.
    Canta Narcissa, e all’eccheggiante suono
95Delle sue lodi si diradi intorno
La tenebrìa dell’aer grave e pregno
De’ tuoi sospiri, e la percossa rupe,
Ch’or rispondeva ai flebili lamenti
Del tuo dolor, fa che ripeta al colle
100Tranquillo il nome della cara sposa.

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Canta Narcissa, e la diletta voce
Raggiungerà la fuggitiva nube,
E sia che indietro a te volga i suoi passi
L’amabil ombra; ell’ha sete di canto;
105Godrà venirti appresso, e desiosa
Di coglier l’armonìa di sua canzone
Ben la vedrai della sua nube fuori
Tutta inchinarsi, e addoppierà la gioja
Entro il suo spirto il tintinnìo dell’arpa;
110Come in autunno tepidetta pioggia
Feconda il campo, e cresce fiori al prato.
Pianti, singulti, gemiti, querele
Da te non chiede no, qual nebbia al sole
Struggonsi queste, e sol rimane affanno
115Al misero che s’ange; un canto agogna;
Un lieto canto, che d’eterno nome,
Qual folgorante veste lucidissima,
Fasci il suo spirto sulle vie dei venti.
    Ma tu nel sen covi la doglia ancora,
120E hai sul labbro il sospir, sul ciglio il pianto
Sempre non vola no di prato in prato
Ala odorosa di fecondo zefiro
Animator di tenerelle erbette:
Ma poi non sempre sbuffano, imperversano
125I gravi soffj d’Aquilon gelato,
Che miete i colli, e inaridisce il bosco.
E qual cosa mortal fra noi riserba
Durevol corso, od immutabil forma!

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E tu vorrai di rimembranze amare
130Pascer sempre il pensiero, e a forza trarlo
Di larve in larve per sentier di gemiti
Naturalmente di pace nemico?
Se per le vie del ciel con fosche penne
S’alza la notte a intenebrar la terra,
135Su lei dal cielo graziose stelle
A piover sorgon tremolante luce.
Cantor di Livia, e qual doglia profonda
In sì funeste tenebre ravvolge
Dell’uomo il cor, che a lui giunger non possa
140Sereno raggio di conforto e pace?
Non mai sull’alme la sinistra mano
Alza Natura a spargervi gli amari
Semi di pena, di cordoglio e pianto,
Che pur non stenda provida la destra
145A versar sovra d’essi alcuna stilla
Di contentezza, di ristoro, o speme.
    Talor sul ciel di rammassate nubi
S’avventa al Sole tenebrosa falda,
E tutta smorza la fiammante luce
150Della sua faccia; illanguidita e mesta
Geme Natura: ei si travolve e rompe
Il fosco orrore con sua calda possa,
E giù per mezzo allo spezzato gruppo
Trabocca il raggio avvivator del mondo.
155Sfuman le nubi; in sua bellezza ei solo
Ampio lucente per lo ciel passeggia.