Non più illusioni (Carpi)/4

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Condizioni anomale del poter temporale del Papa

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Condizioni anomale del poter temporale del Papa
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Un ultimo portato provvidenziale del patto di Villafranca si è quello di aver posto in evidenza come il potere temporale del papato, propugnatore in epoche remote dell’indipendenza d’Italia, ostile ai prepotenti, e nemico implacabile dell’impero che sulla Italia esercitava aspro dominio; si leghi ora strettamente alle dominazioni straniere in Italia, al tristo sistema delle milizie mercenarie fatale a chi domina ed a chi è dominato, alle reminiscenze delle aristocratiche pretensioni che attingono la loro ragione di essere nel diritto divino il quale oramai ha compiuto la sua parabola, alle idee retrive, alla negazione infine di ogni umano e civile progresso.

Tutto ciò in Italia non aveva mestieri di dimostrazione, e tanto meno negli Stati retti dalla clerocrazia pontificia, ove ogni ordine di cittadini dalle sommità [p. 11 modifica]sociali per casato ricchezza ed ingegno, sino alle classi meno colte e fortunate, ha dimostrato e dimostra francamente e lealmente quanto, senza nulla togliere ai principii religiosi ed alla venerazione dovuta al capo della Chiesa, avversi disdegni e ripudii l’umiliante signoria. Ma ora mercè delle complicazioni nate dal patto di Villafranca ne è fatta partecipe tutta Europa.

I tempi volgono benigni, e le misure violenti destano raccapriccio e rivoltano l’opinione pubblica in tal guisa da rendere alquanto guardinghi coloro, cui non ripugnerebbe di farvi feroce appello. Nulla può più restare a lungo segreto, talchè i fautori dell’assolutismo e del diritto divino ne restano sgominati e subiscono prima o poi gli effetti della moderna civiltà. Essi però, non illudiamoci, per opporsi sino all’estremo all’irrompente fiumana del progresso, hanno cangiato strategìa e dove le molle dell’assolutismo non si prestano più all’usato ufficio, si valgono della libertà stessa che è a loro come a tutti concessa, contro la libertà con accorgimento e destrezza non comune; fiduciosi che quanto di ignoranza e di pregiudizii esiste tuttavia nelle masse, valga a far loro sgabello per risalire all’antico predominio. Perciò bene diceva Platone «essere l’ignoranza per quelli che non intendono, un egual male che la cecità per quelli che non veggono.» Se in politica le Camere Stellate, il Consiglio dei Dieci ed i Tribunali Veemici hanno finito di servire nelle tenebre con azione occulta pertinace e costante le prepotenze dei regnanti e la ferocia dei partiti; in religione, quale stromento di politica, non evvi più del Santo Uffizio che la smunta odiata ed innocua larva. I sodalizii più spietati fecero il loro tempo e le scomuniche quest'arma [p. 12 modifica]altra volta terribile, ora abbrucia le mani di chi la tocca, e non occorrono più a rintuzzarne l’azione, i violenti decreti della Signoria Veneta che fece talfiata strozzare — tanto le violenze chiamano violenze — coloro che ne pubblicavano le Bolle a dispetto del divieto della Repubblica; nè le energiche dimostrazioni del Consiglio Ducale di Torino, che nel 1613 dichiarava recisamente al Nunzio essere nulla la scomunica pronunciata contro il Presidente Galeani, quand’anche venisse dal Papa; mentre oggidì il buon senso generale delle popolazioni fa di cotali espedienti il più severo giudizio, senza dire dei motteggi e delle increduli dimostrazioni che lor tolsero ogni autorità anche sulle più timorate coscienze.

Ciò non toglie per altro che non vi sieno negli esecutori degli ordini del governo di Roma molti fanatici, e che il basso clero — nel complesso mite, ed alieno dalle idee politiche di Roma, come ne diede testè prova il clero di Milano, — non debba volente o nolente, tergiversando portare l’agitazione sin dove sia ora dato di farlo nelle masse ignoranti, fuorviando così i coscienziosi, col confondere ad arte un potere coll’altro; locchè tener deve oltremodo desta l’attenzione dei governi civili, anche pel motivo che tali mene servono di perno per rannodare le fazioni politiche allo scopo di osteggiare viemmeglio i governi che avversano.

I più zelanti accennano, in ragione dei tempi, a partiti estremi, e ricordano i funesti effetti degli ordini perentorii dei capi ad uomini che si lasciavano trasportare dalle passioni più sfrenate di dominio e di vendetta, disconoscendo il sacro loro carattere.

E qui rammenterò agli Italiani alcuni fatti che narra [p. 13 modifica]la storia, affinchè non si lascino avviluppare dalle reti che tendono loro sotto lusinghiere apparenze i fautori del poter temporale del Papa; mentre avvalorato come esso è dal fascino religioso, trasmoda più che le signorie puramente mondane, in ispeciali contingenze, in atti detestabili ed audaci, a detrimento di ogni senso di morale, di giustizia e di ragione. «Papa Martino da Orvieto ordinava al Cardinale Gherardo nel 1283 di predicare la Crociata contro i Siciliani scomunicati, e di dare la croce a qualsiasi uomo senza guardare ad origine o nazione1. Nella guerra mossa da Filippo l’ardito contro Pietro d’Arragona ad istigazione di Papa Martino, cui cuoceva la perdita della Sicilia, il Legato fanatizza i soldati contro gli abitanti d’Elma che resistettero nell’occupazione di Perpignano, ed ordina di passarli tutti a fil di spada — chè contro nemici della Chiesa e’ non era peccato, od ei li assolveva. — Quindi nè ad età, nè a sesso, nè a religione perdonarono, entro la misera terra, le genti crociate. Violarono le suore, uccisero i sacerdoti, e le donne dopo averle profanate, ecc., ecc.2

«Nel 1285 Ramondo Folch assediato in Girona dai Francesi, mandò agli estremi il cardinale di Saragozza a chiedere patti. Il Legato del Papa gli troncò ogni parola gridando — non misericordia, non patti. — Quando Filippo il Bello bruscamente domandò al vicario del vicario di Cristo, che farebbe dei bambini e delle donzelle prendendo Girona d’assalto — muoian tutti — il Cardinale rispose; e Filippo a lui — niuno muoia che non possa difendersi colla spada3[p. 14 modifica]

Nel maggio del 1287 le schiere Angioine occuparono Agosta in Sicilia, e quegli abitanti non volendole tenere che per nemiche, fu loro insinuato come si venivano a tale guerra per volere del Pontefice. «Teniam noi, rispose un vecchio siciliano, per Madre la Chiesa, nimico chi adesso la regge, poichè armi ed armati invia a combatterne. Al Legato or chiedete se Iddio mai comandò di spargere sangue cristiano per asservire cristiani; e s’ei diravvi che sì, miscrede al Vangelo, e da noi apprenda che la fede cristiana dà sole armi alla Chiesa: l’umiltà, la croce e la soave parola4

In mano al governo temporale del papa, le guerre civili si cangiano in crociate politiche, che oltre alle orrende sciagure di tutte le lotte intestine, accoppiano il triste spettacolo di far servire con gelida impassibilità le credenze ed i pregiudizii religiosi, alle sevizie più crudeli per pretesa ragion di Stato.

L’eco di quei nefandi fasti si è ripetuto ed ebbe riscontri di secolo in secolo sino a noi, e le carnificine del cardinale Rivarola nel Ravennate, e quelle ancor più recenti di monsignor Bedini nelle Legazioni, senza dire delle stragi ancor fumanti di Perugia, ci attestano come altri perde il pel anzichè il vezzo.

«Cosa degna invero di considerazione - scriveva Hurter autore certamente non sospetto per la Corte di Roma - è per l’uomo osservatore la podestà spirituale dei papi che viene gittando sempre più profonde radici, mentre, per la podestà temporale, sono per secoli obbligati a combattere ora coi potenti della terra, ora coi riottosi signori della metropoli ed ora col [p. 15 modifica]popolo stesso, in cui a quando a quando svegliavasi la memoria dell’antica libertà e della sovrana autorità. Quelle parole del fondator della Chiesa: Il mio regno non è di questo mondo, penetravano a quei tempi per ogni luogo, e quest’esperienza avrebbe dovuto appresso sconsigliare altrui, dal voler allargare questo regno per altri modi che per quelli con cui fu costituito ed a cui doveva la vastità sua e il suo spledore. Il germe corruttore andò crescendo di mano in mano che questo regno cercò di maggioreggiare sopra il mondo come la natura sua richiedeva per pareggiarsi ad esso e partecipar della sua corruzione5

Ora che in Italia si resero quasi impossibili le guerre civili, ora che se dai nostri nemici si tentasse di ridestarne le fatali prove, le donne italiane ripeterebbero agli infausti eroi di tali nequizie, quello che la greca Elpinice diceva a Pericle quando ritornava trionfante da Samo — Gran che per aver vinto i fratelli anzichè i Fenici ed i Medi! — per rendere codesti nemici il ludibrio della nazione, bisogna far prestante opera per rendere anche impossibili le crociate politiche della Corte di Roma, che contengono il germe delle civili discordie.

L’Italia sia degli Italiani, come la Francia è dei Francesi e la Spagna degli Spagnuoli; risolto questo grande e giusto concetto in senso a noi favorevole, ogni altra questione vien meno, giacchè gl’Italiani — come si pratica da ogni altra nazione liberamente costituita — acconcieranno a loro talento [p. 16 modifica]le loro interne bisogne nell’interesse proprio ed in quello di Europa, la quale dovrà imporsi di non più funestarci colle sue irruzioni sotto l’elastico pretesto di pacificar noi con noi stessi! Dovrà l’Italia con 25 milioni di abitanti essere eternamente tenuta per un grande ospizio di pupilli, a cui occorra la tutela di tutte le potenze di Europa? È tempo che finisca questo anacronismo, e deve finire principalmente per l’opera nostra, approfittando del generoso concorso che ci venne offerto da una delle Nazioni più potenti e più civili di Europa; ed i varii nostri umori cospireranno essi pure a farci grandi e temuti, quando cesseranno di essere aizzati dall’antagonismo straniero.

Egli è perciò che sarebbe stato a mio avviso miglior consiglio di abbandonare latente la questione del potere temporale del papa, che ora solleva tante interessate recriminazioni, per rivolgere l’azione comune alla soluzione del problema ben altrimenti importante della liberazione della Venezia, problema la cui soluzione implica quella del dominio papale e di molte altre interne, e avviluppate questioni.

Tuttavolta non può negarsi che, posto il quesito nei termini tracciati dal famoso opuscolo Il Papa ed il Congresso, si è ottenuta in Italia una linea di demarcazione ben distinta, fra gli amanti della indipendenza nazionale, degli ordini liberi, del progresso e della civiltà; e coloro che parteggiano per le male signorie straniere, per l’assolutismo, e per i principii retrivi di ogni specie. Si fece inoltre manifesto come questi ultimi, accortisi della nullità e debolezza del loro principio di azione, si avvalorano dell’ignoranza in cui trovasi immersa una parte del popolo; dello [p. 17 modifica]spirito di partito e di sistematica opposizione che accieca presso vicine Nazioni uomini anche colti e civili, e dei pregiudizi di casta, di religione e di razza; non isdegnano perfino di far comunella con uomini che altra volta essi detestavano come miscredenti, rivoluzionarii ed infidi.

La natura umana è veramente un mistero, e colui stesso in cui si svolge, cade sovente vittima di morali mistificazioni di cui difficilmente si saprebbe dar ragione, attuando esplicazioni di una volontà che è in lui, e non è la sua!

Come spiegare altrimenti fra gli altri il prodigio dei neo-papisti Vuillemin e Guizot? Il primo rinnega di un tratto le sue più brillanti lezioni di letteratura e di storia francese; quanto al secondo, vorrei chiedergli come adonesta i nuovi amori, col seguente severo giudizio uscito altra volta dalla sua penna: «Quand la question des garanties politiques s’est posée entre le pouvoir et la liberté, quand il s’est agi d’établir un système d’institutions permanents, qui unissent véritablement la liberté à l’abri des invasions du pouvoir, en général l’église s’est rangée du côté du despotisme!6

Ora è questione in Italia non solo di libertà, ma d’indipendenza nazionale, al cui sacro appello le fibre dell’ultimo fra i Francesi, fra gl’Inglesi, fra i Spagnuoli, fra i Tedeschi si scuoterebbero irritate se venisse fra di essi minacciata. Or bene! Il Papa come re italiano si è egli posto nel campo di Vittorio Emmanuele strenuo difensore dell’indipendenza nazionale, o piuttosto [p. 18 modifica]ha inclinato verso quello degli eterni nemici d’Italia? La risposta non può essere dubbia: ma fino a quando, dirò io al signor Guizot, il solo Italiano degli Stati della Chiesa, non potrà insegnare a’ suoi figli il dolce amore della patria, ma dovrà dir loro: Qui tu sei schiavo; dimentica il bel paese, dimentica ogni senso di nazionale dignità, e va con tuo dolore ramingo ad altra parte d’Italia se vuoi godere dei diritti dell’uomo?

Note

  1. Raynaldi, Ann. Eccl., 12, v. 4, §§ 2 e 3.
  2. id.id.
  3. id.id.
  4. Raynaldi, Ann. Eccl., loc. cit.
  5. Hurter, Vita d’Innocenzo III, vol. i, lib. vi.
  6. Guizot, de la civilisation en Europe, 6e leçon.