Notizia d'un pittore a servizio della corte di Savoja

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Giuseppe Vernazza

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Notizia d’un pittore a servizio della corte di Savoja Intestazione 9 gennaio 2013 75% Storia

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NOTIZIA D’UN PITTORE


a servizio della corte di savoja


del Barone Vernazza.


Letta nell’adunanza degli 11 aprile 1822.






Nella spiegazione della insigne Lapida Romana posseduta dal Marchese di Roddo, Cavaliere dell’Annunziata, Gran Mastro della casa di Sua Maestà, ho in questa sala riferito, già sono dieci anni1, le prime linee di una lettera inedita, scritta nel 1572 ad Emanuel Filiberto. Esse poche bastavano al mio intento, che era, mostrar la cura di quel Monarca in far venire di Roma a Torino monumenti d’antichità. Gradite, o signori, che intera io reciti quella medesima lettera. Essa mi darà occasione di parlar di un Pittore che fu a servigio della Corte di Savoja. Il nome di lui gioverammi a spiegare una di quelle invenzioni, che imprese son dette, proposta in tre maniere da Torquato Tasso, la quale, per quanto a me sembra, difficilmente sarebbe dichiarata da uom’ che piemontese non fosse.

«Al Seren. gran Duca di Savoia, patron mio Collendiss.
«Seren. Gran Duca, e patron mio Collendiss.

«Quando io era in Roma scrissi a V. A. arricordevole di quanto lei mi haveva imposto che io gli procacciassi qualche cosa di buono di quelle anticaglie Romane, come havevo trovato di più sorte pietre di Mistro atte a commettere in tavole di marmo e [p. 40 modifica] simil lauori. E quantunque io dimorassi in Roma piu tempo chio non hauerei uoluto per conto de mia negoti non ebbi pero mai risposta alcuna che spesse uolte fui del suo inbasciatore per intendere se haueua mia lettere. Come fui poi arriuato in Pisa trouai una lettera di Mario suo Orefice per la quale restauo auisato della uolonta di V. A. che io douessi pregiarli. Cosi non hauendo io possuto seruir quella di mia presentia si come hauerei desiderato nondimeno non ho mancato di scriuerne a un mio zio persona pratica e diligente che sara insieme con Simone mio figlio e spero che per opera d’ essi restera seruita e ne aspetto risposta in breue, e allora daro auuiso a V. A. del seguito insieme con del costo.

« E per M Alexandro Ardente mando le facciate del luno e laltro suo palazo a fin che uenghino sicure e ben conditionate le quali non ho mancato mostrarle al Gran Duca di Toscana insieme con le piante che io feci costa per V. A. le quali gli son satisfatte assai, et ha approuato il buongiudizio di V. A. dacomodare le scale doue quella già mi disse et me inpose che in nome suo io basciassi le mani a V. A. dicendoli che se cosa alcuna li correua di queste parti facessi conto dauerci buono amico.

« Ne mi e uscito di mente di seruirla de marmi per far li tre fiumi che tuttauia e uanno abbozando meglio e a settembre si manderanno a Sauona, et io non manchero a quel tempo di trasferirmi costa con la mia famiglia perche altro non desidero che di spedirmi di qua per uenire a seruirla che ognora mi par mille anni come appieno ne ho parlato e discorso con l’Ardente per che ne informi quella alla quale prego N. S. Dio che felicissima lungo tempo la conserui. Et humilmente gli bascio le mani. Di Pisa alii 4 di Maggio 1572. »

« Di V. A.

« Obligatiss. Serv.

« Francesco Moschino.


[p. 41 modifica] Il Moschino e Simone figliuol suo, e i due palazzi, che egli dice, possono dare argomento ad altri discorsi: oggi non divagherò gran fatto dall’Ardente e da una lettera del Tasso.

Messer Alexandro Ardente fu noto al suo contemporaneo Lomazzo, che scrisse esser Luchese2. Fu noto al Morrona che lo chiamò Pisano3. Il Zani, che vide in Torino, ed ebbe a suo comodo uso tutte le mie carte pittoriche, potè scrivere con sicurezza che l’Ardente mori nel 15954, ma dal Zani son nominati due pittori del medesimo cognome. Dell’uno ei tace il nome di battesimo, e dice semplicemente che operava nel 1721, e che fu pisano. Dell’altro dice si chiamava Alessandro, che fu pittor ritrattista, pittore ornatista, pittor bravissimo, che operava nel 1562, e che era di Faenza. Similmente il Lanzi lo riconobbe per Faentino5, e soggiunse comunque altri lo facciano Pisano, ed altri Luchese. Ai tempi dell’Ardenti viveva Giambattista Armenini di Faenza. I suoi veri precetti della pittura furono stampati nel 1587 in Ravenna, ed in essi egli dice come nel 1556 era in Roma, pur non ebbe opportunità di nominarlo nel suo libro. E tuttavia non si puo dubitare che fosse suo concittadino: peroohè in quttro chiese di Lucca si trovano opere di Alessandro Ardente, in ciascuna delle quali è scritto Fauentinus, e in una pittura è l’anno 1565, e in un’altra 1568; così assicura la guida del forestiere per la città e il contado di Lucca, del qual libro l’uno de’ principali autori e il Cav. di S. Quintino6

Venne adunque in Torino l’Ardente nel 1572, portando i disegni di architettura confidatigli dal Moschino.

[p. 42 modifica] In quali lavori fosse adoperato da Emanuel Filiberto non mi consta. I pittori, che non posero nomi o cifra nei loro dipinti, mal provvidero alla propria fama, e fu ben detto dal Castellan 7 membro dell’istituto di Francia: à quoi tient cependant la gloire des artistes! ils croient attacher leur nom à des ouvrages durables, la matière reste en effet, mais le nom s’efface, s’il n’a pas etc d’abord consigné sur les tabletes de l’histoire. Car viennent ensuite les conjectures tardives et hasardées des écrivains: et la couronne s’égare, ou tombe sur une tête étonnée de cette glorieuse parure. Esempio si ha in una tavola posseduta in Alba dal conte Deabbate8. In essa il nome dell’autore si trova scritto cosi: Ottavianus Lanis imitator natura pinxit. an. d. mdLii. Al possessor della tavola non piace questa epigrafe; egli dice che staui per errore, e decide che la pittura à lo stile di Bruno di Gioanni il competitore di Buffalmacco. Il Boileau nell’arte poelica disse; le vrai peut quelque fois n’être pas vraisemblable: infatti il pittore Ottaviano Lane di Trino fu celebrato dall’Irico, il quale riferisce9 in una tavola del mdLi la medesima epigrafe. Il Degregori l’avea ripetuta, ed aveva osservato che quel pittore fu omesso dal Lanzi10

Gli errori dei dotti, ed i molti più numerosi miei propri; mi hanno renduto cauto e dubitativo. E talora nelle arti del disegno ho fiducia di saper discernere i pennelli antichi dai moderni, e tra i moderni un bulino inglese da un veneziano, perciò alle esperienze degli occhi altrui, io concedo moltissimo e volontieri, ma non a tanto segno, che ad essa io non preferisca, s’io il posso, l’autorità dei monumenti storici.

Di Alessandro Ardente due quadri soli a me son noti nelle chiese del Piemonte: e lo sono perchè portano il nome di lui: l’uno e [p. 43 modifica]sull’altare nell’oratorio di S. Paolo in Torino: l’altro e un’Epifania nel Carmine di Moncalieri. Il primo non ha data di anno, e solamente il Tesauro espone che fu dipinto circa il 153011, il che lascia presumere, che fosse cominciato nel regno di Emanuel Filiberto. Il secondo ha la data del 1592, col ritratto di Barlolomeo Pisio da cui fu ordinato, il quale in allora era in età di 18 anni: il ritratto è in fondo. Ma niuno di essi due insegna la patria dell’Ardente, nè che ei fosse pittore della Corte di Savoia. Bene scrisselo di se nel 1784 il Pecheux nel suo quadro, che sta nella metropolitana di Pisa.

Or senza i monumenti, ch’io son per addurre, come si potrebbe asserire, che l’Ardente abitasse molti anni in Torino?

Parlando in genere, il Guichenon12 dice che Emanuel Filiberto nel 1573 applicossi à aggrandir son palais de Turin à l’embellir de foutaines d’acqueducs de bois de parterres, de statues, et autres ornemens: e per suoi mallevadori allega il Pingone, ed il Toso; ma nominato non è alcun nè pittore, nè statuario. Sicchè può essere che l’Ardente lavorasse od a fresco, od in tele per ornamento de’ Reali palazzi. Ma determinar questa o quell’opera non è possibile. Ho letti molti inventarii della Regia suppellettile in diverse ed antiche età, ed ho veduto in essi registrati innumerabili ricchezze d’ogni genere prezioso, delle quali, per la moltitudine difficile da mantenere intatta non si sa più novella. Ma quanto alle pitture, sono pochissime quelle di cui sien detti gli autori. Una descrizione ho copiata, memorabile ed assolutamente rarissima, di una pittura del 1474, fatta in Ivrea per ordine della vedova Duchessa Giollanda13, descrizione che potrei recitare in un’altra adunanza quando pur vi piacesse, o Signori, ascoltarla.

Nella Regia pubblica Biblioteca son due collezioni di ritratti [p. 44 modifica]originali, colorati; nell’un volume è la Duchessa Catterina, primieramente in profilo, poi in faccia. Succedono Matilde di Savoia ed otto dame, e cinque damigelle di corte. Tutti sono senza nome di pittore. Nell’altro volume d’indole pittoresca molto diversa, sono cinquantacinque ritratti. Il primo è quello di Carlo Emanuel primo, in età di bambino, e sotto questo solo è notato che fu della mano di Messer Giorgio di Alessandria pittore del D. E. Filiberto14. Tutti gli altri, tra i quali piacemi nominare quello del Marchese Forni che è nel fol. 36, direi volentieri che fosser fatti dall’Ardente, fra essi è Carlo Emanuel I. in età virile, ed è probabilmente l’abbozzo di quello che è lodato dal Lomazzo. E voglio anche notare che nel primo foglio di questo volume è disegnato un bel cagnolino, e che due cani sono effigiati nel quadro di S. Paolo.

Dal Zani l’Ardente è qualificato pittor ritrattista: ed io oltre al ritratto del Pisio già detto posso indicare l’imagine di Antonino Tessauro di Fossano intagliata in rame, non si dice da chi, sotto alla quale si legge Alex. Ardensius pinxit. Essa è nel libro intitolato Novae decisiones sacri Senatus pedemontani15.

Soggiunge il Zani, che l’Ardente fu pittore ornatista, questo detto si conferma con la storia delle alpi marittime, dove si narra che le macchine e pitture ed altri apparati per l’entrata della Duchessa di Savoia in Nizza nel 1585 furono d’inventione et opera del signor Alessandro Ardenti pittore e scultore di S. A. le quali parole ho prese dalla pag. 641, nel volume secondo autografo di Pietro Gioffredo, ed egli probabilmente le avea prese dalla relatione stampata nel 1585 in Torino16, dove a pag. XI. si legge, [p. 45 modifica]che tutto fu d’invenzione del gentilissimo signor Alessandro Ardente pittore e scultore di S. A. Questa e l’unica testimonianza che mi sia nota della qualità di scultore attribuita all’Ardente.

Egli abitava in Torino. Un codice della R. pubblica Biblioteca è intitolato Consegna dei Forestieri; sotto li 39 di gennaro 1590, secondo si sono consegnati senz’ordine. Ivi nel foglio 12 e descritto M. Alessandro Ardenti pittore di S. A. S. si aggiunge in casa sua, il che dimostra ch’egli entrava in città nel ritorno d’un viaggio. Nella facciata precedente è Gio. Tauriar Milanese intagliatore, e si aggiunge in casa del S. Alessandro Ardenti.

Nei registri delle concessioni Sovrane ho veduto che ad Alessandro Ardenti pittore di S. A., addì 6 di aprile 1593, Carlo Emanuel I. cedette una casa per tremila scudi d’oro, in conto di quel che gli deve per quadri, pitture ed altro. Il sito della casa ceduta si presume da un mandato dei 5 novembre 1619, dove sta molato, che fu fatta demolire per l’effetto della contrada nuova che va dal Castello alla piazza di questa città et per aggrandire essa piazza.

Ma l’Ardenti era morto nel 1595. Della sua eredità rimane tuttora un libro conservato nella Biblioteca dell’Università17. Contiene le prospettive inventate dall’Uriest, intagliate in rame dal Cock nel 1562 in Anversa e dedicate al Cardinale di Granvella. Nelle prime carte l’annotazione:

Carlo Emanuel I. stando in Rivoli sottoscrisse addì 24 di agosto 1595 un ordine, con cui volendo riconoscere la bona et fedele servitù che di lunga mano gli ha fatto il fu Alessandro suo pittore, stabili alla sua moglie et figliuoli una pensione annua di cento cinquanta scudi da tre libre. Nè si aggiunge alcun nome di battesimo.

[p. 46 modifica] Nè qui fermossi la beneficenza del Duca. Una concessione sua data di Torino 18 gennaro 1609 comincia cosi: Havendo noi per ordine nostro delli 9 di marzo dell’anno 1607 donato a Margarita Ardente, figlia di Camera delle principesse mie figliuole amatissime la somma di ducatoni due mila a fiorini XI 1/2 l’uno, cioè mille per le doti che a queste si sogliono dare conforme al solito e stile di palazzo nel matrimonio contratto col Cav. Garreto nostra Cameriero e gl’altri mille a contemplazione della servitù per detta Ardente fatta alle dette principesse mie figliuole. E poco dopo ordinò che fossero pagati altri mille ducatoni verbalmente promessi allo sposo.

Inoltre una concessione data da Torino 5 marzo 1612 comincia così: Havendo noi promessa conforme al nostro stile di palazzo in dote a Catterina Ardente Cameriera dell’Infanta Duchessa di Mantova mia figliuola amatissima nella celebratione del matrimonio contratto di consenso nostro col Cav. don Francesco Magna Milanese già nostro paggio di scuderia la somma di ducatoni due mile d’argento. ... come pur facessimo a Margherita Garetto sua sorella.

Da tutto questo si può concludere che l’Ardente, e pel grado che tenea il suo casato in Faenza, e per l’ufficio di pittor Ducale in Piemonte era stimato di assai buona condizione, poichè le sue figliuole furono e Cameriere delle principesse di Savoia, e maritate con dote del Duca a due nobili uomini, l’un Piemontese, l’altro Milanese.

Or vengo al Tasso. Centottantatre inedite di sue lettere copiate da fogli autograti nella Biblioteca Estense, furono mandate il dì 18 marzo 1755 ad Apostolo Zeno dal Muratori, e stampate in Venezia nel volume decimo delle opere di Torquato Tasso. Ivi la lettera sessantesima seconda, senza data di anno è posta fra una di marzo, ed una di giugno 1583.

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Al Sig. Antonio Forni. A Torino.


«Se V. s. dubita del desiderio, ch’io ho di servirla, e per questa cagione non ha voluto liberamente comandarmi quella cosa, ch’ella chiama di maggior rilievo, ha fatto torto all’amor, che le porto, del quale ha potuto vedere alcuni indizj non oscuri.

«Ma se non ha voluto imporlami, dubitando del potere, e del saper mio, del quale ha voluto prima far pruova in suggetto di minor importanza, ha in ciò operato discretamente; perciocchè io confesso di potere, e di sapere assai poco, ora particolarmente ch’io sono infermo. Nondimeno acciocchè V. s. conosca, con quanto affetto io mi muova a servirla, ho fatto subito l’impresa, che m’addomanda, la quale è un’apparenza di due Stelle erranti, la qnal si fa secondo l’opinione d’Anassagora, e di Democrito, quando elle s’avvicinano tanto, che pare che si tocchino insieme. Il motto è: Mutuus ardor. Ma se V. s. desiderasse, che s’esprimesse più particolarmente quel, ch’ella dice l’aura ardente, io non ne saprei immaginare alcun’altra più atta a significar questo suo concetto del Turbine acceso col motto Torquet, et torquetur; ovvcro Urit, et uritur. E se le pare, può, mostrarle a cotesti Signori, i quali ne fan professione, benchè a me basti, ch’ella se ne compiaccia. Baci in mio nome le mani al Sig. Marchese, ed a S. A. la quale vorrei, che vedesse una mia Impresa nuova, in cui sono due Olivi con due candelabri, e col motto: In conspectu Domini. Avrei usate più volenticri le parole Greche, le quali si leggono nell’Apocalisse di S. Giovanni al capo XI. ma non ho se non il testo Latino, perciò lascerò queste, e starò aspettando, che V. s. mi comandi. E può mandar le lettere per mezzo del Sig. Ercole Greco, ch’è molto mio amico. E le bacio le mani. Di Ferrara il 16. d’Aprile.

E prima di tutto io tengo per verisimile che il personaggio al quale ha diretta la lettera, è quello stesso Marchese Forni, il cui [p. 48 modifica]ritratto e nella collezione sopracitata. Per tacere poi e di Angelo Ingegneri nella dedicatoria della Gerusalemme Liberata a Carlo Emanuel I. e di Agostino Bucci, e di altri che in libri stampati parlarono del Forni, io quì solo trascriverò inedite note.

Fra i Codici MS. nulla Regia pubblica Biblioteca è un anonimo discorso se convenghi ai principi lo studio delle lettere:18 ivi nella settima carta si legge; l’importanza di questo benissimo conobbe il Seren. Carlo Enumuel duca di Savoia hora regnante, l’essempio di quale può ad altri benissimo valer per specchio e norma: poichè sol per assister alle persone de’ Seren. suoi principi e figli ha chiamato da lontanissime parti e molto de’ maneggi e governi importantissimi huomini per eccellenza di dottrina et maturità di giudizio singolari. Tal è l’Ill.mo Conte di Lucerne maggiordomo maggiore, Chiarissimo sicome d’antiqua nobiltà così per maturità di senno et consiglio affinati nella lunga esperienza di principalissimi carrighi et governi et abbelliti da una varia cognitione di tutte le scienze. Tal è il Sig. Antonio Forni primo Scudiere, per valor militare honorate e piacevoli maniere, e per la molta intelligenza di belle lettere che miglior non seppe fingersi il Castiglione nel suo Cortigiano, ne desiderar il Guazzo nella sua Civil conversazione. Degno ben che da quella sonora Tromba del Tasso gli fosse indirizzato il suo discorso di nobiltà sì per la propria che per la naturale. Non mi estendo sul Signor Marchese don Gio. Andrea di Ceva, chiamato per i meriti suoi dalla corte di Roma.

Fino a questo segno ho copiato il Codice anonimo. Il Ceva era gentiluomo di Camera del Duca di Savoia, e nel 1605 fece in Torino stampare sue poesie funebri. Dopo di lui nel codice si parla del Botero con pomposo elogio.

Di questo Marchese Forni parmi, che o nuora, o attinente per [p. 49 modifica]altro modo fosse Antonina Maria Humoglia figliuola del presidente Giuseppe Humoglia, sorella della Contessa Orsini di Rivalta. La Marchesa Forni per lire due mila da prendersi sovra le ragioni e beni che pretendeva sovra il Bolognese e Ferrarese e non altrimenti, istituì erede particolare Giuseppe Maria Humoglio signor della Vernea suo nipote, ed erede universale instituì la sorella Orsini. Il testamento è in data de’ 25 di maggio 1660. Il che dice perchè si veda che l’età non consente che fosse moglie di Antonio Forni.

Il concetto di questo primo Scudiero del Duca di Savoia era l’Aura Ardente. Comune cosa era formar un disegno colorato delle imprese. Ma chi doveva rappresentarle fuorchè un dipintore? Non ho ancora tentato di scoprire se l’Ardente prendesse moglie in Torino e quando: non già che sia una di quelle curiosità che gli alti ingegni chiamano minute ed importune. L’autore des Incertitudes historiques osservò:19 On a beau dire que l’exactitude est le sublime des sots: sans elle l’histoire cesse d’être instructive, et n’est plus qu’une école de mensonge: per le quali cose a me piacerebbe il provare ad evidenza, che per interposizione del Forni il matrimonio di Alessandro Ardenti fu nobilitato da un componimento di Torquato Tasso. Il che tornerebbe ad onore dei gentiluomini di Corte, i quali imitando la protezion del Sovrano, favoriscono i professori delle belle arti: ne a me sono ignote le difficoltà del tentativo ch’io volessi fare, nè da me si temono. Ma del voler forse non è sempre compagna la potenza del vincerle. Penso nondimeno che il concetto del Forni, espresso dal Tasso, alludesse a donna della famiglia Ardente in Torino. Intanto del mio pensiero voi forse, o Signori, desiderate una probabilità maggiore di quella che si deduce da Margarita moglie del Cav. Garretti, e da Catterina moglie del Cav. Magno. E parmi di poter soddisfare al [p. 50 modifica]vostro desiderio, dicendovi che nei registri di Carlo Emanuel I. io ho letto un ordine dei 22 di marzo 1610 (Con. Sovr. fol. 3752) le cui prime linee son queste = acciò non si metta in dubbio qual sia stata la volontà nostra circa la concessione che dall’anno 1595 li 24 di agosto facessimo a Laura Ardente d’una pensione di scudi cento cinquanta l’anno, assegnati sopra la Zecca = or questa Laura era certamente la vedova di Alessandro Ardente, pittore a servigio della Corte di Savoia.





Note

  1. 13 novembre 1811. vol. XXI. pag. 677
  2. Trattato dell’arte delle pitture. Milano 1584. p. 435.
  3. Pisa Illust. 2 ed. L v 1812. t 2 p. 521.
  4. Enciclop. metod. part. I. vol. 2. p 179.
  5. Storia Pittor ed. 3. Bass. 1809. t. V. p. 263.
  6. Pag. 65 79 118. 122 155 alla pag. 38 amendue gli Ardenti son chiamati contemporanei dello stesso nome e cognome Annotazione che dal Cav. S. Quintino, come egli mi disse, non si accetta per sua: essendosi la stampa eseguita nella sua assensa da Lucca.
  7. Monit. 5 mars 1812. N. 65. p. 258.
  8. Rudii gen. t. 2. p. 77.
  9. Rerum patriae p. 281.
  10. Vercell. Letterat. ed art 1820. part. 2.
  11. Compagnia della Fede Cattolica. Tav. 1657. pag. 174
  12. H G, p 631.
  13. Guich 557 in fine.
  14. Questo artista era morto prima del 12 di ottobre 1587, perocchè in esso giorno fu confirmata a Catterina, Carlo, Giorgio, e Francesco figliuoli del fu mastro Giorgio, pittore di S. A. la donazione d’una vigna Ghiliu. Annal Ales. pag. 167.
  15. Aug. Taur. 1590. fol. Tarin.
  16. Relatione degli apparati et feste fatte nell’arrivo del Seren. signor Duca di Savoia, con la Seren. Infante sua Consorte in Nizza nel passagio del suo Stato, e finalmente nell’entrata di Torino. In Torino appresso l’herede del Bevilacqua 1585. 4°
  17. «Libro dele prospetive grande in due libri. Il primo libro e numero ventisette e una cartella. il secondo e numero venti le prospetive e due cartelle che sono in tutto carte cinquanta ano gosta lire disotto tuto gusto libro e di Alessandro Ardenti.» Si può credere scrittura sua propria: perciò dà norma alla desinenza del suo cognome pronunziando Ardenti in tal modo concorda la voce Ardentius che ho veduto ne’ suoi quadri.
  18. Catal t. 2 p 454 Rossol. 317.
  19. Moniteur 17 avril 1813.