Notizie della vita e degli scritti di Luigi Pezzoli/III. Condizione letteraria di Venezia sul fine del secolo XVIII

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III. Condizione letteraria di Venezia sul fine del secolo XVIII
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III. CONDIZIONE LETTERARIA DI VENEZIA SUL FINE DEL SECOLO XVIII.


Molto giova il conoscere quali fossero le condizioni letterarie della contrada nel tempo in cui un qualche scrittore si rese meritevole di memoria. Non è da credere, come alcuni, forse troppo avventatamente, quando pure non ci avesse parte la malignità, ebbero a narrare, che Venezia fosse rispetto alla restante Italia ciò che la Beozia rispetto alla Grecia. A tacere di quanto le storie ci contano di tempi più lontani, quando nella seconda metà del secolo preceduto le lettere italiane erano miseramente ammorbate dalla imitazione straniera, e quando


L’idioma gentil, sonante e puro


corrompevasi per la mistura delle frasi e de’ [p. 172 modifica]vocaboli oltramontani, che in esso venivansi travasando da ingegni per altra parte molto autorevoli e benemeriti delle scienze, in Venezia un’accademia istituivasi, rivolta a por argine a quella pericolosa inondazione, e a porre in salvo questa nobile parte della nazional gloria, inculcando lo studio degli antichi scrittori, e ritraendo, secondo la varia misura degl’ingegni, le grazie di quelli nei propri dettati. E tanta fu la severità di quella adunanza, distinta da nome scherzoso, come non più che da burla n’erano stati gli esordii, che lo stesso Goldoni non valeva colla soverchianza del proprio merito a farsi perdonare il poco buon gusto in fatto di lingua. Di che potrebbe cavarsene materia di paragone cogli accademici di Firenze, che chiusero gli occhi alle intrinseche e frequenti bellezze del Goffredo, per usar l’ugne e le zampe sui piccioli nei qui e qua sparsi nell’abbigliamento esteriore del grande poema. Ma siccome vuole ragione che, confessato il torto dei Fiorentini in quella censura, si accordi loro la competente porzione di stima pel moltissimo che operarono in favore della bella lingua comune; così, rimproverate ai Granelleschi le troppo acri parole onde aspreggiarono la pacifica anima del sommo comico, è secondo ragione che si accordi ad essi quel tanto di gratitudine che si meritarono le loro fatiche, e l’instancabile loro zelo nel promovere lo studio dei purgati scrittori. Convennero infatti in quell’accademia e i Gozzi, e i Farsetti, e il De Luca, di [p. 173 modifica]cui potrebbe ripetersi riguardo alle lettere veneziane ciò che Virgilio cantò di Marcello riguardo all’impero, e quel Giuseppe Cherubini, o più veramente Chiribiri, le cui sacre orazioni, quando hanno i critici d’oltramonte forse soverchiamente abbondanti d’encomii, dai nostri sono lasciate con soverchio rigore in piena dimenticanza. Ed è quasi un obbligo che ne corre di rendere giustizia ai Granelleschi; poichè nella storia delle ultime vicende della lingua, ove gran rumore si leva, e a ragione, delle Giunte veronesi e dell’esempio del padre Cesari, e ad esso, quasi a taumaturgo risuscitatore di morti, a coro si cantano responsorii, dei nobili tentativi di questi nostri concittadini poco o nulla si parla. Vuolsi per altro avvertire, notabile accidente anche questo, che quel seme di buoni studii, dopo avere sì bene e con tanta rapidità germogliato, assai presto nella universale corruzione perì; e già le nuove dottrine del Cesarotti e de’ suoi proseliti tenevano intero il campo della nostra letteratura, che alcuni dei Granelleschi vivevano ancora, altri avevano da soli pochi dì chiuso gli occhi. Ma qual era cosa che potesse secondo regole generali di antiveggenza giudicarsi in quei giorni, ne’ quali una catastrofe lungamente preparata si veniva maturando da molte parti, e scoppiava sì impetuosa da seppellire ben altro che la gentil voce delle muse sotto il fragore della rovina.