Notizie storiche intorno all'origine di Prato/Capitolo VII/Descrizione della Cintola

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Descrizione della Cintola

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Capitolo VII - Della Manifestazione della Sacratissima Cintola, e della credenza che il popolo ebbe verso la medesima

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DESCRIZIONE DELLA CINTOLA.


Ella non è di seta, ma bensì di una certa roba che si assomiglia molto allo stame, ovvero per meglio dire, al pelo di Capra o di Cammello: il colore è verde chiaro, leggermente cangiante in cenerognolo; ed è sparsa di qualche sottilissimo filo d’oro. Ella è larga un dito e mezzo; lunga poi braccia uno e un quarto di misura fiorentina; ed ha nell’una e nell’altra estremità alcune pendenze lunghe un terzo di Braccio in circa, in cima alle quali sono alcune nappe, a foggia di bottoni bislunghi, il tutto della stessa roba e dello stesso colore. Con queste particolari proprietà si distingue la Cintola di Maria Vergine che in Prato si venera; le quali siccome per lo passato da quasi infinite persone è stato fatto, possono anco adesso da chiunque, che lo desiderasse, con santa e divota curiosità non meno vedersi che insieme venerarsi.




A giustificare la credenza che gli antichi pratesi ebbero, verso la Cintola, [p. 114 modifica]che nell’Essere Superiore, io riporto qui il giudizio di due grandi Poeti, cioè un Sonetto del Giusti ed una terzina di Dante.

SONETTO DEL GIUSTI.

Infelice colui che nulla crede
   E da dubbi continui agitato
   Nel ver naturalmente desiato
   Per dritta via non sa fermare il piede!...

Che se un raggio di Lui che tutto vede
   Fu alla mente dell’Uom partecipato,
   Perchè mai non potrò farmi beato
   Nella certezza di secura fede?...

Ahi sciagurato secolo condutto
   Per laberinti, di superbia sporto
   Investigando a dubitar di tutto!...

Di nulla lieto e d’ogni cosa incerto,
   In te della speranza il ben distrutto
   È per errore, tenebre e deserto.



Terzina di Dante nell’ultimo Canto del Paradiso.

Scriveva della Madonna:

«Donna se’ tanto grande e tanto vali
   Che quel vuol grazia, e a te non ricorre,
   Sua desianza vuol volar senz’ali.




A questi giudizi vi è da aggiungere [p. 115 modifica]il fatto che anche i nostri antenati si sono dati un pensiero straordinario nell’impegnare i primari artefici come sarebbero ingegneri, architetti, scultori, pittori ecc. ecc. coll’intendimento di erigere nelle loro città bellissime chiese, spendendo anche somme immense. Ne citerò alcune della piccola Toscana, come il Duomo di Firenze, quello di Siena, quello di Pisa, quello d’Arezzo e di Prato. Sono tutti grandi monumenti uno più bello dell’altro, e la Cattedrale di Prato poi segnatamente, sebbene sia fra le più piccole, non ostante, considerando il modo di sua costruzione, è certamente fra le più belle e ragguardevoli della Toscana, concludendo che se i nostri antenati non avessero avuto credenza non avrebbero certamente fatto quanto fecero; e giacchè siamo a parlare di credenza e conseguentemente della nostra religione, io per questa intendo quella stabilita da Gesù Cristo, cioè i suoi Evangeli con i dieci comandamenti d’Iddio, e più il gran proverbio che dice: non fare ad altri, ciò che non vorresti fosse fatto a te.