Nova polemica/Congedo

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Congedo

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Dies Irae (Poema) - Canto VII ed ultimo.


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CONGEDO


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Intro hinc abeamus, nunc jam saltatum satis pro vino’st
Vos, spectatores, plaudite, atque ite ad vos comisatum.

Plaut., Stichus, v. 755-56.


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CONGEDO


VV

oce che in cor mi parli, che bieche parole mi dici
     perchè mi mordi come un rimorso antico?

China la stanca fronte su i libri vegliati, t’ascolto
     e il ciel s’imbianca de ’l giorno a ’l primo lume.

Cantano su le gronde destate le rondini a l’alba,
     da’ campi arati bianca la nebbia fuma,

canta ne’ boschi il vento fragrante di freschi profumi,
     color di rosa ride là giù l’aurora,

tutto rivive a ’l mondo ne’ baci de l’alba e d’amore,
     io solo, io solo, misero me, non amo!

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L’odio che in me fermenta ne’ i versi maligni trabocca,
     mi brucia il sangue, m’empie di fiele il core.

Oh, maledette queste battaglie che l’odio avvelena!
     Sia maledetta questa fatica mia!

Voce che in cor mi parli, che i giambi feroci mi detti,
     solo un momento, solo un momento taci!

Ecco da ’l sol destati che allegra le candide cune
     i miei bambini mi tendono le braccia.

Splende ne’ ricci biondi il tremulo raggio de ’l sole
     e su le bocche vermiglie il riso splende.

O miei bambini, orgoglio, speranza de l’anima mia,
     o miei bambini, voi mi guarite. Prendi,

prendi il mio libro, Mevio, inchiodalo pur su la croce;
     da queste cune sorrido e ti perdono.