Novelle (Bandello, 1910)/Parte II/Novella XLV

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Novella XLV - Giocosa astuzia di don Bassano a liberarsi dal suo vescovo, che lo voleva incarcerare, per praticare con le monache

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Novella XLV - Giocosa astuzia di don Bassano a liberarsi dal suo vescovo, che lo voleva incarcerare, per praticare con le monache
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IL BANDELLO

al molto magnifico e reverendo dottor di leggi canoniche e civili

messer daniello buonfiglio

padovano

salute


Voi poteste di leggero, in quel breve tempo che vi piacque star qui, conoscere quanto ad ogni proposito, o di cose gravi o di piacevoli che si parli, il nostro gentilissimo messer Filippo Baldo, gentiluomo milanese, sia ricco e abondante di motti, d’arguti detti e d’istorie così moderne come antiche, e con quanta memoria ed ordine le cose sue dica, di modo che mai non lascia rincrescere a chi l’ascolta. Egli ci ha narrato molte cose, ma tra tutte ce ne narrò una che a tutta la brigata piacque assai, per la quale si vede come sagacemente un prete si liberò da le mani del suo vescovo, che cercava castigarlo d’un peccato di cui era non meno di lui esso vescovo colpevole. Ed ancor che la cosa sia ridicola, nondimeno non devete sdegnarvi ch’io a voi la mandi, non essendo agli uomini gravi e in negozi di grandissima importanza occupati disdicevole talora in cose festevoli e da ridere rilassar l’animo, a ciò che poi più vivace rientri nei maneggi ed affari importantissimi. Ho anco preso l’opportunità di questi tempi di carnevale, nei quali ai chiusi ne le mura e chiostri de la religione è lecito trastullarsi e rimettere alquanto la rigidezza de la severità de le lor leggi. State sano ed amatemi.

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NOVELLA XLV

Giocosa astuzia di don Bassano a liberarsi dal suo vescovo che lo voleva incarcerare per praticar con le monache.


Fu non è molto tempo in una cittá di Lombardia un vescovo, il quale era santissimo uomo, e sarebbe stato ancora piú santo se fosse stato castrato, ché in effetto nel fatto de le donne era pur troppo ingordo, volendole tutte per sé né permettendo che i poverelli preti potessero guardarle, non che darsi piacer con loro. Visitando adunque alcuni monasteri de la cittá, trovò in uno di quelli una badessa che molto gli piacque, e con lei si domesticò pur assai, e in tal modo fu la domestichezza che non si finí la visita che messer lo vescovo e monna badessa divennero divoti insieme. Era nel monastero una monaca giovane, la quale aveva un suo prete per innamorato che era canonico in una chiesa collegiata di quella cittá, e tutto il dí praticava al monastero, parlando di continovo con la sua divota. Questa pratica punto non piaceva a la badessa, ma perché la monaca era de le principali gentildonne de la cittá, non la poteva cosí regolare come averebbe voluto; tuttavia non cessava ogni dí di proverbiarla, garrirla e dirle parole assai. La monaca tanto si curava del dire de la badessa quanto de la prima cuffia che mai si mise in capo. Ora avendo la badessa fatta la nuova amicizia con monsignor lo vescovo, gli domandò di grazia che volesse castigar don Bassano canonico e vietargli che non praticasse al monastero. Il vescovo, desideroso di compiacerle, fece una scommunica e vietò che nessun prete, di qual condizione si fosse, potesse senza sua particolar licenza praticar a qual si sia monastero di monache, e ottenne dal governatore che a nome del duca di Milano governava quella cittá, che in conformitá de l’escommunica facesse un severissimo editto con publica grida; il che fu fatto. Per questo non restava il canonico, stimolato da l’amore, di praticar al monastero; ma facendo le cose sue meno che prudentemente ed avendo la badessa di continovo le [p. 3 modifica]NOVELLA XLV 3 spie che mettevano mente a ciò che il canonico faceva, egli diede del capo ne la rete, perché, ritrovato che era ito in parlatorio, fu dagli sbirri subito preso e condutto al vescovado, dove il vescovo lo fece in una scura prigionè incarcerare. Quivi cominciò con pane ed acqua a fargli far digiuni che non si trovano messi nel calendario. Non mancava la badessa con lettere ed ambasciate a stimolar messer lo vescovo a castigar agramente lo sfortunato don Bassano. Fu fatto un gran processo e provata la inubidienza e la scommunicazione contra il prete, e il vescovo si mostrava molto rigido contra lui, con animo di fargli uno strano scherzo; tuttavia vi s’interposero alcuni gentiluomini amici del prete e fecero tanto che mitigarono in gran parte la còlerà di monsignore, ma non poterono in tutto placarlo. La bisogna andò cosi : che prete Bassano fu levato di prigione ed assolto da la scommunica, con questo perciò che gli convenne pagare, oltra le spese de la prigionia, ottanta ducati d’oro per emenda a la mensa episcopale, e patto che più egli non mettaria i piedi a quel monastero, e se trovato vi fìa, che o anderà in galera o sarà posto in prigione perpetua. La badessa sapendo il mal trattamento fatto a prete Bassano, essendo del mal altrui molto lieta, faceva tutti quei dispetti che poteva a la monaca amica del prete, la quale pazientemente il tutto sofferiva, aspettando tempo e luogo per fare, se possibil era, le sue vendette. Ora la santa badessa, come persona grata, per non cascar nel vizio de l’ingratitudine che tanto dispiace a ciascuno, deliberò una notte far venir il vescovo a vegghiar ne la camera di lei seco. E sapendo che in quella vegghia si farebbero de le cose che inducono debilità nei corpi umani, avendo una sua fidatissima monaca che in simili bisogni la serviva, con zucchero fino in camera sua cominciò a lavorar pinocchiati, marzapani ed altre di varie sorti confetture, e si fece portar dui fiaschi, uno pieno d’ottima vernaccia e l’altro di finissima e preziosa malvagia. La monaca, disperata per la prigionia del suo don Bassano, che in altro non pensava che farne una a la badessa che, come si suol dire, si tenesse al badile, veggendo i traffichi che in camera de la badessa si facevano, pensò che senza dubio madonna [p. 4 modifica]4 PARTE SECONDA la badessa voleva far nozze, ma con chi non sapeva indovinare. Onde si mise a vegghiare una e due notti, e chiaramente s’accorse come il vescovo era venuto a giacersi con la badessa; e non questa volta sola, ma sempre che si lavorava di zucchero, trovava che il vescovo veniva a rinfrescarsi. Il perché ebbe modo d’aver una chiave contrafatta de la camera de la badessa, avendo già prima fatto contrafare quelle del monastero, col mezzo de le quali introduceva don Bassano. Veggendo dunque l’apparecchio che si faceva, fece per la porta de le carra entrar il suo prete e lo tenne ascoso in camera. Essendo poi la badessa la vigilia di san Lorenzo in refettorio con le monache, ella mise don Bassano in camera de la badessa e lo fece appiattare sotto il letto. La notte venne il vescovo e fu introdutto ne la camera solita, ove, poi che si fu confettato e bevuto, se n’entrò monsignore con la badessa in letto; e scherzando tra loro, mise il vescovo le mani su le poppe a la divota e le domandò come s’appellavano. — « Mammelle» — rispose ella. — No, no — soggiunse egli; — ma hanno nome « le campane del cielo ». — Pose poi la mano sopra il corpo e le domandò come si chiama. — « Il corpo » — disse ella. — Voi v’ ingannate, vita mia — rispose il vescovo; — questo è detto « il monte Gelboè». E questo, come l’appellate voi, cuor del corpo mio? — e pose la mano sovra il mal fóro che non vuole né feste né vigilie. Madonna la badessa, alquanto sorridendo, non sapeva che dirsi. Alora disse egli: — Io veggio, anima mia, che voi non sapete i veri nomi de le cose. Questa si chiama « la valle di Giosafat ». — E disse: — Orsù, io vo’ montare su il monte Gelboè e sonar a doppio le campane del cielo e travarcare in mezzo la valle di Giosafat, ove farò cose mirabili. — E questo dicendo, si mise sotto la badessa e le attaccò l’uncino. Don Bassano, che era sotto il letto e udiva tutte queste pappolate e sentiva farsi in capo la danza trivigiana, fu per scoprirsi; pur si ritenne. Stette il vescovo tutta la notte in piacere e innanzi giorno usci del monastero. La monaca del prete che stava a la vedetta, mentre la badessa con la compagna menava via il vescovo, cavò il prete de la camera e ne la sua lo condusse, ove, cacciando il diavolo ne l’inferno, don [p. 5 modifica]NOVELLA XLV 5 Bassano le narrò ciò che udito aveva e quanto intendeva di fare. Come la badessa fu tornata a la camera, la scaltrita monaca mise fuori il suo prete. Era quel di il giorno di san Lorenzo, a la festa del quale era invitato il vescovo, e a don Bassano, canonico d’essa chiesa, toccava quel di a cantar la messa. Il perché, fattosi portar il messale de la messa grande a la camera, rase via alcune parole nel prefazio e destramente ve ne scrisse alcune altre, come intenderete; il che gli fu facile, perché il messale era di carta pergamina. Venne il vescovo con i primi cittadini de la città ad onorar la festa. Don Bassano solennemente cominciò a cantar la messa. 11 vescovo era vicino a l’altar grande suso una gran sedia per lui messa ad ordine. Ora, cantando il prefazio, disse don Bassano: — Omnipotens aeterne Deus, qui hesterna nocte reverendissimurn dominimi nostrum supra montem Gelboe ascendere ibique campanas coeli pulsare et deinde in vallem Iosaphat descendere fecisti, ubi multa mirabilia fecit, ecc. — Il vescovo, sentendo cantar queste cose nel prefazio, che credeva esser segretissime, entrò in grandissima còlerà; e finita la messa, turbato fuor di modo, se n’andò al vescovado con animo di maltrattar il prete, il quale, subito che desinato si fu, fece citare. Il prete ebbe modo d’aver in compagnia sua sei o sette gentiluomini dei più bravi de la città, suoi amici, e con quelli si presentò al vescovo. Era monsignore in sala passeggiando, che, come vide il prete, con rigido viso gli domandò che prefazio era quello che cantato quella matina aveva. Egli rispose che il prefazio era sul messale, e noi credendo, il vescovo mandò un suo prete a San Lorenzo a pigliarlo. Fu portato il messale e dato in mano al vescovo, il quale, aperto il libro, trovò le parole si ben contrafatte e simili a l’altre che non seppe che dire. Tirato poi da parte don Bassano, volle da lui intender come il fatto stava. Il prete gli disse la cosa come era; onde sbigottito il vescovo e dubitando che gli amori suoi con la badessa non si divagassero, s’accordò con il prete e gli restituì gli ottanta ducati che altre volte gli aveva fatto pagare, e gli disse: — Don Bassano, noi siamo tutti uomini: attendi a donarti buon tempo e lascia che altri facciano il simile. Noi faremo che [p. 6 modifica]6 PARTE SECONDA la badessa e la tua monaca si pacificheranno insieme. — E cosi con poca fatica fecero di modo che, a l’ombra e a le spese del campanile, il vescovo con la badessa e don Bassano con la sua divota andavano spesso a pescare ne la valle di Iosafat e si davano il meglior tempo del mondo.