Numismatica di Lipara/Lipara

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Lipara

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Introduzione Coniaggio liparese

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LIPARA

Lipara, la Μελιγουνίς di Callimaco1, detta λιπαρή dalla ricchezza della sua pastorizia2, la μεγίστη3 fra quelle del suo gruppo, denominata anche Θέρμισσα4 dai suoi fenomeni vulcanici, dominò su tutte le altre isole eolie. Portuosa, ricca di acque termali, fertile, collocata in luogo della maggiore importanza strategica, come quella che guarda le coste settentrionali dell’isola, da Agathyrnon al Peloris; e di grande importanza commerciale, come stazione per le navi che dai mari dell’oriente toccano il Tirreno.

Lì si localizza la leggenda di Liparo, riferita da Diodoro (V 7) sulla fede di Timeo5, per la quale si arriva all’affermazione che gl’indigeni dell’isola, al dire del Pais, furono di stirpe ausonica, e «si accenna ai rapporti delle popolazioni indigene coi Greci» ed alle molte relazioni commerciali che, sino dai tempi più antichi, favorite dalla posizione di queste isolette, si svolsero tra le coste d’Italia e quelle della Sicilia6.

L’eraclide Pentathlos, duce di Rodii e Cnidii tentò la fondazione di uno stabilimento greco al promontorio Lilybaeum, ma l’opposizione degli Elimi e dei Fenici di Motye glielo impedì, e gli avanzi di quella infelice spedizione, nella quale il condottiero [p. 11 modifica]perdè la vita, guidati da Gorgo, Testore ed Epiterpide, cercarono refugio nelle isole del gruppo lipareo7.

Qui furono bene accolti dai cinquanta superstiti della razza che vantava le sue origini da Aiolos, e con essi accomunarono la vita e gli averi. Diodoro dice che posero in comune il terreno delle isole e se lo divisero per venti anni, poi tornarono a dividerselo (V. 9. 4) e costituirono una popolazione sola. La quale, essendo le isole infestate dai pirati Tirreni, parte restò al lavoro dei campi, parte si pose di guardia a difenderli dalla pirateria. La proprietà fu dunque coltivata e goduta in comune, come del resto era avvenuto ed avveniva anche in più luoghi della Grecia8 e forse altrove.

In questa prima età, e forse per tutto il VI e parte del V secolo, la storia di Lipara si concentra in lotte ch’essa sostenne vittoriosamente contro i Tirreni, per le quali l’isola assai spesso dedicò ἀπὸ τῶν λαφύρων .. ἀξιολόγους δεκάτας .. εἰς Δελφούς9.

Nel secolo V, durante il periodo della guerra del [p. 12 modifica]Peloponneso, Lipara, con Gela, Selinus, Messana, Himera e Lokroi Epizephirioi era dalla parte di Syrakusai; ma nella primavera del 427 quando fu spedito lo stratego Laches di Aexona, la parte ateniese ottenne grandi vantaggi con piccoli mezzi10 e Messana fu costretta ad unirsi alla causa ateniese. Naturalmente, la caduta di Messana ebbe una grande ripercussione nelle isole liparee sostenitrici della politica siracusana. Esse si difesero, anzi non pare che gli Ateniesi fossero riusciti a sottometterle, ma il loro paese fu devastato11.

Quale fu l’atteggiamento delle liparee nel periodo della sollevazione di Ducezio, non lo sappiamo con sicurezza. Durante la prima lotta tra Dionisio e i Cartaginesi, è noto che a Dionisio toccò «la perdita di una parte, se non di tutti i suoi acquisti fatti durante l’ultimo mezzo secolo12». Ed è da credere che Lipara fosse caduta in questo tempo sotto il dominio cartaginese; certamente, distrutta Messana, quelle isole avranno dovuto piegare per Cartagine, o restarsi inerti spettatrici della grande contesa. Ma quando nel 397, distrutta la flotta cartaginese a Syrakusai, Dionisio ripigliò l’antico suo ardimento, e rifece Messana colonia siracusana, e fondò Tyndaris, e sottomise Menai, Morgantia, Henna e Kephaloidion, è da credere che le isole del gruppo di Lipara fossero ritornate sotto l’alto protettorato di Syrakusai. Tanto più poi quando nel 387 Rhegion cadde sotto Dionisio e fece parte del territorio siracusano.

Caduti i tiranni (337), Lipara dovè godere anch’essa dei vantaggi della libertà. Vero è che lì manca il ricordo di una qualsiasi tirannia, ma è da credere che l’isola seguisse la politica che avevano adottato le città settentrionali della Sicilia greca, pure svolgendo la più ampia autonomia interna13.

[p. 13 modifica]Durante il periodo di Agatocle, Lipara segue la politica delle città della costa settentrionale e si collega a Tyndaris; e poichè questa è collegata ad Agathyrnon, le tre città costituiscono un triangolo strategico che ebbe il suo vertice in Lipara.

Io credo che la lega ebbe soltanto scopo difensivo; chè sarebbe stata imperdonabile stoltezza, per uno stato piccolo, l’avventurarsi nella questiono punico-siceliota.

In ogni modo, ch’essa seguisse una politica differente da quella di Agatocle lo prova il fatto che Agatocle stesso nel 304 la assalì, quando essa, di nulla sospettosa, si godeva tranquillamente la pace (Diod. Sic. XX 101. 1). Largo bottino egli portò via, ma non ne godè, perchè una parte, quella che risultava dai ladronecci fatti ai tempii di Aiolos e di Hephaistos, perì nella tempesta.

Quando un’onda di Mamertini, passata al di là dei monti peloritani e nebrodici, invase la costa settentrionale, spingendosi fino ad Halaisa, le isole liparee restarono estranee alla lotta che Gerone impegnò con i Mamertini. Esse accolsero la flotta cartaginese, anzi io credo restassero fedeli alla causa punica, seguendo così quella politica che, dopo la pace tra Gerone e Roma e per tutta la prima guerra punica, regolò i paesi greci del settentrione della Sicilia.

Certo è che, già dal 260, Lipara veniva assalita a tradimento dal console Cneo Cornelio Scipione e difesa dai Cartaginesi accorsi da Palermo (Polyb. I 21. 4); e nel 252 in quelle isole si rifugiarono i Cartaginesi dopo la caduta di Thermai, ed in quest’anno il gruppo delle isole liparee cadde tutto in potere dei Romani (Diod. Sic. XXIII 20).

Secondo la narrazione pliniana, pur troppo povera ed inesatta, Lipara sarebbe divenuta un oppidum civium Romanorum: questo è certo ch’essa ottenne da Cesare il dritto latino, e per opera di Augusto la cittadinanza romana.

Nel tardo periodo dell’Impero, Cassio Dione (fr. 43. 1-15) ci dice ch’essa era luogo di relegazione.

Note

  1. ......Λιπάρη νέον, ἀλλὰ τότ᾽ ἔσκεν
    Οὔνομά οἱ Μελιγουνίς.

    Callimachea ed. Schneider. Lpzg. 1870.


    In Dian. III 47-48. Plin., n. h. III. 9. Steph. Byz a. v. Μελιγουνίς.

  2. In Callim. Hymn. In Delum. IV 164, dove a proposito dell’isola di Cos l’agg. è nel valore di fertile per i pascoli. Dionys. Perieg. 502 a proposito di Creta: λιπαρή τε καὶ εὔβοτος ; cfr. 921.
  3. Strab. 275 C.
  4. Strab. l. c.
  5. Per questa leggenda, considerata nel suo sviluppo e nelle conseguenze storiche che se ne possono trarre, cfr. Pais, Storia della Sicilia e della Magna Grecia I 119 sgg.
  6. Pais, op. cit. p. 121.
  7. Diod. Sic. V 9 [Timeo]; Paus. X 11; Thuc. III 88, Strab. 275 C. [Antioco Siracusano]. Cfr. Beloch, Griech. Gesch. I 184-185, il quale dice che gli avanzi delle genti di Pentatlo «sah sich gezwungen, auf den öden liparischen Inseln eine Zuflucht zu suchen, die damit dein Griechentum gewonnen wurden (pag. 185).» Naturalmente l’«öden» del Beloch è in significato di «spopolato» non di «disabitato». Uno strato greco anteriore alla stessa più antica età della colonizzazione (sec. VIII) fu già riconosciuto dagli scavi, ed io tentai di provarlo per la via dei miti (Cfr. Il mito di Crono in Sicilia), come l’Orsi per quella degli scavi. E poi non mi pare possibile che quelle isole siano state disabitate, e perchè i profughi non vi avrebbero trovato ciò di cui abbisognavano, e perchè la localizzazione della leggenda di Liparo è certamente anteriore al secolo VI, e questa localizzazione suppone ed ammette una stratificazione italica anteriore alla colonizzazione greca. Del resto, anche il Beloch afferma che il culto di Hephaistos fu anteriore all’epoca della colonizzazione, quando ci dice che «als dann die Griechen s p ä t e r die vulcanische Inselgruppe von Lipari entdeckten, sahen sie dort einen der Lieblingssitze des Gottes, und betrachteten diesen infolgedessen als Schutzherrn der Ansiedlung, die um den Anfang des VI Jahrhunderts auf diesen Inseln gegründet wurde» Griech. Gesch. 1170.
  8. Cfr. Beloch, Gr. Gesch. I. 87 - 89.
  9. Diod. Sic. V 9. 5.
  10. Beloch, op. cit., I 540.
  11. Thuc. III 88. 3; Diod. Sic. XII 54. 4.
  12. Cfr. Beloch, L’impero siciliano di Dionisio. Roma, 1881. Estr. pag. 4.
  13. Cfr. il mio studio: Il settentrione greco della Sicilia dal 327 al 241. Messina, 1901. [In Riv. di storia antica. V. 4].