Odi e inni/Inni/Inno secolare a Mazzini

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Inni - Al Dio Termine Note


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INNO SECOLARE A MAZZINI


i


Cento anni?!...Tu nell’evo eri, degli evi!
come lontano! Chi potè vederti?
3Tu, quando niuno ancor vivea, vivevi.

L’Italia era vulcani, era deserti.
Non c’erano i pensosi uomini aneli.
6C’erano, sì, le oscure selve inerti.

A quando a quando si movean gli steli,
le foglie, i rami, gli alberi... al passaggio
9d’un improvviso spirito dei cieli.

C’erano i fiumi sonnolenti al raggio
del sole, incerti, nell’errare al piano,
12dove mai fosse il loro mar selvaggio.

Ed ecco un cupo rimbombar lontano:
la piena! i massi! i morti neri pini!
15Sereno al piano, ai monti l’uragano.

Sui monti, in alto, c’eri tu, MAZZINI.

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In alto eri, per tutto eri, ma eri
invisibile. Un ramo di cipresso
19avevi in mano, tolto ai cimiteri.

E tu scotevi quella fronda, o Messo
di Dio, chiamando un Popolo non sorto
22ancor di terra, all’avvenir promesso.

Erravi al lume del pianeta morto,
tu, pallida ombra. Risplendea silente
25ciò ch’era morto a ciò ch’era rimorto.

E tu cercavi il mondo senza gente,
FANTASIO, lungo gl’inquïeti mari,
28sotto lo scheletrito astro del niente.

E l’uno all’altro sorridean gli ossari!
l’astro e l’Italia. — Per chi mai splendiamo? —
31E pareano i millenni solitari,

ch’era la luce, e che non era Adamo.


E quando fu che venne a te su l’onda
dei mari, l’Altro? Il rosso dell’aurora
35apparì sopra la sua testa bionda.

Voi dai due poli vi guardaste. Egli, ORA!
disse; tu, SEMPRE! Ed ecco, udiste, assòrti,
38un infinito murmure. In quell’ora

s’aprian le tombe e rinasceano i morti.

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ii


E i redivivi congiungean le dita
delle due mani sul lor cuore nuovo,
42cui percoteva l'onda della vita:

— Davanti a Dio! Davanti a me, che trovo
qui nel mio cuore, eterne voci vere!
45ti trovo in me, fiamma di Dio nel rovo!

per il mio dritto! per il mio dovere!.
e per il sangue ch'è nelle mie vene
48come la pioggia è nelle nubi nere!

per il vano finora impeto al bene!
per l'ala, o Messo, ch’ora tu gli davi!
51per la mia Patria e per le sue catene!

per la grande memoria de’ nostri avi
e per il grande popolo futuro!
54vivo tra morti, libero tra schiavi,

per la già nata terza Italia, io giuro... —


E nelle tue parole i redivivi
giuravano; e con ferme le pupille
58si disperdean per le tre vie dei trivi.

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Si disperdeano come le faville
d’un rogo occulto: il rogo in mezzo ai venti,
61in mezzo ai flutti, d’un lontano Achille.

Come scheggie d’un grande astro cadenti,
cadean brillando. Al lor vano cadere
64vedean notturne la lor via le genti.

— Per il mio dritto! Per il mio dovere —
E si spengeva il subito baleno
67su palchi infami, dentro ree galere.

Cadeano. O sorte degli eroi, dal seno
scesi brillando, del Leone! O sorte
70dei fuggenti lo spazio alto e sereno*

atomi d’astri! Quella luce è morte.


È morte. Ma Chi per la patria muore?...
Quando fu mai che risuonò quel canto?
74quel canto, là... Chi per la patria muore...

Nel vallon di Rovuto, orrido e santo,
avean cento fucili incontro al cuore.
77Quando la morte ne scrosciò di schianto,

ancor s’udì: Non muore mai! Non muore!

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iii


Tu, quando un giorno uscisti dalla nube,
presso l’eterno fuoco eri di Vesta.
81Strepeano i litui, alto clangean le tube.

Su la Via Sacra si sentia la pesta
di càlighe. Coorti, legïoni
84passavano, le antiche aquile in testa.

E disse alcuno dei centurïoni:
— Pianta l’insegna: ottimo è qui restare
87Nuovo era solo il rombo dei cannoni.

Chè combatteva la città per l’are
e i fuochi; mentre nella casa pura
90offrian suoi doni i cittadini al Lare.

Al senato le leggi erano a cura.
Dicea la plebe nei comizi, Io voglio.
93Tutto era antico: ai piedi delle mura

Garibaldi, e Mazzini in Campidoglio.


E fu travolta l’ultima coorte
nelle macerie. Ed ecco un soffio d’ale
97a gl’invasori spalancò le porte.

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— Entrate! — E si mostrò Roma immortale.
Allor allor giungeano dal Tirreno
100gli avvoltoi neri del suo dì lustrale.

Ed era un dì pieno di luce e pieno
di silenzio. Alle schiene taciturne
103pareva un plenilunïo sereno.

C’erano, presso le colonne e le urne,
sotto i grandi archi, a quel passar non nuove
106ombre sedute su le selle eburne.

Termine, il nume cui nessun rimuove,
era lassù. Roma era vinta; eppure
109si figgeano nell’alta arce di Giove

le sue dodici tavole future.


O irremovibile anche tu, Dea lieta!
Dea Gioventù! Là eri con Mameli,
113là rimanesti con l’eroe poeta.

Tu sollevato l’hai con te nei cieli
molle di sangue quasi di rugiada;
116e nella luce dentro cui lo celi,

117brilla ancor la sua lira e la sua spada.

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iv


O tempo degli eroi, quando la cetra
sfuggìa di mano al suo cantor caduto,
120e gli fulgeva stelle auree dall’etra!

Muta la constellazïone al muto
cantor fulgeva. Gli occhi avidi verso
123il suo tintinno ancor tendeva il bruto.

Più lungi il balteo rifulgea, disperso
nel cadere: tra Sirio e Aldebarano.
126L’eroe cadeva in mezzo all’universo.

O sacro tempo degli eroi, lontano
come le stelle! Tu volgevi il viso
129al cielo sparso del martirio umano:

lassù cercavi ciò che t’era ucciso,
o Mazzini! la patria, esule errante,
132nella Galassia! Come te, lei fiso

guardava un altro, esule anch’esso: Dante..


Vedesti Dante uscito dall’abisso,
ch’era già su, che dal superno monte
136guardava ciò che dai nostri occhi è scisso.

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Anche per Dante, in patria, presso il fonte
del suo battesmo, era la scure e il rogo.
139Egli guardava, alta la pura fronte.

Ecco: soave i cuor premeva il giogo
di libertà che più che vita, piace.
142L’uomo era giusto e nel natìo suo luogo.

In pro’ del mondo Italia ergea la face,
la non più serva! la non più partita!
145Ciò ch’era in cielo, era anche in terra: PACE.

Dante nel cielo cui la terra imita,
vedea ghirlande, croci, aquile, scale
148d’ascensïone facile infinita...

In alto alto, il gran seggio imperïale,


vuoto. — O tu coronato e mitriato
da te mi te, vuoto è rimasto il trono,
152e rimarrà. La tua parola è il fato.

E io che al fine sol di dire, Io sono,
seguii per l’erte e l’arte vie te duce,
155mi prendo il serto di che me corono,

di su l’altare ch’entro me riluce! —

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v


Così dicevi. Ei ti guatò profondo.
Come salito? amico alle tre dee
159scese col Cristo tricolori al mondo?

No. Ma tu, stando tra le donne ebree,
tu lo vedesti il buon Messia passare
162sotto gli olivi, in mezzo alle azalèe;

tu lo vedesti errare lungo il mare
di Genesareth: distendea le reti
165Simon Bar Iona su le liscie ghiare:

lo udisti, tu, su la montagna: — Lieti
voi siate, quando vi si spregia, opprime,
168calunnia; chè così fanno ai profeti.

Con me venite su le pure cime!
Sia la lampada sopra il lampadario!
171Edificate la città sublime

sopra la rupe, ancor che sia Calvario! —


Sì: tu dicevi. E ne adoravi le orme,
da lungi. — Non piangete: la fanciulla
175— egli diceva — non è morta: dorme —

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E tu: — La tomba è altro che la culla
del cielo? — Ed egli: — O voi di poca fede —
178E tu: — La vita senza fede è il nulla —

— Opre, voi non avrete la mercede,
qui! Grami, non è il breve oggi che nuoce!
181Uomini, solo avrà pace chi crede! —

Ognun prendeva in collo la sua croce
e lo seguiva nel passaggio lento.
184Precedeano i fanciulli la sua voce.

Era il passaggio d’un soave vento
sul grano: un infinito tremolìo.
187È uomo? È Dio?... Tu mormoravi, attento:

— L’opera umana! ecco il tuo Verbo, o Dio! —


E poi lo udisti, cinto di corona
di spine, tra i flagelli e i vilipendi,
191e su la croce — Padre! — dir — perdona! —

offrir sè stesso; dire al cielo — Prendi! — .
Il suo grido echeggiò nell’infinito.
194Diceva il volgo: — Se sei Dio, discendi! —

— È Dio — dicesti — perchè v’è salito! —

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vi


O pellegrino delle età trascorse
e non perite, e ti fermasti affranto;
198e cadde il dì, l’immortal notte sorse.

Con l’eco, in cuore, del passato, e il canto
dell’avvenire, a mezza via restavi,
201tra ciò ch’è sacro e ciò che sarà santo.

A mezza via tra i lontanissimi avi,
e i non creati. A mezza via! Tu eri
204Dio senza sette e Roma senza schiavi.

Eri l’impero, che disfà gl’imperi;
eri, o pensoso figlio di Maria,
207l’unità santa, senza più misteri.

Su te, profeta morto a mezza via,
lucevano le idee, pure alte sole:
210la croce, sì, ma del dolor che indìa;

l’aquila, sì, ma che contempla il sole.


Eri il sogno, e non fosti!... Uomini, udite!
Di là del mondo Enea vide futuri
214sciamar gli sciami delle nostre vite:

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chi con la verga degli augusti augùri,
chi con l’olivo delle placide are,
217quali con l’aste, quali con le scuri.

Tanto egli vide. Ma poi v’era un mare
porporeggiante: i Cesari; poi file
220lunghe di pastorali e di tïare.

E poi v’era... o latin sangue gentile!...
mentre incessante si sentìa, sul fonte
223del fiume eterno, quel ronzìo d’aprile;

v’era una nube, all’ultimo orizzonte
dell’oltremondo, d’altre vite umane:
226e dagli eroi seduti dietro il monte

giunse più forte il canto del Peane.


Verranno! Ecco i fanciulli, ecco il lavoro
di tre millenni. Hanno anime serene.
230Liberi sono, ed il lor cuore è loro.

Vogliono, attratti verso tutto il bene,
fare e patire ove il dover destini.
233Son la GIOVINE ITALIA, essi, che viene...

E solo allora tu sarai, MAZZINI!