Oh di Figlio maggior gran Madre e Sposa
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ALLA BEATISSIMA VERGINE.
Oh di Figlio maggior gran Madre e Sposa,
Vergine Madre e del tuo Parto figlia,
3A cui non fu, nè fia mai simil cosa;
Vergine bella, in cui fissò le ciglia
L’eterno Amor, per far di sè un’esempio,
6Che più d’ogn’altro il suo Fattor somiglia;
Dolce vivo di Dio sacrato Tempio,
Unico scampo dell’afflitte genti,
9Vita dell’Alme, e della Morte scempio:
Tu innamorar co’ bei pensieri ardenti
Sola potesti, e co i begli occhi il Cielo,
12Con quei begli occhi più del Sol lucenti.
Non saettavan col raggiante telo
Ancor la notte i giorni, e non ancora
15Facea la notte al morto giorno velo;
Nè dall’aurato suo balcon l’Aurora
Vergini rai piovea, nè alate piante
18Avea quel, che i suoi figli e sè divora:
Nè circonfuso in tante parti e tante
Era il grand’aere, che la Terra abbraccia,
21Nè movea l’Oceàno il piè spumante;
Nè degli Abissi sull’oscura faccia
Alzato ancor l’alto Motore avea
24Le creatrici onnipotenti braccia.
E vivo già nella superna Idea
Era il tuo esempio e già faceanti bella
27I rai di quell’Amor, che amando crea:
E quand’ei mosse i Cieli, e la novella
Tela ordìo delle cose, e in mezzo al Polo
30Accese gli astri, e la diurna stella;
E quando all’acque il corso, all’aure il volo,
E alle piante diè vita, e quando appese
33Le fondamenta dell’immobil suolo;
E i vari geni e le natìe contese
Temprò degli Elementi, e ad un sol moto
36Tanti altri moti obbedienti rese;
Tu prìa di nascer, l’alto fonte ignoto
Delle cose miravi, e le bell’orme
39Di quel valor, che ne’suoi effetti è noto.
Ma fra tante leggiadre altere forme,
Che ad un solcenno del gran Fabro eterno
42Fer di sè bello il basso Mondo informe;
E fra’ bei Spirti, che del suo più interno
Lume prendero, e a cui più larga parte
45Feo di sè stesso il Facitor superno;
Qual fu, che a te s’assomigliasse in parte,
Prima grand’opra dell’eterna cura,
48Che in te tutta impiegò l’arte dell’arte
Mirabil luce piucchè altrove pura
Fea di te centro a’ suoi bei raggi, ed era
51Fosco il Sol presso a te, la Luna oscura,
Onde rivolti a sì lucente sfera,
Chi è Costei, dicean gli Spiriti eletti,
54Che Reina ne par di nostri schiera?
O Cielo, o Ciel, se gli onor tuoi perfetti
Senza Costei non son, che più si cessa?
57ll tuo lento girar sue ruote affretti.
Quando, quando fia mai, che a lei si tessa
Il mortal velo, e ’l suo bel volto santo
60Porti in terra di Dio l’immago espressa?
scinta poscia del corporeo manto
Torni ai nostri soggiorni alta Reina?
63Quanto fia bella allor, se adesso è tanto!
Così diceano; e qual sulla supina
Faccia dei monti estivo raggio piove,
66Tal piovea in te l’alta Beltà divina.
Erasi intanto alle nemiche pruove
L’antico Serpe accinto, è gia distrutto
69Il gran divieto di chi tutto move,
Censo infelice di perpetuo lutto,
E d’infiniti mali ampio retaggio,
72Lasciato avea quel sempre acerbo frutto.
Ma solo a te l’universal servaggio,
Vergin bella, non giunse, e non osaro
75Far l’altrui colpe al tuo gran Nume oltraggio.
Tacque il pubblico pianto, e si asciugaro
Del Mondo i lumi allor, che di tua sorte
78Le Profetiche Trombe alto cantaro.
Chi troverà, dicean, la Donna forte,
Che trapassato il termine vetusto,
81Venga de’Cieli a disserrarle porte?
Ch’altro mai voleandir dell’incombusto
Mosaico Rogo le innocenti arsure,
84E di Vergine Terra il Germe augusto?
E le bell’acque, che tranquille e pure
Sovra ’l Vello scendean soavemente
87Ad irrigar tutte l’età future?
Nascesti, alta Donzella, e immantinente
Ne’ tuoi begli occhi dell’eterno Sole
90Si riacceser le faville spente.
Quei, ohe vuol quanto può, può quanto vuole,
Mirò sè stesso con amor più intenso
93Nel formar tue bellezze al Mondo sole,
E al vago spirto di sua luce accenso
Diè quel velo leggiadro, in cui trasparve
96Sua bontà, suo valor, suo zelo immenso,
Tosto che in Terra il divin Volto apparve,
Disparver l’ombre, e si feo lume al Vero,
99Nascoso pria sotto confuse larve,
E ’l profondo, ineffabile mistero,
Sulla tua fronte a chiare note scritto,
102Diè di pace e d’amor pegno sincero:
Or chi sarà, che pe ’l sentier più dritto
Scorgami a dir dell’opra alta e gentile,
105Di cui fu seme il primo uman delitto?
Tu, se ’l priego d’un cuor supplice umile,
Vergin, ti muove, tu la stranca certa
108Reggi, e tu infiamma l’agghiacciato stile:
Che mai non sorse a viaggiar sull’etra
Furor più sacro, nè più santo strale
111Uscì mai da poetica faretra
Fra omai giunto il termine fatale,
Ed avea l’ira in carità cangiata
114Delle cose l’Artefice immortale;
Quando in Terra a portar l’alta ambasciata
Scese un Messaggio, dal cui volto uscìa
117Tutto il seren della magion beuta.
Un nuovo Cielo, in rimirar Maria,
Gli s’aperse d’intorno, e sì gli piacque,
120Ch’esser forse pensò dov’ei fu pria.
Poscia: O Vergine, disse, a cui non nacque
Altra simile e degna, in cui s’asconda
123Quel sommo spirito, che correa sull’acque,
Qual torrente di Grazia il sen t’inonda?
Oh fortunata, che del vero e vivo
126Gran Padre e Sposo tuo sarai feconda!
Qual’aura molle al caldo tempo estivo
Le fresche rose rugiadose allatta,
129Ostro accrescendo all’ostro lor nativo;
Tale, o Bella, a quel dir, la neve intatta
Di tue guance s’accese, e tal sembrasti,
132Qual chi fra sè co’ suoi pensier combatta.
Egli allor: Di che temi? Ancor contrasti?
Madre sarai senza viril contatto,
135E fian sempre i tuoi fior vergini e casti,
Anzi il tuo sempre inviolato e intatto,
Sempre e mai sempre invìolabil Chios>tro
138Via più puro sarà, fecondo fatto,
Odi d’alta virtù mirabil mostro!
Aura divina, onnipotente, eterna,
141Non mai descritta da mortale inchiostro,
Aura dolce, che’l Ciel muove e governa,
Sol delle caste orecchie tue pe ’l varco
144Strada farassi alla magion più interna;
E di sacro vigor tumido e carco
Crescerà l ventre; incognite quadrella
147Già Dio ti avventa; ed il mio labbro è l’arco.
Spirto d’invitta Fede, a tal favella,
Pien di un’alta um ltate al senti corse,
150E poi dicesti: ecco di Dio l’ancella
Ambo le labbra per dolor si morse
Il Re dell’Ombre, e non più stette il Mondo,
153Come fu già, di sua salute in forse,
Ed ecco (oh quai portenti!) entro il fecondo
Tuo sen l’Incomprensibile celarsi,
156E ’l gran sostegno tuo farsi a te pondo;
E stupir la Natura, ed avverarsi
Le antiche Carte, e dell’Inferno a scorno
159La dubbia speme in sicurtà cangiarsi
Miro un’Astro lucente a par del giorno
Scorta e forier di peregrini passi,
162Nuovo insolito dì sparger d’intorno:
E pianger di dolcezza uomini, e sassi
Miro, e Re grandi l’alto Re de i Regi
165Stesi a terra inchinar con gli occhi bassi.
Miro l’armento, che i celesti pregi
D’infante Dio tra rozzi panni avvolto
168Par, che conosca, e d’adorar si pregi.
Quinci Angeliche voci, e quindi ascolto
Sacri vagiti; onde dal gaudio rotte
171Liete lagrime a me piovon sul volto:
Non uscì mai dalle profonde grotte,
Per dar cambio a colui, che ’l giorno rende
174Splendida più, nè più beata Notte:
Notte, che d’ogni giorno assai più splende:
Mirabil Notte, ond’è quel Sole uscito,
177Che al Sol dà luce e tutti gli Astri accende;
Uom vero e vero Dio, lume infinito,
D’eterno lume immortalmente grande,
180Picciol fatto per noi, frale, e finito.
Ma tu, Donna Real, d’opre ammirande
Illustre Vaso, alle cui lodi invano
183Argenteo fiume di parlar si spande,
Vedi ben, che ogni sforzo è fiacco e vano
A tanta impresa, e che a risponder sorde
186Le tempre son dell’intelletto umano,
Del tuo gran Parto le sagrate corde
Tocchi Angelico plettro in maggior tuono,
189E due Nature in un soggetto accorde.
Che a sè mi chiama un lamentevol suono
D’urli e di pianti e di materae strida
192Senza trovar pietà, non che perdono.
Ecco dell’empio Re l’ira omicida;
Ecco piange Betlemme; ecco si lagna,
195Che ’l ferro i Figli e ’l duol le Madri uccida.
Ecco, che in mezzo d’infedel campagna
Offre scampo e riparo al gran periglio
198Quella Terra, che ’l Nil feconda e bagna.
E già in un dolce riposato esiglio
Povera vita, ma tranquilla meni,
201Col vecchio Sposo e col tuo picciol Figlio.
Ma l’aer sacro de’ bei rai sereni
Qual nube adombra d’improvviso affanno,
204Che gli fa d’ampio umor gravidi e pieni?
Se ’l tuo Figlio smarristi è brieve il danno;
Che tosto il trovi, e di sua vista sazj
207Le luci, che desìo d’altro non hanno.
A più crudeli e tormentosi strazj
Il Ciel ti serba, e più che mai veloce
210Già varca il Tempo i destinati spazj.
Spine veggio e flagelli, e chiodi e Croce:
Veggio il suol, che i cadaveri sprigiona,
213E de’ rotti macigni odo la voce.
Nera gramaglia, che ’l gran dì corona
Veggio, e la vera immortal Vita uccisa,
216Che a Morte in braccio a gli Uccisor perdona.
Quanto, oh quanto da te fosti divisa,
Quando la bella, scolorita e cara
219Faccia mirasti del suo sangue intrisa!
E quando il sen ti trapassò l’amara
Voce del Figlio esangue, allor ch’ei disse:
222Altro figlio in mia vece a te prepara.
Nel Tronco a par del Tronco immote e fisse
Tue pupille inchiodasti; e ’l cuore aperto
225Crudo coltello di dolor trafisse.
Qual Tortorella, che con passo incerto
Va la sua dolce compagnia cercando,
228E’l Piano assorda, e l’aspro Poggio ed erto;
Tal non ben viva, e di te stessa in bando
Givi tu co i sospir, fatti già tromba,
231Il dolce amato Nome in van chiamando,
Ma poichè ’l terzo dì tolse alla Tomba
Ogni suo dritto, e in pioggia poi di fuoco
234Scese a te l’alta ed immortal Colomba;
Vera martir d’amore a poco a poco
All’Alma di sè donna il volo apristi;
237Ch’arder da lungi a chi ben ama è poco.
Pianti sereni, e sospir lieti e tristi,
E dolci amare dilettose pene,
240Ed affetti di gioia, e di duol misti:
Fede armata di zelo, e viva speme,
E carità fervente oltre nostr’uso,
243Che d’alto, e nobil fuoco empie le vene,
Tal fatto avean di te ’l desìo lassuso,
Che sì lungo aspettar più non soffriva,
246E parea dal suo Cielo il Cielo escluso.
Ma già la Nave tua correndo a riva
Con vele d’oro, e con gemmate antenne
249Al felice naufragio i fianchi apriva.
Morte alzò ’l braccio; ma tantosto il tenne
Riverenza e timor; poi disse: o Donna,
252Torni pur tua grand’Alma, onde sen venne.
Che poss’io teco, ancorchè inerme, e in gonna?
Non ho io signorìa fuor del mio regno,
255E ’l tuo alto valor di me s’indonna.
Amor, ministro assai di me più degno,
Amore, Amor sottentrerà in mia vece;
258Che ferir non poss’io sì eccelso segno.
Volea più dir; ma incontro a lei si fece
Un de’ tuoi sguardi, che con dolce forza,
261Qual densa nebbia, il suo parlar disfece.
Or tu la debil voce in me rinforza,
Signora, e Madre, che di pianto molle
264Pietoso affetto a dir di te mi sforza.
Era già ’l tempo che divampa e bolle
Il gran Pianeta, e su gli eterei poggi
267L’infiammato Leon sua chioma estolle;
Quando discesa i supedarni alloggi
Luce a te venne, non so quale, o quanta;
270Ch’io non ho sguardo, che tant’alto poggi
E quanto più breve l’Anima santa
Del caro lume, più spedita e lieve
273Trasparìa per lo vel che l’Alme ammanta.
Candida falda di non tocca neve
Era ’l volto; e i begli occhi, avrem pur pace,
276Dir parean con un guardo, e avremla in breve.
Così a guisa di bella e chiara face,
Che a poco a poco, quando l’aere è cheto,
279Soavemente si consuma e sface;
Esente affatto dal comun Decreto
Senza morir moristi, e i nostri danni
282Morte fer bella, e ’l Ciel più bello, e lieto.
Vedova sconsolata in neri panni
Piangea la Terra, ed i celesti Amori
285Facean teco ritorno agli alti scanni.
Sull’ale intanto de’beati Cori
Correa giù per quell’aere luminoso
288Dolce armonìa di Spiriti canori,
Che lusingando il tuo gentil riposo
Fean corona e concento alla bell’Urna,
291Ov’era il pregio d’ogni pregio ascoso.
Ma non sì tosto alla finestra eburna,
S’affacciò la terz’Alba, e col piè d’oro
294Calpestò la fuggente ombra notturna,
Che i tuoi begli occhi a far di sè tesoro
Si riapriro, e sulla fronte augusta
297Ristampò l’Alma il suo primier lavoro.
E del bel velo dolcemente onusta
Fe’ poi quindi tragitto a quella vita,
300Che di morte l’assenzio unqua non gusta.
Parlate, o Cieli, e tu che al Ciel salita,
I sensi del mio cuor penetri e intendi,
303A i dolcissimi accenti apri l’uscita
Tu con lingua di luce a spiegar prendi
Pel gran trìonfo tuo l’alta memoria
306E tua facondia il mio difetto ammendi,
Tu la gran pompa, e l’ineffabil gloria
Del Ciel mi narra, e ’l trionfie ingresso,
309Di cui quel giorno ancor si pregia e gloria.
Narra i plausi festosi, e ’l dolce amplesso
Del Figlio, e quanto all’apparir tuo crebbe
312Del trino Lume in te l’alto riflesso:
E quanta luce di beltà s’accrebbe
Alla parte più interna e più sublime
315Del Ciel, che in sorte per sua gloria t’ebbe,
Ma in quella guisa, che de’ fior le cime
Piegansi al colpo di soave vento,
318Già si piega il tuo spirto alle mie rime:
Spirto, che in suon d’alta pietade io sento
Dirmi sovente al cuor: confida e taci;
321Un dì fia forse il tuo desir contento.
Or, perchè queste misere tenaci
Fasce non scioglie il Tempo, e de’ miei giorni
324Non vanno a tramontar l’ultime faci?
Deh vegna il dì, che le mie notti aggiorni,
E sciolta l’Alma dal mortal suo laccio
327Alla sua bella libertà ritorni!
Forse (ho che spero) a vera gloria in braccio
Vedrò ’l Vero adombrato in questi versi,
330E’l più Bel mi parrà quel ch’io ne taccio.
Io benedico l’ora, in ch’io t’offersi
L’arte e l’ingegno; e al Sol di tua bellezza
333Le disvìate mie pupille apersi.
Vergine, tu ben vedi a quale altezza
Poggia un tanto sperar; ma s’io non fallo
336Nacque dal peccar mio la tua grandezza.
Or se dai tu contento all’uman fallo,
Che non potranno in me grazie divine?
339Non fu mai (sallo ’l Cielo, ’l mondo sallo)
Nè mai fia posto al tuo poter confine.