Vai al contenuto

Oltre le mete, che segnò del mondo

Da Wikisource.
Antonio Caraccio

Indice:Zappi, Maratti - Rime II.pdf Poemi Letteratura Per l'ingresso in Roma della Regina di Svezia Intestazione 4 maggio 2025 75% Da definire

Mentre a i Zeffiri molli il crin sciogliea Mentre penso all'ampio ardore
Questo testo fa parte della raccolta Rime d'alcuni Arcadi più celebri


[p. 102 modifica]

POEMA

Per l’Ingresso in Roma della Regina di Svezia.

OLtre le mete, che segnò del mondo
     De’ mostri orrendi il Domator gigante
     Valle è el Mar, c’ha così basso il fondo,
     Com’è sublime il Mauritano Atlante.
     5Quasi nel vasto suo seno, profondo
     Tutto assorbisce il pelago sonante:
     Sì lunghi stende i termini, e sì ampi
     Fuor di Cantabria gli arenosi campi.
In fondo a questa, ove più fiero ondeggia
     10Dell’Oceano il tempestoso orgoglio,
     Stà in mezzo a un’antro una superba Reggia
     Che fa Teatro a un più superbo soglio.
     Sovra cent’archi concavi torreggia
     L’antro, formando un incavato scoglio,
     15Che in guisa di piramide si stende
     Sull’ampio albergo, e maestoso il rende.
Fianchi non ha, ma su grand’archi in foggia
     D’anfiteatro è il gran Palagio eretto;
     E in doppio giro di colonne appoggia
     20Le spaziose legge e gli archi e ’l tetto.
     Ogni colonna, ogn’arco ed ogni loggia
     E’ d’an cristallo rilucente e schietto
     Fuorchè le basi i capitelli e i giri,
     Che di smeraldi sono e di zaffiri.
25Sotto ad un Ciel d’effigiato argento
     Sù gradi di corallo è il Seggio adorno
     D’un intero piropo, appo cui spento
     Carbon sarìa chi fa la notte e ’l giorno
     Cento seggj a sinistra, ed altri cento
     30Fangli a man destra ampia corona intorno,
     Qual di topazio e qual d’elettro, varj

[p. 103 modifica]

     Di color tutti, e di beltà sol pari.
Quivi, in tal’antro, in sì superbo chiostro
     Di Nereidi frequente e di Tritoni,
     35Il gran padre Ocèan, che suol dell’Ostro
     Abitar le sì vaste regìoni,
     Viene a raccor dell’emisperio nostro
     Due volte l’anno i suoi tributi e i doni,
     Che quindi la Numidia, e quinci manda
     40Il Sen mediterraneo e ’l Mar d’Irlanda.
Onde allor, che tornando il Sol discioglie
     L’ispida chioma al gelido Appennino
     E quando il suol delle cadenti foglie
     Tutto si copre, e sol verdeggia il pino;
     45Ogni Fiume real, che ’l Mare accoglie
     Tra i termini di Gade e dell’Eusino,
     Suole ridursi in quest’amena chiostra
     A far de’ doni suoi superba mostra.
Quivi si tratta, si consiglia e intende
     50Ogni novella poi nel nostro Polo;
     S’Africa ha pace, o se la guerra incende
     L’Asia, e d’Europa o l’allegrezza o ’l duolo
     Ond’ei, che regge il Mar, le sue vicende
     Accorda a i moti istabili del suolo,
     55Or le calme ordinando, ed ora i venti,
     Come più importa alle divise genti.
E già dal cerchio austral girando il Sole
     Portava il dì, ch’all’adunanza è dato
     Nell’umida stagion, che Borea suole
     60Tor le frondi alla selva e darle al prato;
     E sparsa il crin di pallide vìole
     L’Alba uscìa in carro lucido e gemmato,
     L’aure fresche svegliando, e i pinti augelli
     Per le liquide vie, per gli arboscelli,
65Sol biancheggiare il Mar verso Ponente
     Vedeasi incontro al mattutino lume,
     Che ’l rendean gonfio, e torbido, e fremente
     Di quà, di là le pellegrine spume:

[p. 104 modifica]

     Quando nel sen della spelonca algente
     70Comparve assiso il formidabil Nume
     E quinci e quindi all’Assemblea ridutta
     De’ Fiumi aquilonar la turba tutta.
E quei, che Libia, e quei, che l’ampia sponda
     Lavan dell’Asia, e la pianura e ’l monte,
     75La Milva è quì, quì del Sangario è l’onda,
     La Tana e l’Iri e ’l faretrato Oronte:
     Altri, ch’i Marni bagna, altri, ch’inonda
     Frigj ed Ircani, altri ch’in Stiria ha il fonte
     Chi ne’ Rifei, chi nelle valli Armene
     80Ricco di ghiacci, o di feconde arene.
Parte d’essi è di fuor, parte si vede
     Sparsa ondeggiar fra il colonnato e ’l Soglio
     E d’onde, e d’urti di chi va, chi riede
     s’ode suonar quel cavernoso scoglio.
     85Nel mezzo il Re dell’agitata sede
     Riede di fasto tumido, e d’orgoglio;
     A cui fanno dagli omeri e da’ lati
     Guardia fedele i suoi Tritoni astati.
Qual’il nubilo Ciel, che gonfio pende
     90Di pioggia, nè la pioggia ancor si mira
     Tal nel sembiante orribile risplende,
     Senza che scoppii la fierezza, e l’ira.
     Barba ha canuta, e pur canuto il rende
     E crin, che sopra gli omeri s’aggira,
     95E fierezza aggiungendo al torvo aspetto.
     L’un gli copre le spalle, e l’altra il petto,
Nella destra temuta ha il gran tridente
     Con cui del suolo i fondamenti scuote
     E fa tremar dall’ultimo Orìente
     100Le prossime province, e le rimote;
     Coll’altra o men severo, o più clemente
     Le supplici raccoglie onde divote,
     Che un presso all’altro gli presenta in giro
     Il Fiume del Vallacco, e dell’Assiro.
105Venian costor con vaga mostra avante

[p. 105 modifica]

     Del formidabil Seggio in mezzo al foro
     Chi con fronte di Bue, chi d’Elefante,
     Chi crinito di canna, e chi d’alloro;
     E, poichè avea sull’adorate piante
     110Sparso il tributo chi d’amor, chi d’oro,
     Gìa ad occupar con ordine gli scanni
     Secondo il merto, o l’osservanza, o gli anni.
Prima il Nilo comparve: ei sebben scende
     Da Paese lontan del nostro Mondo,
     115Pur quà ne vien donde coltiva, e rende
     Dell’arenoso Egitto il sen fecondo.
     Attorce il crin fra tante fasce e bende,
     Che non appar se sia canuto, o biondo:
     Seco è Astabora, e Astapo, e con sue chete
     120Spume vien dietro il portentoso Lete.
Sparse questi i suoi doni, e l’aurea spica
     Fè biondeggiar sul riverito piede;
     Indi sen gia colla sua schiera amica
     Dove fra i destri seggj ei primo siede.
     125Venne secondo poi d’asta, e lorica
     Cinto il Danubio a tribular sua fede;
     Indi ogn’altro seguìa di maggior grido
     Per reggio trono, o amenità di lido.
Venne tra gli altri ancor (ma il regio manto
     130Già non avea, nè l’elmo avea, nè piuma)
     La bellicosa Vistola di pianto
     Molle vie più che disfatta bruma;
     La qual, poichè dinanzi al Re fu alquanto
     Dal duol posata, e s’asciugò la spuma,
     135L’umido lembo in dispiegar del velo
     Sangue diè in vece di disciolto gelo.
Ella narrò, che poi che fè del trono
     La Regina magnanima il rifiuto,
     Il bellicoso avea regno Polono
     140La Svezia, e così rapida, abbattuto,
     Che della fama prevenendo il suono,
     Quasi vinto l’avea pria che veduto

[p. 106 modifica]

     Ed eran stati delle trombe i carmi
     Inni al trìonfo, e non inviti all’armi.
145Questa l’ultima apparve. Eran già tutti
     Passati il Moro, il Lusitano, e ’l Franco,
     E s’erano ne’ seggi ancor ridutti
     Parte dal destro lato, e parte al manco;
     Ne fra sì vari Dei, fra tanti flutti,
     150Che lo speco rendean tumido, e bianco,
     Pur si sentìa del Tiberino fiume
     Scossa di fronde, o mormorìo di spume.
Solo il Tebro mancò: vedovo e vuoto
     Si vedea fra que’ Seggi il Seggio altero,
     155Che benchè picciol sia, splendido, e noto
     Fanlo i diademi del Romano impero.
     Ben lo sguardo girò, ma sempre a vuoto,
     Due volte e tre l’Imperador severo;
     E quando ivi no ’l vide, a se turbato
     160Chiamò Triton, che gli assistea da lato.
Suol questi al suon dalla sonora conca
     Manifestar del suo Signor la mente,
     In mar girando l’ispida, ed adonca
     Coda dal tepid’Austro al Plaustro algente;
     165E con lettre, e ambasciate ogni spelonca
     Suol visitar della scagliosa gente,
     Lor’intimando le dìete, e dando
     Or gli ordini de’nembi, ed ora il bando.
A costui disse il Re: Del Lazio in riva
     170Vanne, ove l’ampia Roma in due si fende,
     Ed al Tebro dirai, perchè ci priva
     Delle sue care palme, e quà non scende?
     Forse la mente imperìosa, e schiva
     Di dargli, in vece i suoi tributi attende.
     175Conosco ben l’ambizìoso ingegno;
     Ma ’l Ciel non diè fuorch’a Nettuno il regno.
Così parlogli, e dal turbato aspetto
     Fuor balenò la ferita natìa.
     E Triton prestamente uscìa dal tetto

[p. 107 modifica]

     180L’onde a guardar della commessa via.
     Quando sorse una voce, e al Re fu detto,
     Ch’indi non lungi il Tebro urtar s’uda
     Ed ecco appunto in sulla regia soglia
     Il Tebro entrar colla cerulea spoglia.
185Cinte di canna avea le tempie, e ’l crine
     Biancheggiar si vedea tra fronde, e fronde,
     E grondante di gel, molle di brine
     La lunga barba rincrespata in onde.
     Venìa com’Uom che di lontan confine
     190Rechi novelle prospere, e gioconde,
     Tutto piacevolezza, e tutto riso
     Agli atti venerabili, ed al viso.
Nè, perchè sull’entrar sdegnato seco
     Veggia, ed in minaccevole sembianza
     195Il Regnator del cristallino speco,
     Ei gli va innanzi con minor baldanza.
     Disse: Signor tardi vengh’io, ma rcco
     Tal che mi scuserà della tardanza,
     E chiaro fia, che della mia dimora
     200Ogni celerità men degna fora.
E in questo dir, del suo ceruleo lembo
     Le strette pieghe sventolando aperse.
     E de i tesor, che tributario in grembo
     Chiusi traea, le maraviglie offerse.
     205Balenò a gli occhi d’improvviso un nembo
     D’oro, e di cose rilucenti e terse
     Ed inondare si mirar le soglie
     D’archi, d’imprese, di trofei, di spoglie,
Al gesto, al suon con cui tai detti espresse
     210Il Tebro, allor de’ simulati busti
     Tra curioso, e stupido s’eresse
     In piè ciascun di quei spumosi Angusti,
     Ei delle sparse cose una n’elesse
     Effigiata di sembianti augusti,
     215Ch’un tal Breve rendea celebri, e noti
     La Reina magnanima de’ Goti.

[p. 108 modifica]

Qual di Zenobia in vago lin ritratto
     Il bellicoso volto arde, e sfavilla,
     E qual’in trono si dipinge, o in atto
     220Di ferir Semiramide, o Camilla;
     Tal nella maestà di quel Ritratto
     Un non so che di fervido scintilla;
     Tal l’aspetto real mostra di fuore
     Grandezza d’alma, e ferocia di cuore.
225Nella severa fronte, a cui leggiero
     Peso sarìa la monarchìa del Mondo,
     Un dolce misto di pietà, e d’impero
     Fa il guardo venerabile, e giocondo.
     D’un vivace color tra biondo e nero
     230Il crin, che non è nero, e non è biondo,
     Vedeasi intorno a questa tempia, e a quella
     Cader disciolto in prezìose anella.
La corona real non avea in esso,
     Ma il non averla lo rendea più degno,
     235Ch’altrui scoprìa nella pittura espresso
     Quel rifiuto mirabile del Regno.
     O di cuor generoso ultimo eccesso
     Glorìosa ripulsa, illustre sdegno,
     E qual corona altri potrà comporre
     240Di gemme, che si possa a te preporre?
Quasi abbagliato al folgorar del finto
     Sguardo il Tiranno dell’instabil sede
     Stupido infra se disse: Il Sol dipinto
     Viene a portar tributo, o pure il ch ede?
     245E ’i curìoso braccio oltre sospinto
     Su quel punto il rapì, che quei gliel diede.
     Il Tebro ripigliò: Rimira, o Padre,
     Le contumacie mie se sian leggiadre.
Indi seguìa: La generosa donna,
     250Poichè la Svezia incoronò di fregi,
     Ed avvolta nell’armi, o in reggia gonna
     Parve Uomo tra i guerrier, Diva tra i Regi,
     Venne in pensier, ch’esser Regina e donna

[p. 109 modifica]

     Fosse il minor de’ titoli e de’ pregi,
     255E che gli aurci diademi, e regj troni
     Frano sue catene, e non già doni.
Quindi a regno immortal ( regno dovuto
     Al magnanimo cuor ) volse il pensiero,
     E rifiutò i suoi regni, e nel rifiuto
     260Donna apparve maggior che nell’impero.
     Mossa da un bel desìo di dar tributo
     Di fede a Cristo, e di servaggio a Pietro,
     Peregrina real con sciolta chioma
     Venne a empir di sè stessa Italia, e Roma,
265Venne ancor vaga d’ascoltar presente
     Le maraviglie del saver profondo
     Nel gran Pastor della Cristiana gente,
     Saba novella a Salamon secondo:
     E l’ampia Roma mia tutta ridente
     270Le aperse il trionfal seno giocondo,
     Come fè già ne’ secoli vetusti
     Per gli Scipioni suoi, o per gli Augusti;
D’archi, d’imprese la Città si scerse
     Sparsa, e di querce, e di dorate spiche,
     275D’abiti vari, e fantasie diverse
     Di cimier, di divise, e di loriche:
     Là di Belgiche pompe, e quà di Perse
     Mista, e di Babiloniche fatiche,
     Parvi al tumulto, e d’allegrezza ai segni
     280Roma albergar non le Città, ma i Regni.
Fin da’ Japigi, e Calabri al solenne
     Spettacolo, ch’intorno ampio si noma,
     E dagli estremi Allobrogi se ’n vente
     La gente varia d’abito, e di chioma.
     285Tutta in Roma era Italia; e non convenne
     Star fuori il Tebro, e tutta Italia in Roma.
     Tra me stesso diss’io: non è tributo
     Il servir sì gran Donna anco, dovuto
Che, se gran Rege è l’Ocèan, sprezzando
     290Costei gli scettri è vie maggior de’ Regi;

[p. 110 modifica]

     E soggiungeami anco un pensier, mirando
     Tante memorie di trofei, di pregj:
     Ove trovar più bel tributo, o quando,
     Che i tributi arricchir di sì bei fregi
     295Ma quel, ch’allor fu elezioni, divenne
     Forza, ch’a te mi tolse, altrui mi tenne.
Perchè giunse Cristina, e ciò, che innante
     Se n’udìa di magnifico e d’altero,
     Dileguò quando apparve, e in quel sembiante
     300Restò maggior della sua fama il Vero.
     Premeva il dorso, e il ricco fren spumante
     La man reggev’a indomito destriero,
     E veduto le avresti agli atti, al riso
     Le Grazie allor, la leggiadria nel viso.
305precedean, maravigliose anch’elle,
     Schiere in arcon di Principi, ed Eroi,
     Ch’ella seguìa, come seguir le stelle
     Vedesi il Sol da i luminosi Eori:
     Ma più che innanzi a lei splendide e belle
     310Le Stelle si scoprìam negli occhi suoi,
     E l’aureò Sol dentro un bel giro accolto
     Più che all’andar lo somigliava al volto.
Stupidi al dolce folgorare, e immoti
     Rimaser gli altri: io pur sentii legarmi,
     315E dissi: Oh Roma sempre arsa da’ Goti
     O che rida un bel viso, o freman l’armi
     Miei doni per offrir, e porger voti
     Quì saprei tributario ancor trovarmi,
     Sì rapito restai, così diviso
     320Or dagli atti leggiadri, or dal bel viso.
Ma poichè in me la novità disciolta
     Da’ novelli pensier mi venne in me te
     Quest’antro, e questa sede, e quà raccolta
     Delle cerulee Deità la gente,
     325Precipitai la mia tardanza, e tolta
     Parto di quei trofei, son quì presente;
     Opportuna venuta, ove raccoglia

[p. 111 modifica]

     In grado i doni fur, gli obblighi io scioglia.
Sicchè te soddisfatto, e me disciolto
     330Ricda a goder di quel sembiante adorno,
     Tributario di te, ligio d’un volto
     Nella venuta mia, nel mio ritorno.
     Mentr’ei così dicea, s’era raccolto
     Tutto il popol de’Fiumi a lui d’intorno,
     335Altri i detti osservando, altri il sembiante
     Regio, vie più che spettatore, amante.
Il curioso Re, poichè del viso
     Ha i bei color raffigurati, e scorti,
     Or le ciglia ammirando, or del diviso
     340Crine gli stami innanellati e torti,
     Gli occhi volgendo in lui con un sorriso:
     Amico, incominciò, cosa ci porti
     In sì prosperi avvisi, in tal Ritratto,
     Ond’a ragion ti desiavan più ratto?
345Benchè nè nuovo a noi, ne ’l dì primiero
     E questo, che de’ gesti altri ci dica
     Della Donna degnissima d’impero,
     Ch’abbiam di lei pur conoscenza antica;
     Ed in sembiante intrepido, ed altero
     350La vid’io d’asta armata, e di lorica
     Per le rive talor dell’Oceàno
     Spaventare or il Cimbro, ora il Germano.
Con tutto ciò nè indugio è il tuo, nè arrivi
     Tardo quì tu, se la cagion è tale,
     355E ad indugiar sì fruttuoso ascrivi
     Dono sì bel d’immagine regale:
     Anzi s’avvien, che dal partir derivi
     Opra miglior, nè quù restar ti cale,
     Per gli dianzi da te segnati calli
     360Ritorna pur, che io ti condono i falli.
Ne avrò in grado minor, che così altera
     Vincitrice di popoli e di cuori
     Serva là tu, che se portassi in schiera
     L’oro dei Caspi, o del Tarpèo gli allori.

[p. 112 modifica]

     365Indi volto allo stuol, che tratto s’era
     D’intorno a quelle tele, ed a quegli ori,
     Numi cortesi, seguitò, novelle
     Ci reca il Tebro il ver superbe e belle:
E tai, ch’eterna in sù remota soglia
     370Ne sarà la memoria, e in questi chiostri.
     Ma s’alcun è di voi cui forse invoglia
     Curioso desìo de’doni nostri,
     Prenda pur qual più aggrada, o immago, o spoglia
     Perchè tornando a i Suoi la spieghi e mostri;
     375Ed in narrar poi donde l’ebbe e come,
     Facca suonar di lei le glorie e ’l nome.
Cosà diss’egli, e le reliquie altere,
     Che rapì il Tebro alla Città di Marte,
     Volle che sian tra l’adunate schiere
     380De’ molli Dei distribuite e sparte.
     V’eran statue, corone, armi, bandiere
     Dpinti arazzi, istorìate carte,
     Cl’esprimean lineati, o pur contesti
     Della gran Donna i gloriosi gesti.
385Vedeasi là, dacchè rapì la morte
     All’imperio del Mondo il Re suo padre,
     Collo scettro dorato aprir le porte
     Di famosi Licei, d’arti leggiadre;
     Quà si senta con man virile e forte
     390Sull’Alpi e l’Istro rinforzar le squadre,
     Ed innestar nella Germania e fuori
     Del gran Gustavo i riseccati allori.
Altra scoprìa come a favor del regno
     Stringea le leghe, e stabilìa le paci;
     395Altra il zelo mostrava, altra lo sdegno
     De’ riti abbominevoli e mendaci:
     E molte di pietà, molte d’ingegno
     Vº erano espresse immagini veraci:
     Che rendean pago ogni desìo di loro,
     400Più che le lane, e l’orditura, e l’oro.

[p. 113 modifica]

Sicchè liete le turbe al Re cortese
     Grazie rendean delle concesse spoglie;
     Altri il Tebro abbracciando, altri l’imprese
     Scegliendo, altri le Spichè, altri le Foglie.
     405E già le stelle in Orìente ascese
     Facean dell’antro scintùllar le soglie;
     Onde finì la gran Dìeta. Al fondo
     Ritornò l’Oceàno; i Fiumi al Mondo.