Opere volgari (Alberti)/Nota sulla grafia (volume I)

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Nota sulla grafia

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NOTA SULLA GRAFIA



Il caso particolare dell’Alberti umanista e scrittore in volgare ci ha fatto esitare a lungo davanti al problema della grafia di questi testi. Tutti sanno ormai qual era il suo atteggiamento verso l’uso del volgare, che per la sua utilità riteneva degno di essere adoperato dai dotti non meno del latino. Egli stesso ne dava la dimostrazione colle sue opere, sforzandosi, come è evidente nella sintassi e nel lessico della sua prosa, di nobilitare il suo stile e la sua espressione sul modello del latino1. Questa sua prosa umanistica volgare, che deve moltissimo al latino e poco o nulla alla tradizione dei grandi scrittori toscani, che l’Alberti non nomina mai, rappresenta già in atto la nota posizione landiniana espressa per es. nella formula pronunciata nel 1460, ed è a metà del ’400 la più chiara manifestazione della voluta interferenza tra latino e volgare2. Per chi pensava e scriveva in questo modo, l’ortografia non doveva essere cosa di poca importanza (com’è del resto chiaramente documentato da quello che l’Alberti stesso ne scrive nel De Cifris)3, e doveva parergli, come l’espressione stessa, tanto più [p. 460 modifica]valida quanto più si accostasse al latino. Purtroppo il materiale autografo albertiano è relativamente scarso. Nessuno dei testi in prosa di questo volume (e neanche del secondo che seguirà) si è potuto fondare su codici scritti dall’autore; e abbiamo nelle correzioni autografe fatte sul cod. F1 e in alcune poche lettere sue, elementi sufficienti per stabilire soltanto in parte le sue abitudini di scrittore4. Mentre questi elementi valgono ad assicurarci del carattere prevalentemente latineggiante della sua scrittura, e ci confortano ad accettare quella dei codici coevi adoperati per la nostra edizione come rappresentazione abbastanza fedele delle consuetudini grafiche, nonché linguistiche, dell’Alberti, la mancanza di codici intieramente autografi, le esigenze della collana e un riguardo alla comodità del lettore moderno, ci hanno indotti ad aderire, in linea di massima, alla tradizione invalsa dopo il Barbi, di risolvere, cioè, il problema grafico sul piano del rapporto grafìa-suono5. Tali considerazioni tanto più pesano in quanto sono accolte nella nostra edizione opere di vario genere e di tradizione manoscritta diversa.

Pur credendo, dunque, alla forte probabilità che l’Alberti non fosse indifferente agli aspetti visuali della grafia, abbiamo creduto doveroso abbandonarli in questa edizione, e cercare una soluzione al problema grafico valida per tutte le sue opere volgari6.

Premesso questo, diamo ragione qui sotto del procedimento da noi seguito per i testi del presente volume. Ci siamo limitati ai seguenti interventi sulla grafìa dei codici. Abbiamo:


I. distinto l’u dal v (distinzione auspicata per primo dall’A. stesso).


II. tolto l’h, sia etimologica che no, in tutti i casi ove la grafia moderna non la conserva. Nei codd. abbonda l’uso delll’ h con c e g seguiti da a, o, u (tipo chura, chadere, seghuito, lungho, ecc.) comune negli autogr., e vi figura anche qualche esempio abusivo come habundante.

In alcune parole conserviamo le vocali in iato conseguenti alla caduta dell’h: veemente, appreende, compreende, che coesistono con apprende, [p. 461 modifica]comprende. Scompare anche dal testo, coerentemente con l’abbandono dell’h etimologica, il digramma ph (frequentissimo e mai abusivo), che rendiamo col normale f (philosophi, triumphi, ecc.). Viceversa, abbiamo introdotto l’h in alcune parole come mascere e tengeno (3ª plur.), dove sc e g non hanno valore palatale. Per conformità all’uso moderno l’abbiamo anche rimessa nelle forme del verbo avere (ha, hanno; e anche qualche caso di ave), malgrado il fatto che nei codd., come pure nell’uso albertiano, prevalgono le forme senza l’h. Si è conservata h nello interiezioni ha!, hen!, si è aggiunta quand’era necessario in ah, eh, oh.


III. normalizzato secondo l’uso moderno la rappresentazione di g e c palatali, resi quasi sempre nei codd. davanti ad e con gi e ci (tipo leggie, cierca): tratto caratteristico anche questo della mano dell’Alberti. Abbiamo invece introdotto l’i nei pochi casi in cui g seguito da a deve avere valore palatale (e. g. auggano, pregassoro, galleggasse). Vanno conservati, naturalmente, gli esiti palatali di plurali di nomi e aggettivi in -ca, -ga (publice, caduce, magnifice, che coesistono nei codd. accanto alle desinenze in -che,-ghe).


IV. normalizzato le varie grafie di n’ e l’, oscillanti nei codd. e nell’uso dell’A. secondo gli esempi seguenti: bisognio, ingenio, spengnie, volglio, famigla.


V. aggiunto il c in parole come aquistare, aqua, dove spesso manca.


VI. livellato i pochissimi casi di çç e di ç a zz e z, e due casi di k a c (kavalieri, kalende).


VII. sostituito m a n, che ricorre spesso davanti a consonante labiale in parole come: anpliare, conbattere, inbecillita, inparare, ecc. (ho uniformato in però che sempre in imperoché); e viceversa, sostituito n a m, frequentemente adoperato nei codd. davanti a labiale (sebbene prevalga la forma non assimilata) come negli esempi seguenti: com parole, im provedere, nom maliziose, um poco, um verso, ecc.; come pure davanti a non labiale: nium ce, nium se, in umsieme (oscillazione questa tipica dell’A. e largamente documentata nei codd.). Lascio stare invece in prima accanto a imprima. Non ho esitato a scrivere n (per l’m dei codd.) in parole latineggianti come triumphi (triunfi), prompto (pronto), per cui v. sotto. Sono stati conservati, naturalmente, i numerosi casi tipici della 1ª pers. plur. pres. in -iàno (invece di -iamo). I cinque o sei esempi di nommi sono resi con non mi.


VIII. reso et e il raro & con e davanti a consonante, e con ed soltanto davanti a parole comincianti con e. Per evitare confusione, [p. 462 modifica]stampiamo l’articolo plurale maschile con l’apostrofo (e’); questa, che è la forma usata sempre dall’A., e prevalente nei codd., si distinguerà facilmente nel contesto dal pronome maschile della 3 a pers. e’, egli, ei (sing. e plur.).


IX. eliminato i numerosissimi casi di raddoppiamento sintattico, non più reso dalla moderna grafia, dopo le preposizioni a, da, fra, in (come: a ppensar, da ddio, fra lle zolle, inn alcuno), e dopo le congiunzioni e, che, né, se (e ssono, che llui, né lla, se lli). Il raddoppiamento, probabilmente celato dall’uso frequente della preposizione ad davanti a consonante, è stato comunque eliminato; conserviamo la forma ad soltanto davanti a vocale. D’altra parte, si è creduto opportuno, anche per evitare confusione, di rappresentare l’effettivo raddoppiamento della pronuncia in quei pochi casi (8 in questo vol.) in cui il pronome enclitico non è rafforzato nei codd. Si è pensato anche di livellare, secondo l’uso prevalente nei codd. e gli esempi dell’A., il raddoppiamento dell’articolo dopo le preposizioni a, da, di, su.


X. conservato, invece, le tipiche forme assimilate del verbo infinito o 1ª e 3ª pers. plur.) + pronome enclitico (tipo: serballo = serbarlo, ascriverelle = ascriverenle ‘ascriveremole’, deferiscallo = deferiscanlo) frequentissime nei codd. e soprattutto nel libro III della Famiglia, e perfino i comunissimi nello, nolla (come collo, colla accanto a con lo, con la).

Ci siamo limitati soltanto a ridurre i non molti casi (19 in tutto), che potrebbero dar luogo a fraintendimenti, di illa, illui, illoro, collui, collei, colloro, collegge, collodo, collagrime, colliberali, a in la, in lui, in loro, con lui, con lei, con loro, con legge, con lodo, con lagrime, con liberali (non parendoci adeguato alla rappresentazione grafica l’uso dell’apostrofo, e g. co’ loro, già adoperato nel caso dell’elisione dell’articolo maschile plurale).


XI. ridotto all’ortografia moderna fin quanto era possibile, e conservando sempre i valori fonetici, le moltissime forme latineggianti quasi costanti nei codd. Valgono le seguenti norme anche per le forme falsamente latineggianti, non numerose salvo il quasi costante tucto:

a) ct > tt (facto, dicto, riducto, ecc., e grafie abusive come tucto, corrocto, precto, licterati, soctile, saectare, ecc.) oppure > t (auctori, auctoritate: in pochi casi i codd. leggono autorità, come pure qualche volta scrive l’A. stesso) pt > tt (apto, accepto, corrupto, Baptista, precepto, voluptà, e legiptimo, ecc.), o iniziale > t (Ptolomeo): cade in sculptori.

b) i prefissi ad, ab, con, ob, in, sub, seguiti da consonante (salvo s+consonante), trascriviamo colla forma assimilata (e. g. adnumerare, [p. 463 modifica]adverso, absolvere, absentia, comnemoratione, conmixto, obcecata, obfusca, inminuire, inmodesti, subditi, subsidio, e subgetto, ma conserviamo subietto). Nei casi del prefisso più s+consonante, cade invece la consonante del prefisso (e. g. abstenere, obscuro, substantia, e pure instimo > istimo, e constume > costume), salvo nelle serie seguenti, in cui abbiamo creduto doveroso mantenerla: conscendere, constituire, constanti, instituto, inscripto, instava, transmettere, transferire.

c) le desinenze -antia, -entia > -anza, -enza (salvo, naturalmente, mercantìa, mercatantìa e qualche caso analogo), seguendo la spia di un raro esempio dell’A. stesso di experienza, e dato il fatto che nei pochi casi della grafia volgare nel cod. U prevale -enza su -ernia (6 contro 4).

d) i gruppi cti, pti, e ti (in diverse combinazioni) > zi (e. g. affectione, coniunctione, deceptione, Egyptii, nuptiale, presumptione, contentioso, gratia, vitio, otio (accanto a ocio), offitio (accanto a officio), pernitioso (accanto a pernicioso) spetie (accanto a specie), Terrentio, giustitia, natione, e grafie false quali condictione, operactione, suspictione, ecc. Rimane inanti accanto ad inanzi.

e) x iniziale > s (Xenophonte, Xantio), x intervocalico > ss (Allexandro, exemplo, exercito, exilio, eximie, exuvie, exaltatione, maxime, prolixo, ecc. Mancano purtroppo negli autografi, come pure nel cod. U, esempi da risolvere definitivamente il problema, tanto è costante l’uso dell’x); x davanti a consonante > s (e. g. excrescere, exponeva, extollere, conmixto, inextimabile, ecc.), ma davanti a c palatale, in mancanza di esempi di sc o di cc, optiamo per la grafia moderna (cioè excepto > eccetto, excelso > eccelso, ecc.); x finale (caso unico, Fenix) rimane.

f) semplificazione di altri gruppi di consonanti etimologici o falsamente dotti: nct > nt (sancto, coniuncto), mn, mpn > nn (damno condemnati, Gymnosophiste, omnino, solemne, calumpnia, aulumpno), mpt > nt (prompto, lumptano), gm > mm (flegmatico, ma augmentare > aumentare, accanto a augumentare), std > sd (postdomane).

g) y > t (tyranno, hystorie, ydiota. Eneyda, ymagine) e pure j > i (Julio, judicio, fusto, ecc. Va notato qui che conserviamo le forme oscillanti con i o g, frequentissime nei codd.: tacere, iusto, coniugio, coniunto, adiudicare, subietto, ecc., accanto a giacere, giusto,, cungiugio, congiunto, aggiudicare, suggetto, ecc.).

h) q > c (Qurtius, quore, quocentissimo). Mentre riduciamo ad anche la grafia anque (19 casi, di cui 15 nel libro III), conserviamo antiquo accanto ad antico, e pure sequire accanto a seguire.


XII. Nella difficile questione delle consonanti semplici e doppie, ci siamo limitati ai seguenti, crediamo giustificabili, interventi in casi ove la grafia dell’A. stesso e dei codd. dimostra oscillazioni. Abbiamo: [p. 464 modifica]

a) livellato il raddoppiamento della z nella desinenza -eza (nei codd. in leggiera prevalenza su -ezza), e anche nella seguente categoria di parole, ove prevale la scempia: adrizi, arazi, facenduze, Giannozo, mezano, pazo, penseruzi, stiza, vezo, ecc.

b) livellato il raddoppiamento del c interno nella serie: richezza, ochi, spechio, vechio, e del g interno nella serie: vegho, veghiare, fugha, correghano, raghiare. Gli esempi numerosi nei codd. di simili parole mostrano scempiamento e raddoppiamento su per giù in quantità uguali.

c) livellato il doppio g palatale negli esempi: jugiamo, manegiare, magiore, ogi, pigiore, vegiamo. In questa serie prevale di gran lunga la forma con la doppia.

d) raddoppiato il b in 4 casi eccezionali di scempiamento nella forma del condizionale (precisamente conobero, sarebe, viverebono, aggiungerebono), e 1 caso solo nel congiuntivo (abia).

e) raddoppiato il t in adotare (3 esempi accanto a adoptare), in 2 casi di Batista, e 1 caso di gitare, e alcuni casi di tuto.

f) raddoppiato l’s sorda in sesanta (3 esempi), arrosire (1 esempio) nesuno (1 esempio) il d in fredo, e l’m in fiama (1 esempio solo di ciascuno).

g) Per evitare confusione e anche perché è più frequente la doppia, abbiamo livellato i 17 casi in cui la 1ª pers. plur. del perfetto indicativo è trascritta con la scempia: dicemo, potemo, sapemo, toccamo, ecc. (tra questi esempi ben 8 figurano su 2 pp. del lib. III della Famiglia, accanto ad altri con la doppia); e qualche raro caso analogo del condizionale (e. g. saremo, p. 320, 5).

Abbiamo lasciato intatte tutte le altre oscillazioni di consonanti scempie e doppie; e tra esse soprattutto quelle delle parole composte con prefissi (rimane, cioè, per es. acade accanto a accade, somergere accanto a summergere < submergere)7.

Note

  1. Cfr. V. Cian, Contro il volgare, nella Miscellanea Rajna, Milano, 1911, pp. 251-99; P. Rajna, Le origini del certame coronario, nella Miscellanea Renier, Torino, 1912, pp. 1027-56. Per la lingua e lo stile dell’A., vedi il bel saggio di R. Spongano, La prosa letteraria del Quattrocento, premesso alla ed. della Famiglia fatta dal Pellegrini e da lui riveduta, Firenze, 1946. V. anche sopra a p. 379, n. 4.
  2. Vedi l’Orazione fatta per Cristoforo Landino... quando cominciò a leggere in Studio i sonetti di M. Fr. Petrarca, ed. da F. Corrazzini nella sua Misc., di cose inedite o rare, Firenze, 1885, pp. 125-34; e cfr. M. Santoro, C. Landino e il volgare, nel «G.S.L.I.», CXXXI, 1954, pp. 501 sgg.
  3. Vedi De componendis cifris pubbl. da A. Meister, Die Geheimschrift im dienste der Papstlichen Kurie, Paderborn, 1906, p. 127; e cfr. B. Migliorini, «Lingua Nostra», XI, 1950, p. 77.
  4. Vedi il mio art. già cit. in «Lingua Nostra», XVI, 1955, pp. 105-10.
  5. Mi riferisco, naturalmente, alla magistrale ed. del Barbi della Vita Nuova, Firenze, 1932, e ai principii esposti nel cap. introduttivo del suo vol., La nuova filologia e l’ediz. dei nostri scrittori da Dante al Manzoni, Firenze, 1938.
  6. Ho tenuto presenti le utilissime Note sulla grafia italiana nel Rinascimento di B. Migliorini negli «Studi di Filologia Italiana», XIII, 1955, pp. 259 96, ristampate poi in Saggi linguistici, Firenze, 1957, pp. 197-225.
  7. Anticipando l’espressione dei miei debiti verso molti amici e colleglli che andrà fatta a lavoro compiuto (finita cioè la stampa anche del vol. II), non vorrei licenziare questo vol. I senza riconoscere con viva gratitudine quanto esso deve a Carlo Dionisotti, il quale per primo m’indirizzò agli studi albertiani e mi è sempre stato largo del suo aiuto e di preziosi consigli. Sono gratissimo anche a Gianfranco Folena, direttore di questa collana, il quale con la sua ormai ben nota perizia nei problemi linguistici e testuali mi ha aiutato a perfezionare il mio lavoro.