Operette morali/Il Parini, ovvero Della Gloria/Capitolo ottavo

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Il Parini, ovvero Della Gloria
Capitolo ottavo

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Il Parini, ovvero Della Gloria
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Se poi (come non è cosa alcuna che io non mi possa promettere di cotesto ingegno) tu salissi col sapere e colla meditazione a tanta altezza, che ti fosse dato, come fu a qualche eletto spirito, di scoprire alcuna principalissima verità, non solo stata prima incognita in ogni tempo, ma rimota al tutto dall’espettazione degli uomini, e al tutto diversa o contraria alle opinioni presenti, anco dei saggi; non pensar di avere a raccorre in tua vita da questo discoprimento alcuna lode non volgare. Anzi non ti sarà data lode, né anche da’ sapienti (eccettuato forse una loro menoma parte), finché ripetute quelle medesime verità, ora da uno ora da altro, a poco a poco e con lunghezza di tempo, gli uomini vi assuefacciano prima gli orecchi e poi l’intelletto. Perocché niuna verità nuova, e del tutto aliena dai giudizi correnti; quando bene dal primo che se ne avvide, fosse dimostrata con evidenza e certezza conforme o simile alla geometrica; non fu mai potuta, se pure le dimostrazioni non furono materiali, introdurre e stabilire nel mondo subitamente; ma solo in corso di tempo, mediante la consuetudine e l’esempio: assuefacendosi gli uomini al credere come ad ogni altra cosa; anzi credendo generalmente per assuefazione, non per certezza di prove concepita nell’animo: tanto che in fine essa verità, cominciata a insegnare ai fanciulli, fu accettata comunemente, ricordata con maraviglia l’ignoranza della medesima, e derise le sentenze diverse o negli antenati o nei presenti. Ma ciò con tanto maggiore difficoltà e lunghezza, quanto queste sì fatte verità nuove e incredibili, furono maggiori e più capitali, e quindi sovvertitrici di maggior numero di opinioni radicate negli animi. Né anche gl’intelletti acuti ed esercitati, sentono facilmente tutta l’efficacia delle ragioni che dimostrano simili verità inaudite, ed eccedenti di troppo spazio i termini delle cognizioni e dell’uso di essi intelletti; massime quando tali ragioni e tali verità ripugnano alle credenze inveterate nei medesimi. Il Descartes al suo tempo, nella geometria, la quale egli amplificò maravigliosamente, coll’adattarvi l’algebra e cogli altri suoi trovati, non fu né pure inteso, se non da pochissimi. Il simile accadde al Newton.1 In vero, la condizione degli uomini disusatamente superiori di sapienza alla propria età, non è molto diversa da quella dei letterati e dotti che vivono in città o province vacue di studi: perocché né questi, come dirò poi, da’ lor cittadini o provinciali, né quelli da’ contemporanei, sono tenuti in quel conto che meriterebbero; anzi spessissime volte sono vilipesi, per la diversità della vita o delle opinioni loro da quelle degli altri, e per la comune insufficienza a conoscere il pregio delle loro facoltà ed opere.

Non è dubbio che il genere umano a questi tempi, e insino dalla restaurazione della civiltà, non vada procedendo innanzi continuamente nel sapere. Ma il suo procedere e tardo e misurato: laddove gli spiriti sommi e singoli, che si danno alla speculazione di quest’universo sensibile all’uomo o intelligibile, ed al rintracciamento del vero, camminano, anzi talora corrono, velocemente, e quasi senza misura alcuna. E non per questo è possibile che il mondo, in vederli procedere così spediti, affretti il cammino tanto, che giunga con loro o poco più tardi di loro, colà dove essi per ultimo si rimangono. Anzi non esce del suo passo; e non si conduce alcune volte a questo o a quel termine, se non solamente in ispazio di uno o di più secoli da poi che qualche alto spirito vi si fu condotto.

È sentimento, si può dire, universale, che il sapere umano debba la maggior parte del suo progresso a quegl’ingegni supremi, che sorgono di tempo in tempo, quando uno quando altro, quasi miracoli di natura. Io per lo contrario stimo che esso debba agl’ingegni ordinari il più, agli straordinari pochissimo. Uno di questi, ponghiamo, fornito che egli ha colla dottrina lo spazio delle conoscenze de’ suoi contemporanei, procede nel sapere, per dir così, dieci passi più innanzi. Ma gli altri uomini, non solo non si dispongono a seguitarlo, anzi il più delle volte, per tacere il peggio, si ridono del suo progresso. Intanto molti ingegni mediocri, forse in parte aiutandosi dei pensieri e delle scoperte di quel sommo, ma principalmente per mezzo degli studi propri, fanno congiuntamente un passo; nel che per la brevità dello spazio, cioè per la poca novità delle sentenze, ed anche per la moltitudine di quelli che ne sono autori, in capo di qualche anno, sono seguitati universalmente. Così, procedendo, giusta il consueto, a poco a poco, e per opera ed esempio di altri intelletti mediocri, gli uomini compiono finalmente il decimo passo; e le sentenze di quel sommo sono comunemente accettate per vere in tutte le nazioni civili. Ma esso, già spento da gran tempo, non acquista pure per tal successo una tarda e intempestiva riputazione; parte per essere già mancata la sua memoria, o perché l’opinione ingiusta avuta di lui mentre visse, confermata dalla lunga consuetudine, prevale a ogni altro rispetto; parte perché gli uomini non sono venuti a questo grado di cognizioni per opera sua; e parte perché già nel sapere gli sono uguali, presto lo sormonteranno, e forse gli sono superiori anche al presente, per essersi potute colla lunghezza del tempo dimostrare e dichiarare meglio le verità immaginate da lui, ridurre le sue congetture a certezza, dare ordine e forma migliore a’ suoi trovati, e quasi maturarli. Se non che forse qualcuno degli studiosi, riandando le memorie dei tempi addietro, considerate le opinioni di quel grande, e messe a riscontro con quelle de’ suoi posteri, si avvede come e quanto egli precorresse il genere umano, e gli porge alcune lodi, che levano poco romore, e vanno presto in dimenticanza.

Se bene il progresso del sapere umano, come il cadere dei gravi, acquista di momento in momento, maggiore celerità; nondimeno egli è molto difficile ad avvenire che una medesima generazione d’uomini muti sentenza, o conosca gli errori propri, in guisa, che ella creda oggi il contrario di quel che credette in altro tempo. Bensì prepara tali mezzi alla susseguente, che questa poi conosce e crede in molte cose il contrario di quella. Ma come niuno sente il perpetuo moto che ci trasporta in giro insieme colla terra, così l’universale degli uomini non si avvede del continuo procedere che fanno le sue conoscenze, né dell’assiduo variare de’ suoi giudizi. E mai non muta opinione in maniera, che egli si creda di mutarla. Ma certo non potrebbe fare di non crederlo e di non avvedersene, ogni volta che egli abbracciasse subitamente una sentenza molto aliena da quelle tenute or ora. Per tanto, niuna verità così fatta, salvo che non cada sotto ai sensi, sarà mai creduta comunemente dai contemporanei del primo che la conobbe.

Note

  1. Thomas, Floge de Descartes, nota 22, pag. 143 e pag. 37: La Géométrie de Descartes était si fort au dessus de son siècle, qu’il n’y avoit réellement que très peu d’hommes en état de l’entendre. C’est ce qui arriva depuis à Newton; c’est ce qui arrive à presque tous les grands hommes. Il faut que leur siècle coure après eux pour les atteindre (Annotazione sull’autografo, ndr).