Oreste (Euripide - Romagnoli)/Quinto stasimo

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Quinto stasimo e monodia

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Euripide - Oreste (408 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1930)
Quinto stasimo e monodia
Quinto episodio Esodo
Questo testo fa parte della raccolta I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli


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coro

Strofe
Ahimè, amiche, ahimè, or fate strepito,
strepito ed urla si déstino
dinanzi alla magion, sí che l’eccidio
tremendo, negli Argivi orror non ecciti,
né dei Signori alla magione accorrano,
prima ch’io possa veramente scorgere
nel sangue immerso d’Elena il cadavere,
o nuova me ne rechi alcun dei famuli:
ché alcuni eventi son certi, altri ambigui.
Fu la pena che inflissero
ad Elena gli Dei, piena giustizia.
Ch’essa l’Ellade tutta empie’ di lagrime,
per il fatal, per il fatale Pàride,
l’Idèo, che tutta trasse ad Ilio l’Ellade.

Ma della reggia, ecco, i serrami stridono.
Tacete: uno dei Frigi esce: da lui
sapremo quanto nella casa avvenne.

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Dalla reggia esce esterrefatto uno schiavo frigio.

frigio

Fuggii la morte, l’argivo brando,
coi barbarici sandali
il soffitto varcando
di cedro, e i dorici
triglífi, fuor dell’atrio,
lontano lontano,
o Terra, o Terra,
con fuggi fuggi barbarico.
Ahimè, dove scampare, amiche, ahimè?
Spiccherò il volo per l’ètra candido?
O per il ponto, cui l’Oceano
testa di tauro
fra le sue braccia serra
e recinge la terra?

coro

O Idèo, ministro d’Elena, che avviene?

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frigio

Ahimè Ilio, ahimè Ilio!
O zollifertile
sacra montagna d’Ida,
o dei Frigi città,
come il tuo gemo
fato supremo,
levando funebri funebri cantici,
con barbare grida,
per l’alicígneo
fulgore augelligènito
per la beltà
della cucciola di Leda,
d’Elena, tracollo
dalle torri polite d’Apollo,
fatale Erinni!
Ahimè, ahimè!
Dardania infelice per gl’inni,
per gl’inni funebri,
Dardania, lizza di Ganimede,
che sul giaciglio di Giove siede.

coro

Di’ chiaro quanto nella casa avvenne:
da quanto hai detto ancor poco argomento.

frigio

Ahi Lino, ahi Lino! — cosí cominciano
le querimonie di morte i barbari,

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nella lingua dell’Asia,
quando alcuno dei principi trafitto a terra cade,
per le ferree spade dell’Ade.
Se brami che ti noveri
i fatti ad uno ad uno, venner due lioncelli
de l’Ellade, gemelli.
Del condottiero celebre l’uno d’essi era figlio,
l’altro, figlio di Strofio, giovin di reo consiglio,
simile a Ulisse, maestro di frode,
fido agli amici, nella lotta prode,
di guerra intenditore, truculento dragone.
La sua quïeta astuzia i Numi sperdano,
ch’esso è un birbone!
Or questi, al trono presso ove la femmina
sedeva cui sposò Paride arciero,
stavan come pitocchi,
molli di pianto gli occhi,
un di qua, un di là,
tenendola nel mezzo prigioniera.
E d’Elena ai ginocchi
tendevano le mani alla preghiera.
Ed accorsero, accorsero di botto
i frigi famuli,
e, presi da sgomento,
l’uno all’altro chiedevano
se non ci fosse qualche inganno sotto.
Chi diceva di no;
ma a qualcuno sembrò
che avviluppata avesse
in una trama infida
la figliuola di Tíndaro
il leon matricida.

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corifea

Dov’eri tu? Te la battesti súbito?

frigio

Com’è costume frigïo frigïo,
vicino ai riccioli
d’Elena d’Elena,
presso alla guancia
l’aura agitavo, l’aura,
con rotonda compagine
di penne, all’uso barbarico.
Essa il lino sul fuso
avvolgea con le dita
— ed il filato al suol cadea profuso —
intenta una purpurea
veste a filare, ordita
di frigie spoglie,
dono pel tumulo
che Clitemnestra accoglie.
E Oreste favellò
alla donna lacona.
«Orsú, di Giove figlia,
il tuo seggio abbandona,
a terra posa il piede,
vieni dell’avo Pèlope
alla vetusta sede,
a udir le mie parole».
E la guida e la guida; e dove ei vuole
lo segue Elena, ignara
di ciò che si prepara.
E il malvagio Focese

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badava ad altre imprese.
«Non volete andar via,
Frigi, trista genia?»
E nella casa, chi qua, chi là,
ci chiuse tutti quanti,
chi ne le stalle
de le cavalle,
e chi nell’una e chi nell’altra stanza,
l’un dall’altro divisi,
tutti dalla padrona a gran distanza.

coro

E quale evento a questo poi seguí?

frigio

O Madre o Madre Idèa,
terribile terribile Dea,
ahimè ahimè,
empi scempi,
cruenti orrori
perpetrarono perpetrarono
nella reggia dei Signori.
Dal buio dei purpurei
mantelli, e l’uno e l’altro il ferro trasse,
un di qui, un di lí, rotando il ciglio,
perché nessuno s’avvicinasse.
E quali montani cignali,
stando innanzi alla femmina,
dicon cosí:
«Morrai, morrai!
Ti uccide il tuo tristo consorte,

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perché tradí
di suo fratello il figlio,
che, in Argo andasse a morte».
Ed ella un grido, un alto grido alzò,
ahimè, ahimè,
e il bianco braccio al seno si batté,
e il capo misero
percosse percosse,
e in fuga col pie’
l’orma dell’aureo
sandalo mosse mosse!
Ma spinse Oreste il micenèo calzare
sulla sua traccia:
e nelle chiome le dita le caccia,
le piega il collo su la spalla manca,
e il negro ferro s’appresta ad immergere
entro la gola bianca.

coro

Ed in aiuto i Frigi non accorsero?

frigio

Al grido, per la casa, e porte e stipiti
con leve scassinammo, e ognun, di dove
stava rinchiuso, move,
uno impugnando
per l’elsa un brando,
uno un pietrone, un altro un giavellotto,
e ci facciamo sotto.
Ma ci vien contro Pílade invincibile,
simile, in tutto al frigio Ettore simile,

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o al Telamonio dal cimiero triplice,
ch’io vidi, vidi alle porte di Priamo.
Noi, con le spade tese
venimmo a zuffa. E allora fu palese
quanto in valor, nell’impeto
di Marte, all’Ellade
la Frigia in forza cede.
Chi volge a fuga il piede,
uno è cadavere,
uno è ferito, quest’altro supplica
d’aver salva la vita.
Fuggiamo per tutta la casa,
dove c’è piú oscurità.
E chi soccombe,
e chi sta per soccombere,
e chi caduto è già.
Ed Ermïone misera,
in casa entrò, mentre cadea ferita
la sciagurata che le die’ vita.
Su lei balzaron pronti,
simili a Mènadi
senza tirso, che un dàino
ghermiscono pei monti.
Poi di nuovo si volgono
alla figlia di Giove, per ucciderla.
Ed essa, dai talami,
traverso i palagi,
divenne invisibile,
o Giove, o Terra, o Notte, o etereo Lume,
sia per virtú di farmachi,
sia per arte di magi,
sia per furto d’un Nume.

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Quello che poscia avvenne, io non so dirvelo:
ch’io dalla casa i passi
fuggitivi sottrassi.
Gravi spasimi, spasimi,
Menelao sopportò sotto Troia,
e poca del ricupero
d’Elena fu la gioia.

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Dalla reggia esce Oreste.

corifea

Vedi che ai nuovi casi un caso nuovo
s’aggiunge: Oreste a concitati passi
muove innanzi alla casa, e un ferro stringe.

oreste

Dov’è quegli che sfuggito dalla reggia è al brando nostro?

il frigio
prostrandosi.

Io t’adoro, e con barbarica foggia, o prence, a te mi prostro.

oreste

Qui non siamo in Frigia: questo che calchiamo è suolo argivo.

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il frigio

Per chi ha senno, dappertutto piú d’un morto vale un vivo.

oreste

Queste grida per chiamare Menelao levavi tu?

il frigio

No: chiamavo al tuo soccorso: perché tu vali di piú.

oreste

Giusta morte, dunque, inflitta fu di Tíndaro alla prole?

il frigio

Piú che giusta, e avesse avute, da segarle, anche tre gole.

oreste

Per viltà m’approvi a chiacchiere; ma la pensi in altra guisa.

il frigio

Rovinò la Frigia e l’Ellade: non fu giusto averla uccisa?

oreste

Giurar devi che non parli per lusinga; od io t’uccido.

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il frigio

Per la mia vita lo giuro: non so giuro altro piú fido.

oreste

Anche in Troia, i Frigi tanto sbigottia del ferro il taglio?

il frigio

Allontanalo: di morte troppo orrendo è il suo barbaglio.

oreste

Temi tu che a mo’ di Gòrgone ti pietrifichi la spada?

il frigio

Non conosco questa Gòrgone; ma ho timor che morto io cada.

oreste

Tu sei schiavo, e temi l’Ade, che affrancarti può dai mali?

il frigio

Della luce, anche se schiavi, tutti godono i mortali.

oreste

Dici bene: orsú, rientra: salvo t’ha la tua prudenza.

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il frigio

Non m’uccidi?

oreste

                              No, sei libero.

il frigio

                                                  Soavissima sentenza!

oreste

Ma cangiar proponimento ben potrei.

il frigio

                                                            Parola sozza!

oreste

Stolto! E pensi ch’io mi degni di tagliare a te la strozza?
No; ché tu, se non sei femmina, neppur uomo dir ti puoi.
Io di casa sono uscito per troncare gli urli tuoi;
perché quando un grido suona, si ridesta Argo al momento.
D’affrontare con la spada Menelao, non mi spavento:
venga pure, sopra gli omeri sfoggi pure i ricci biondi:
se avverrà che con gli Argivi questa casa egli circondi,
per punir la strage d’Elena, e salvezza neghi a me,
ed a Pílade, congiunto mio, che meco la compié,
ei veder dovrà due morte: la fanciulla e la consorte.
Entra nella reggia.

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coro
I vari coreuti pigliano la parola a volta a volta.

a

Antistrofe
Ahimè, Fortuna, ahimè, ché dei Pelòpidi
la progenie precipita
in un altro, in un altro agone orribile!

b

Che faremo? Annunciar dobbiamo l’esito,
o il silenzio convien meglio?

c

                                                            Il silenzio.
Dalla reggia cominciano a levarsi nuvole di fumo.

d

Non vedi? Il fumo, che per l’aria rapido
sale, innanzi alla reggia, or dà l’annunzio.

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e

Levan, per arder la magion tantàlea,
le faci, e dalla strage ancor non cessano.

f

Regge il fato degli uomini,
regge, e lo spinge ove esso vuole, un Dèmone.

g

Grande potere è quello.

h

                                                  Un Nume vindice
nel sangue questa magion precipita,
poi che dal cocchio un dí piombava Mírtilo.

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Giunge correndo e minacciando Menelao.

coro

Menelao vedi, che a questa reggia appressa il pie’ veloce.
Degli eventi qui seguíti gli pervenne alcuna voce.
A sbarrar non v’affrettate, o d’Atreo figli, le porte,
coi chiavacci? È formidabile l’uomo a cui ride la sorte
contro l’uom da sorte oppresso — come, Oreste, or sei tu stesso.
Irrompe Menelao.

menelao

Son qui: le audacie udii, l'orride imprese
di due leoni: ché non vo’ chiamarli
uomini. Udii che la consorte mia
morta non è, ma che scomparve: ciancia
senza costrutto, che inventata alcuno
ha, per timore. Son questi artifíci
del matricida, e assai degni di riso.
Apra alcuno la casa: ai servi impongo
che schiudano le porte, affin ch’io salvi
dalle mani di questi empî omicidi

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la mia figliuola, e la mia sposa prenda
con questa mano onde convien che muoiano
quelli che ucciser la compagna mia.
Sul tetto della reggia appare Oreste che tiene ghermita Ermione, e le appunta la spada alla gola. Pilade e altri dei suoi servi reggono le fiaccole.

oreste

Ehi lí, non appressar la mano all’uscio:
dico a te, Menelao, che di superbia
vai torreggiando; o ch’io gli antichi merli,
opra d’artieri, frango, e con un masso
ti spezzo il capo. Son da leve dentro
chiuse le imposte, e s’opporranno al tuo
zelo d’aiuto; qui non entrerai.

menelao

Ahimè, che avvien? Di fiaccole un fulgore
vedo in cima alla casa, e questi, come
in una torre, asserragliati, e il ferro
su la gola sospeso alla mia figlia.

oreste

Che preferisci? Interrogarmi o udirmi?

menelao

Né quel, né questo; e udirti pur dovrò.

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oreste

M’appresto, sappi, a uccidere tua figlia.

menelao

Strage su strage? Or ora uccidesti Elena.

oreste

Fosse! Gli Dei deluso non m’avessero!

menelao

Neghi? E cosí mi parli per dileggio?

oreste

Tristo diniego. Oh, se potuto avessi!

menelao

Potuto che? Terrore in cuor m’induci.

oreste

Scagliar nell’Ade quel flagello d’Ellade.

menelao

Dammi la salma, ch’io le innalzi un tumulo.

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oreste

Chiedila ai Numi; ed io tua figlia uccido.

menelao

O matricida! Morte a morte addoppi?

oreste

Vendico il padre che tradisti a morte.

menelao

Non t’è bastato della madre il sangue?

oreste

Mai stanco mi farà magalde uccidere.

menelao

E insiem con lui l’ucciderai tu, Pílade?

oreste

Col silenzio acconsente. Io parlo, e basta.

menelao

Poco lieto ne andrai, se a vol non fuggi.

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oreste

Non fuggiremo: arderemo la casa.

menelao

Degli avi tuoi darai la casa al fuoco?

oreste

Meglio che a te. Morrà nel fuoco Ermíone.

menelao

Uccidila; e dovrai morto espiarla.

oreste

Sarà cosí.
Fa’ l’atto di trafiggerla.

menelao

                         Ahimè ahimè, non fare!

oreste

Taci, e la giusta pena allor sopporta.

menelao

È giusto che tu viva?

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oreste

                                        E ch’abbia il regno.

menelao

Il regno dove?

oreste

                              In questa Argo pelasgica.

menelao

Veramente potrai con sante mani
toccar l’acqua lustrale!

oreste

                                                  E come no?

menelao

E l’ostie prima della pugna abbattere.

oreste

E tu far lo potrai?

menelao

                                         Pure ho le mani.

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oreste

Ma non il cuore.

menelao

                                        A te chi parlerà?

oreste

Chi onora il padre.

menelao

                                        E chi la madre onora?

oreste

È un uom felice.

menelao

                                        Non sei quello tu.

oreste

Le femmine perverse a me non piacciono.

menelao

Scosta da Ermíone il ferro!

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oreste

                                                     Il falso parli.

menelao

Ucciderai mia figlia?

oreste

                                        Or dici il vero.

menelao

Ahi, che farò?

oreste

                                   Convinci il popol d’Argo.

menelao

A che?

oreste

                              Chiedi che a morte non ci mandino.

menelao

Oppur mia figlia ucciderete?

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oreste

                                                       Appunto.

menelao

Misera Elena!

oreste

                                        Ed io non sono misero?

menelao

Ostia l’addussi a te dai Frigi.

oreste

                                                  Oh fosse!

menelao

Molte pene affrontai.

oreste

                                                  Tranne per me.

menelao

Tu mi soverchi.

oreste

                                        E tu non m’aiutasti.

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menelao

Tu m’hai còlto.

oreste

                                        Da te còlto ti sei,
con la perfidia tua. Su dunque, Elettra,
il fuoco appicca a questa casa. E tu,
il piú assennato degli amici miei,
Pílade, brucia della casa i merli.

menelao

O di Dànao terra, o cittadini
d’Argo l’equestre, non spingete il piede
a soccorrerci armati? Alla città
tutta costui sopruso fa, per vivere,
poi che alla madre die’ morte esecrabile.