Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo cinquantottesimo

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Capitolo cinquantottesimo

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Jane Austen - Orgoglio e pregiudizio (1813)
Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
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Invece di ricevere dal suo amico quella lettera di scuse che quasi si aspettava, Elizabeth vide arrivare Bingley a Longbourn insieme a Mr. Darcy, poco tempo dopo la visita di Lady Catherine. I due signori arrivarono di buon’ora, e, prima che Mrs. Bennet, secondo i timori di Elizabeth, avesse avuto il tempo di raccontare a Darcy che avevano visto sua zia, Bingley, che desiderava restare solo con Jane, propose di andare a fare una passeggiata. Mrs. Bennet non aveva l’abitudine di camminare; Mary non aveva mai tempo da perdere, ma gli altri cinque accettarono con entusiasmo la proposta di uscire insieme. Bingley e Jane però lasciarono che gli altri li distanziassero, restando indietro, di modo che Elizabeth, Kitty e Darcy s’intrattenessero tra loro. Non che parlassero molto: Kitty era troppo intimidita da Darcy per parlare; Elizabeth stava prendendo dentro di sé una risoluzione disperata; e forse lui faceva lo stesso.

Si diressero verso i Lucas, perché Kitty desiderava vedere Mary, cosa che Elizabeth non credeva potesse interessare agli altri; così, quando Kitty li lasciò, ella continuò coraggiosamente a passeggiare con lui. Era questo il momento in cui mettere in atto la sua risoluzione, e mentre le durava l’ardire, disse:

«Mr. Darcy, mi sento molto egoista, e, pur di uscire io da uno stato d’animo angoscioso, non mi curo forse di far del male a voi. Non posso tardare ancora a ringraziarvi per la vostra incredibile bontà verso la mia sciagurata sorella. Da quando ho saputo quello che avete fatto, non ho avuto altro desiderio che di potervi dire quanto ve ne sia grata, e se anche le altre persone della mia famiglia fossero al corrente di tutto, non sarebbe soltanto la mia gratitudine che dovrei esprimervi».

«Sono desolato, più che desolato», rispose Darcy, sorpreso e turbato, «che siate stata informata di quello che, visto in una luce sbagliata, può avervi creato delle angustie; credevo di potermi fidare di più della signora Gardiner».

«Non dovete incolpare mia zia. È stata la scapataggine di Lydia a tradire per prima la parte da voi sostenuta in questa faccenda, e naturalmente non potei resistere al desiderio di conoscerne i particolari. Permettete che vi ringrazi ancora molto, a nome di tutta la mia famiglia, per la generosa compassione che vi ha indotto a darvi tanta pena e a sopportare tante umiliazioni pur di ritrovare quei due».

«Se volete ringraziarmi», egli rispose, «fatelo solo a nome vostro. Non posso negare che il desiderio di farvi cosa grata rafforzò il movente che mi guidava. Ma la vostra famiglia non mi deve nulla. Per quanto io la rispetti, credo di avere pensato soltanto a voi».

Elizabeth era troppo confusa per dire una parola. Dopo una breve pausa, il suo compagno aggiunse: «Siete troppo generosa per prendervi gioco di me. Se i vostri sentimenti sono quelli stessi dello scorso aprile, ditemelo subito. Il mio affetto e le mie intenzioni sono invariate; ma una vostra parola mi farà tacere per sempre».

Elizabeth, che comprese tutto l’imbarazzo e l’ansia della situazione di Darcy, trovò finalmente la forza di parlare, e subito, anche se con qualche esitazione, gli lasciò comprendere che i suoi sentimenti erano talmente cambiati dal periodo cui egli aveva accennato, da farle accogliere con gioia e gratitudine le sue parole. Forse Darcy non aveva mai provato in vita sua una felicità pari a quella che gli venne da questa risposta, e si espresse con tutto il sentimento e l’ardore di un uomo appassionatamente innamorato. Se Elizabeth avesse avuto il coraggio di incontrare i suoi occhi, avrebbe visto come l’espressione di dolce felicità che gli illuminava il volto lo trasfigurasse; ma anche non avendo il coraggio di guardarlo, lo ascoltava, ed egli, dicendole tutto quello che ella rappresentava per lui, le rendeva sempre più caro il suo affetto.

Camminarono senza sapere dove. Troppe cose avevano da pensare, da sentire e da dire per occuparsi d’altro. Ella venne presto a sapere che dovevano la loro presente intesa proprio agli sforzi di sua zia, che, passando da Londra, era andata a trovarlo per raccontargli la sua visita a Longbourn, il motivo che ve l’aveva spinta e la sostanza della sua conversazione con Elizabeth. Lady Catherine si era soffermata enfaticamente su tutte le espressioni che, secondo la Sua Signoria, denotavano la cocciutaggine e l’arroganza di Elizabeth, nella persuasione che ciò l’avrebbe aiutata a strappare al nipote quella promessa non avuta da lei. Ma, sfortunatamente per Sua Signoria, aveva ottenuto precisamente il risultato opposto.

«È proprio quello che mi ha fatto sperare come non mi ero mai permesso di sperare prima. Conoscevo abbastanza il vostro carattere per sapere che se foste stata irrevocabilmente contraria a me, lo avreste confessato francamente e apertamente a Lady Catherine».

Elizabeth arrossì mentre rispondeva ridendo: «Sì, conoscete abbastanza la mia franchezza per credermi capace di tanto. Dopo avervi offeso così abominevolmente di persona, non avrei davvero avuto scrupoli di denigrarvi con tutti i vostri parenti».

«Che cosa mi avete detto che io non avessi meritato? Perché, anche se le vostre accuse erano mal fondate, basate su premesse sbagliate, la mia condotta verso di voi, allora, meritava i peggiori rimproveri. Era imperdonabile. Non posso pensarci senza provare disgusto di me stesso».

«Non staremo davvero a bisticciarci per stabilire chi fosse più da biasimare quella sera», disse Elizabeth. «A pensarci bene, la condotta di nessuno dei due è stata irreprensibile. Ma da allora, credo che tutti e due abbiamo fatto progressi».

«Non riesco a perdonarmi così facilmente. Il ricordo di quello che dissi, del mio contegno, dei miei modi, delle mie espressioni, mi dà ora, e mi ha dato da vari mesi, un tormento indicibile. Non dimenticherò mai il vostro rimprovero così giusto: “Se vi foste comportato più da gentiluomo”. Queste furono le vostre precise parole e non sapete, non potete sapere come mi hanno torturato; benché ci sia voluto del tempo, lo confesso, prima che io diventassi così ragionevole da arrivare a ritenerle giuste».

«Non immaginavo certo che avrebbero potuto farvi tanta impressione. Non avevo neppure l’idea che vi avrebbero ferito a quel modo».

«Lo so benissimo. Mi credevate privo di ogni sentimento, ne sono sicuro. Non potrò mai dimenticare la vostra espressione nel dirmi che, qualunque fosse stato il mio modo di farvi la mia richiesta, nulla vi avrebbe mai indotto ad accettarla».

«Oh, non ripetete quello che dissi allora. Questi ricordi fanno male. Vi assicuro che da tanto tempo me ne vergogno di cuore».

Darcy parlò allora della sua lettera. «Riuscì almeno quella», disse, «a farvi avere una migliore opinione di me? Leggendola, mi avete creduto?».

Elizabeth spiegò le impressioni provate e come i suoi pregiudizi fossero caduti a poco a poco.

«Sapevo», continuò lui, «che quanto vi scrivevo vi avrebbe dato dolore, ma era necessario. Spero che avrete distrutto quella lettera. Vi era una parte, soprattutto il principio, che non vorrei rileggeste. Ricordo certe espressioni che mi potrebbero ancora rendere odioso ai vostri occhi».

«Se lo credete necessario per mantenere la mia stima verso di voi, brucerò immediatamente la lettera; ma, anche se abbiamo ragione tutti e due di non credere che le mie opinioni siano immutabili, non vuol dire per questo che possano cambiare così facilmente come il vostro discorso farebbe supporre».

«Quando scrissi quella lettera», rispose Darcy, «credevo di essere freddo e calmissimo, ma poi mi sono convinto che la scrissi in una grande amarezza di spirito».

«Forse la lettera era amara nel principio, ma non alla fine. L’addio era pieno di bontà. Ma non pensateci più. I sentimenti di chi la scrisse e di chi la lesse sono talmente cambiati da allora, che ogni cosa che riguarda quel periodo dovrebbe essere ormai dimenticata. Dovete imparare da me a essere un po’ filosofo. Pensate al passato soltanto quando il ricordarlo vi può fare piacere».

«Non approvo questo genere di filosofia. I vostri ricordi retrospettivi devono essere così puri da ogni rimprovero, che la gioia che ne deriva non è filosofia, ma, come è assai meglio, innocenza. Ma per me non è così. Tristi ricordi riaffiorano, che non posso, non devo respingere. In pratica, anche se non per principio, sono stato sempre un egoista. Da bambino mi hanno insegnato quello che è bene, ma senza insegnarmi a correggere il mio carattere. Mi furono dati dei buoni princìpi ma permisero che li seguissi pieno di orgoglio e di presunzione. Purtroppo, come unico maschio, e per molti anni anche come figlio unico, sono stato viziato dai miei genitori che, sebbene ottimi (soprattutto mio padre che era la bontà e la gentilezza in persona), permisero, incoraggiarono, quasi mi insegnarono a essere egoista e altero, a non curarmi che del mio mondo familiare, a giudicare quasi con disprezzo tutto il resto del mondo o, perlomeno, a pensare che il giudizio e il valore degli altri era poca cosa in confronto al mio. Crebbi così dagli otto ai ventotto anni, e sarei forse così ancora, senza di voi, mia diletta! Che cosa non vi debbo? Mi avete dato una grande lezione, assai dura da principio, ma di quale utilità per me! Sono stato giustamente umiliato da voi. Vi aprii il mio cuore senza dubitare un solo momento di essere accolto. Mi avete mostrato come erano vane tutte le mie pretese di piacere a una donna degna di essere desiderata».

«Eravate proprio convinto che vi avrei accettato?»

«Veramente, sì. Che penserete della mia vanità? Credevo che voi desideraste, che aspettaste la mia dichiarazione».

«Certamente devo aver mancato nel mio modo di fare con voi, ma non apposta, ve l’assicuro. Non ho mai voluto ingannarvi, ma forse il mio carattere mi ha trascinato. Come dovete avermi odiata, dopo quella sera!».

«Odiarvi? Forse, sulle prime, ero in collera, ma la mia collera prese ben presto una direzione più giusta».

«Ho quasi paura di chiedervi che cosa pensaste di me, incontrandomi a Pemberley. Mi giudicaste molto male?»

«No, davvero; ne rimasi soltanto sorpreso».

«La vostra sorpresa non poté essere maggiore della mia, vedendo che vi occupavate ancora di me. La mia coscienza mi diceva che non meritavo nessuna speciale gentilezza, e confesso che non mi aspettavo più di quanto non meritassi».

«Il mio scopo, allora», rispose Darcy, «era di mostrarvi, con quanta più gentilezza mi fosse possibile, che speravo di ottenere il vostro perdono, e di correggere il vostro giudizio sfavorevole mostrandovi che i vostri rimproveri erano stati ascoltati e i consigli seguiti. Come poi si aggiunsero altri desideri non saprei dirvelo, ma certo poco dopo avervi veduta».

Le disse poi come Georgiana fosse stata contenta di conoscerla e spiacente della loro improvvisa partenza, cosa che li portò a parlare della causa che l’aveva provocata. Seppe così che Darcy aveva deciso di seguirli dal Derbyshire alla ricerca della sorella prima ancora di lasciare l’albergo, e che la sua serietà e gravità erano dovute soltanto ai pensieri sorti da quella decisione.

Elizabeth rinnovò allora le espressioni della sua gratitudine, ma era un soggetto troppo penoso per entrambi perché avessero voglia di proseguirlo. Dopo aver passeggiato a caso per qualche miglio, troppo assorti per pensare ad altro, scoprirono, guardando l’orologio, che era tempo di tornare a casa.

“Che ne sarà di Mr. Bingley e di Jane?”, si chiesero stupiti, e vennero a parlare di loro. Darcy era contentissimo del fidanzamento: il suo amico lo aveva subito informato.

«Devo chiedervi se la cosa vi ha molto stupito?», chiese Elizabeth.

«Affatto. Quando sono partito, sentivo che sarebbe accaduto presto».

«Il che significa che gli avete dato il vostro permesso: me l’ero immaginato».

E, benché egli protestasse contro la parola, la cosa in realtà non era meno vera.

«La sera prima di andare a Londra», disse, «gli confessai tutto quello che aveva reso così assurda la mia intromissione nei suoi affari. La sua sorpresa fu grande. Non ne aveva mai avuto il più lontano sospetto. Gli dissi anche che credevo di essermi sbagliato nel supporre che fosse indifferente a Jane, e siccome compresi che il suo affetto per lei era sempre lo stesso, non dubitai che sarebbero presto stati felici».

Elizabeth non poté trattenere un sorriso nel vedere con quale facilità egli guidava il suo amico.

«Quando gli avete detto che mia sorella gli voleva bene, eravate convinto voi stesso dei suoi sentimenti, o era per quello che vi avevo detto io, la primavera scorsa?»

«Ne ero persuaso. L’avevo osservata attentamente durante le due visite che vi avevo fatto, e mi ero convinto del suo affetto verso Bingley».

«E bastò che voi lo rassicuraste perché egli ne fosse subito persuaso, vero?»

«Sì, Bingley è veramente modesto e non per affettazione. La poca fiducia che ha generalmente in se stesso gli impedì di credere vera una cosa per lui tanto importante, mentre la fiducia che ha in me ha facilitato tutto. Fui costretto a confessargli una cosa che lo ha offeso, per qualche tempo, e non a torto. Non volli nascondergli che vostra sorella era stata in città l’inverno passato, per tre mesi, e che io, sapendolo, glielo avevo taciuto. Andò in collera, ma la sua collera svanì appena non ebbe più dubbi sui sentimenti di Jane. E ormai mi ha perdonato di cuore».

Elizabeth aveva una gran voglia di osservare che Mr. Bingley era un amico ideale; così facile da guidare da essere addirittura impagabile; ma si trattenne. Ricordò che Darcy non era ancora abituato agli scherzi, ed era un po’ troppo presto per cominciare. Egli continuò a parlare della felicità di Bingley che, naturalmente, era inferiore alla sua, finché arrivarono a casa. Lì, nel vestibolo, si separarono.