Orgoglio e pregiudizio (1945)/Capitolo trentaseiesimo

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Capitolo trentaseiesimo

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Jane Austen - Orgoglio e pregiudizio (1813)
Traduzione dall'inglese di Itala Castellini, Natalia Rosi (1945)
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Se Elizabeth, quando Darcy le consegnò la lettera, non si aspettava di trovarvi un rinnovo dei suoi sentimenti e delle sue proposte, non poteva neppure immaginare quale potesse essere il contenuto. Ma è facile intendere con quanta ansia la scorse, e a quali diverse emozioni era in preda mentre leggeva. I suoi sentimenti non erano facili a definirsi. Dapprima fu stupita che egli pensasse di potersi giustificare, convinta com’era che non avesse alcuna scusa che non sarebbe stato meglio tacere, per un giusto senso di vergogna. Già prevenuta contro tutto quello che potesse dire, incominciò a leggere il resoconto di quanto era avvenuto a Netherfield. Leggeva con una fretta che le impediva di ben comprendere, e, nell’impazienza di arrivare alla frase seguente, era incapace di soffermarsi sul senso di quella che aveva sotto gli occhi. Giudicò subito falso che egli avesse creduto nella insensibilità di sua sorella, e si irritò talmente alla sua confessione sui motivi più veri, più gravi, contro quel matrimonio, da non avere alcun desiderio di rendergli giustizia. Non esprimeva rammarico per quanto aveva fatto, cosa che non poteva certo soddisfarla; il suo stile denotava tutt’altro che il pentimento, anzi, piuttosto un’irritante alterigia. Era tutto orgoglio e insolenza.

Ma quando da questo argomento passò a quello di Wickham, quando, con più serena attenzione, lesse il resoconto dei fatti che, se veri, avrebbero capovolto ogni sua opinione su di lui, resoconto che assomigliava in modo così impressionante a quello che Wickham stesso aveva dato della sua posizione, allora i suoi sentimenti si fecero ancora più penosi e difficili a definire. Lo stupore, l’inquietudine, una specie di orrore, la opprimevano.

Avrebbe desiderato non credere a quanto le stava sotto gli occhi e andava continuamente esclamando: «È falso! Non può essere! È la più grande menzogna!». Terminata la lettura senza aver quasi compreso il senso delle due ultime pagine, mise prontamente da parte la lettera protestando in cuor suo di non volerla considerare e di non volerla mai più guardare.

In tanta agitazione, non riuscendo a fissare su nulla il proprio pensiero, continuò a passeggiare, ma non le giovò affatto; dopo un momento riaprì la lettera, e, cercando di dominarsi, riprese la mortificante lettura di tutto quello che riguardava Wickham, e si dominò al punto di riuscire a esaminare il significato di ogni frase. Il resoconto delle relazioni di Wickham con la famiglia di Pemberley era uguale a quello che ne aveva dato lui stesso, e la bontà del defunto Mr. Darcy, era espressa in parole quasi identiche a quelle usate dallo stesso Wickham. Un racconto dunque confermava l’altro, ma sul punto del testamento la differenza era immensa. Erano ancor vive nella memoria di Elizabeth le parole che Wickham aveva avuto a questo proposito. Come non pensare dunque che da una parte o dall’altra doveva esservi una grande falsità? Ma leggendo e rileggendo con la più grande attenzione i particolari che seguivano la rinuncia a ogni pretesa sulla parrocchia, quel suo ricevere in compenso la cospicua somma di tremila sterline, ricadeva di nuovo in una grande perplessità. Riposta la lettera, pesò ogni circostanza con presunta imparzialità; esaminò la probabilità di ogni asserzione, ma si trovò ugualmente perplessa e disorientata. Rilesse ancora, ma ogni riga provava sempre più chiaramente che proprio la questione per la quale aveva creduto di dover condannare senza remissione la condotta di Mr. Darcy, prendeva invece adesso una piega tale da renderlo del tutto innocente!

Le stravaganze e i vizi dei quali egli non si peritava di accusare Mr. Wickham la scandalizzarono enormemente, tanto più che non aveva nessuna prova della loro infondatezza. Non aveva mai sentito parlare di lui, prima che entrasse nel reggimento, nel quale si era arruolato su consiglio di un amico incontrato per caso in città. Sulla sua vita precedente, nessuno era informato nell’Hertfordshire, tranne per quello che lui stesso aveva narrato nei suoi racconti. Quanto a lei, anche potendo, non aveva mai provato il desiderio di informarsi sul suo conto. Il contegno, la voce e le belle maniere di Wickham l’avevano indotta ad attribuirgli di primo acchito ogni virtù. Cercò di ritrovare qualche tratto di bontà, qualche particolare segno di generosità che lo potesse riscattare dagli attacchi di Mr. Darcy; o, almeno, ricordare di lui qualità tanto nobili da poter compensare quei fuggevoli errori, come Elizabeth cercava di classificare quegli anni di ozio e di vizio di cui Mr. Darcy aveva parlato. Ma non le sovvenne di alcuna di queste doti eccezionali. Le pareva quasi di vederselo davanti, affascinante nell’aspetto e nel modo di parlare; ma non poteva ricordare di lui nessuna virtù, se non la generale approvazione e la stima che si era acquistato con le sue brillanti qualità presso gli altri ufficiali. Dopo essersi soffermata non poco su questo punto, riprese a leggere. Ma ahimè, quello che seguiva delle mire di lui su Georgiana Darcy era confermato dal colloquio che ella aveva avuto col colonnello Fitzwilliam il mattino prima; e infine le si chiedeva appunto di controllare la verità di ogni particolare, proprio presso lo stesso colonnello Fitzwilliam, della cui lealtà non aveva ragione di dubitare.

In un primo momento fu quasi sul punto di rivolgersi a lui, ma subito scartò l’idea come sconveniente, e finì per escluderla nella convinzione che Mr. Darcy non si sarebbe mai permesso una affermazione simile, se non fosse stato ben sicuro di essere assecondato dal cugino.

Ricordava perfettamente la sua conversazione con Wickham, la prima sera, dai Philips. Le ritornarono in mente molte sue espressioni; vedeva ora tutta la sconvenienza delle confidenze fatte a un’estranea, e si stupì che le fosse sfuggita allora. Vedeva l’indelicatezza con la quale si era messo in evidenza e la contraddizione tra le sue parole e la sua condotta.

Rammentava come, dopo essersi vantato di non temere di incontrarsi con Mr. Darcy affermando che toccava a quello e non a lui di lasciare la contea, avesse evitato di venire al ballo di Netherfield pochi giorni dopo. Ricordava anche che, fino a quando la famiglia di Netherfield non era partita, aveva raccontato soltanto a lei la sua storia, ma che, appena partiti, la storia era stata risaputa da tutti; che egli non aveva avuto più nessun ritegno né scrupolo nel calunniare Mr. Darcy, benché a lei avesse assicurato che il rispetto per il padre gli avrebbe sempre impedito di diffamare il figlio.

Come tutto appariva sotto un altro aspetto! La sua corte a Miss King non era che la conseguenza delle sue intenzioni interessate, e la modestia della dote della signorina non le sembrava più la prova della moderazione dei suoi desideri, quanto della sua avidità di afferrare qualunque cosa. La sua stessa condotta verso di lei, Elizabeth, non era più facile a spiegarsi: o si era illuso sulla sua ricchezza, o aveva soltanto voluto soddisfare la propria vanità, incoraggiando la preferenza che ella comprendeva adesso di avergli imprudentemente mostrata.

Gli ultimi tentativi che faceva per giustificarlo si indebolivano sempre più, mentre, a maggior onore di Mr. Darcy, doveva convenire che Mr. Bingley, interrogato da Jane, aveva sempre sostenuto la completa innocenza di Darcy in quella faccenda. Ricordava anche che, malgrado i modi freddi e orgogliosi dello stesso Darcy, nel primo periodo della loro conoscenza – una conoscenza che ultimamente li aveva messi spesso in contatto, dandole modo di comprenderlo meglio — non aveva mai notato nulla che tradisse in lui la mancanza di buoni princìpi o di rettitudine, nulla che denotasse in lui abitudini immorali o irreligiose; che, fra le sue conoscenze, era stimato e valutato, e che perfino Wickham aveva riconosciuto i suoi meriti di fratello affettuoso nei riguardi di Miss Georgiana, della quale anche lei lo aveva sentito parlare così spesso e con tanto affetto. Cosa, questa, che provava come egli fosse capace di sentimenti nobili e gentili. Le azioni delle quali Wickham lo accusava, erano una tale violazione di ogni diritto, che difficilmente sarebbero rimaste nascoste, senza contare che l’amicizia tra un essere capace di tanta cattiveria e un uomo buono come Mr. Bingley, sarebbe stata incomprensibile.

Incominciò allora a vergognarsi di se stessa. Non poteva pensare né a Darcy né a Wickham, senza convenire di essere stata cieca, parziale, piena di pregiudizi, assurda.

«Come ho agito spregevolmente!», esclamò. «Io che mi sono sempre vantata del mio discernimento! Io che mi fidavo del mio criterio, che sorridevo del generoso candore di mia sorella e che mi sentivo così superiore a lei, professando una sfiducia veramente condannabile! Che scoperta umiliante! Eppure che giusta umiliazione! Se fossi stata innamorata non avrei potuto essere più stupidamente cieca! Ma la mia follia è stata la vanità, non l’amore. Lusingata dalla preferenza dell’uno e offesa dall’indifferenza dell’altro, fin dall’inizio della nostra conoscenza mi sono lasciata guidare dal pregiudizio allontanandomi dal buonsenso. Posso dire veramente di non essermi mai conosciuta prima d’ora!».

Passando da se stessa a Jane, da Jane a Bingley, i suoi pensieri la riportarono alle spiegazioni di Darcy, che, su questo punto, le erano parse insufficienti, e le rilesse. Ma alla seconda lettura, l’impressione fu ben diversa. Come poteva negare valore alle sue asserzioni su quel punto, quando aveva già dovuto accordarglielo su quell’altro? Egli dichiarava di essere stato completamente ignaro dell’affetto di sua sorella; e Elizabeth non poté fare a meno di ricordare a questo proposito le opinioni di Charlotte. Né poteva negare quanto fosse giusta la descrizione ch’egli faceva di Jane. Elizabeth conosceva Jane e sapeva come fosse poco incline a manifestare i propri sentimenti anche quando erano forti e sinceri; nel suo aspetto e nei suoi modi vi era quella costante sorveglianza di se stessa che non sempre va unita a una grande sensibilità.

Quando arrivò a quella parte della lettera in cui si parlava della sua famiglia con termini di così mortificante, eppur meritata disapprovazione, provò un grave senso di vergogna. Tuttavia la giustezza di quei rimproveri la colpì troppo a fondo perché potesse negarla, e i fatti a cui alludeva, accaduti al ballo di Netherfield, non potevano aver fatto maggior impressione sull’animo di lui, di quanto non avessero ferito lei stessa.

L’elogio che rivolgeva a lei e a sua sorella non andò perduto. Diminuì, pur senza consolarla, il senso di vergogna per il disprezzo che si erano attirati tutti i rimanenti membri della sua famiglia, e pensando come la delusione di Jane fosse dovuta, di fatto, ai suoi più stretti parenti, e riflettendo come tutte e due fossero danneggiate dalla strana condotta degli altri, si sentì più avvilita di quanto non lo fosse mai stata fino allora.

Dopo aver vagabondato per più di due ore, abbandonandosi a ogni sorta di pensieri, ritornando a riflettere sugli eventi, considerando le probabilità, e rimettendosi come meglio poteva da un così subitaneo e notevole cambiamento di opinione, la stanchezza e il pensiero della sua lunga assenza la fecero risolvere a tornare a casa, dove rientrò decisa ad apparire serena come sempre e risoluta quindi a reprimere tutte le riflessioni che l’avrebbero resa incapace di sostenere la conversazione.

Le fu subito riferito che i due signori di Rosings erano venuti segretamente a trovarli durante la sua assenza. Mr. Darcy per pochi minuti soltanto, per prendere congedo; ma il colonnello Fitzwilliam si era fermato per un’ora almeno sperando nel suo ritorno e quasi deciso ad andarla a cercare.

Elizabeth riuscì a far mostra di essere dolente d’aver perso la sua visita: in realtà ne era ben contenta. Del colonnello Fitzwilliam non le importava più nulla. Non sapeva ormai più distogliere il pensiero da quella lettera.