Orlando furioso (1928)/Nota/III. Differenze saltuarie da esemplare ad esemplare

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III. Differenze saltuarie da esemplare ad esemplare

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III. Differenze saltuarie da esemplare ad esemplare
Nota - II. Classificazione degli esemplari del '32 Nota - IV. La nostra edizione

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III

Differenze saltuarie da esemplare ad esemplare.

Per una netta classificazione delle copie di C l’unico fondamento è costituito da quel tal mezzo foglio rifatto che abbiamo esaminato nel Cap. precedente.

Ora è opportuno che si avverta una circostanza alla quale piú d’uno ha accennato, fonte di numerosi errori, e veramente singolare: da copia a copia tu noti varietá di lezione. Ma queste divergenze non si dividono in due serie corrispondenti al Tipo 1° e al Tipo 2°, bensí errano da esemplare ad esemplare, e pertanto sfuggono ad ogni criterio classificatorio. L’Ermini (p. xix) e il Salza (p. 237), conoscendo solo un paio di varianti, sono stati facilmente tratti a ritenere che esse continuassero le divergenze descritte nel Cap. precedente, e finiscono per ingarbugliare una matassa che a guardar bene corre abbastanza liscia.

Il primo forse che richiamò su questo l’attenzione, senza tuttavia curarsi di fare un confronto minuto, fu il Barotti, che ne additò due o tre, né mancano errori1. Alcune poche son registrate dal Panizzi; gli altri ripetono.

Noi abbiamo fatto larghi confronti, e per la prima volta possiamo dare questa interessante serie di varianti, che sará, speriamo, completa o quasi. [p. 416 modifica]

Non ci fermiamo su varietá tipografiche e manifesti errori di stampa, che qua compaiono, lá risultano corretti (come ripari C (a b g h m), gli altri ripar II 43, 5; de: e C (e), gli altri de III 66, 4; abarbaglia C (a), gli altri abbarbaglia 68, 5; putāna C (a b d e g h m), gli altri puttana VII 79, 6); tuttavia ad uno di questi errori è utile dedicare qualche attenzione, perché mi sembra particolarmente caratteristico.

Nella descrizione del palazzo che Argia costrusse per incanto troviamo in A e B:

               Di tapeti, e di razzi, e di cortine A
               Di tapeti: & di razza & di cortine B,

mentre nella terza ediz. si legge:

Di tapeti, e di panni d’razza, e di cortine C (c g)
E di panni d’razza, e di cortine C (a b d e f h i l m) XLIII 133, 1.

Il brutto sgorbio di C (c g) oggi si capisce bene come sia nato, che sappiamo aver l’Ariosto mandato in stamperia, per la sua terza ediz., un esemplare della seconda corretto. Sopra B il Poeta dovette suppergiú ritoccare a questo modo, cancellando Di tapeti:

                              di panni
          Di tapeti: & di razza & di cortine.

Il cancellato fu preso per buono, e ne venne fuori un di quei versi per cui l’Ariosto si disse assassinato. Ebbene, nella Bladiana del ’33, che conosco solo indirettamente, fatta «ad instantia de gli heredi del q. messer Ludovico Ariosto», ritorna questo versaccio tal quale2.

Le divergenze da esemplare ad esemplare che hanno un reale interesse per il testo saranno ora minutamente esaminate.


III 62, 8:

amareggiar ABC (c)          amareggiare C (a b d e f g h i l m)

Senza contare che nell’ultima ediz. l’Ariosto preferisce, conforme al gusto della nostra lingua, le forme piene alle apocopate, quando [p. 417 modifica]segua parola che incomincia per vocale, notisi «amareggiar al fin» di cattivo suono: certo amareggiare rappresenta la lezione definitiva.


IV 66, 3:

suave ABC (a b d e g h i l m)          soave C (c f)

L’Ariosto nelle prime edd. quasi non scrive che suave. Poi, con maggior delicatezza, va alternando il suono latino e il volgare. Lá dove aveva parlato di zeffiro, di vento, di aria suave (XI 32, 5, XVIII 141, 3, XXX 14, 5), di suave mondo (XXXIV 52, 8), del suave, cioè «opportuno» conferire (III 65, 7), del suave riso evocato ormai senza passione (VII 16, 8), d’un boccone troppo suave (X 112, 6), dell’andar suave d’un cavallo (XIX 81, 1), degli allori suavi (VI 21, 1) ecc., da ultimo preferisce la forma volgare. E cosí si pente della suavissima dolcezza (XXXI 2, 2), che forse gli parve un po’ troppo sdolcinato. Lascia qua e lá suave, dove pare si esprima un intimo soddisfacimento piú pieno e profondo. Cosí quando il viso d’Alcina splende di tutta la sua bellezza:

          quivi si forma quel suave riso
          ch’apre a sua posta in terra il paradiso VII 13, 7 (cfr. 16, 8),

cosí nella gran scena d’amore:

          cogliendo de lo spirto in su le labbia
          suave fior... VII 29, 5.

E sempre guida sovrana l’orecchio:

          de’ piú suavi odor che sieno in prezzo VII 55, 23.

Nel nostro passo gran parte degli esemplari di C, e tutti i migliori, hanno suave: «quel suave fin d’amor»; ed è ben probabile che soave rappresenti o la «lectio facilior» d’un compositore distratto, o una prima correzione dell’Autore, poi subito abbandonata. [p. 418 modifica]

67, 6:

li antiqui ABC (c f)          gli antiqui C (a b d e g h i l m)

L’art. masch. plur. innanzi a vocale nella prima ediz. era generalmente li, che non di rado passa in B: l’incudi AB I 17, 4, de li infedeli 9, 3, da li esperii 7, 3 ecc.; tuttavia qui giá s’osserva un intento correttorio: li antiqui A gli antiqui B I 1, 1, de li avi A degli avi B 4, 4. La correzione è decisamente adottata in C (certo per merito delle Prose, c. 48 a): gl’incudi I 17, 4, degli infideli 9, 3, dagli esperii 7, 3 ecc. Non v’ha dubbio sulla scelta.


V 24, 4:

giova ABC (c f)          giuova C (a b d e g h i l m).

L’Ariosto ama le rime perfette. S’osservi, per citar solo un paio d’ess.:

voce ABC: veloce ABC: nuoce AB: noce C XXVI 131

boia ABC: muoia AB: moia C XVIII 92.

Nel nostro passo le rime sono:

prova: giova: ritrova A
pruova: giova: ritruova B.

Tornano in C cosí pruova come ritruova; onde il ritocco giuova, per compiutezza di suoni, se anche da questi dittongamenti, giá piú volte corretti in B, da ultimo poi il Poeta si sia definitivamente allontanato (per es. giuogo AB giogo C XLI 55, 4, XLII 64, 8).

46, 4:

veron ABC (e f g h m)          verron C (a b c d i l).

Troviamo in AB di norma veron, ma giá in B appare la nuova forma, che è poi costante nell’ultima ediz. (cfr. veroni A verroni B XL 40, 7). In C corregge sempre:

veron(e) AB verron(e) C IV 58, 4, V 9, 3, 25, 3, 26, 5 ecc.


48, 3:

commun ABC (a b d i l)          comun C (c e f g h m).

L’uso costante dell’Ariosto è commun(e) ABC IV 62, 7, XIII 79, 2, [p. 419 modifica]XVI 38, 3, XVII 96, 7 ecc., e cosí in vv. che son solo in C (cfr. XV 34, 5, XVII 51, 3, XXXVII 33, 1 ecc.), e cosí negli autogr. (XXXVII 33, 1).

55, 5, 89, 4:

si leva ABC (a b d i l) si lieva C (c e f g h m)
si levi ABC (a b d i l) si lievi C (c e f g h m)
Per lo piú nell’ultima ediz. son preferite le forme non dittongate:

lieva AB leva C XVII 93, 7, XXII 28, 8, XXIII 123, 6, XXXI 73, 1 ecc.

lievan AB levan C XXXVIII 85, 1

lievi 2a e 3a pers. AB levi C XLIII 163, 6, XIX 93, 6.

Aggiungi che ad un lieva di C (Tipo 1°) è sostituito leva (Tipo 2°) I 38, 7, 65, 2; e infine che quest’ultima espressione si legge in versi rinnovati (XL 16, 4) o aggiunti (IX 73, 1, 77, 3 ecc.). È bensí vero che le vecchie abitudini si conservano negli autogr. (cfr. IX 73, 1, 77, 3 ecc.), ma, come giá abbiamo avuto occasione d’accennare, essi son superati da C.

75, 7:

Via con maggior baldanza ABC (a b d i l)     Con via C (c e f g h m).


Rimaniamo dubbiosi sulla scelta. Qualche volta piacque all’Ariosto staccare la particella via dal suo comparativo (cfr. XX 93, 8, e, solo in C, XI 63, 8); talora invece corresse:

               e via gli par piú greve A
               e gli par via (vie B) piú greve BC XXVII 94, 7.

La seconda lezione ha in suo favore, che si allontana da B; ma non è tale argomento da decidere in modo definitivo.


VI 19, 5:

pare a... BC (c f)          pari a... C (a b d e g h i l m).

Vario, e si comprende, è l’uso dell’Ariosto. Troviamo:

par a costui AB pare C XVIII 24, 3,

e in versi nuovi: a lei pare in arme C XLV 53, 8 (come [p. 420 modifica]nell’autogr.: par). Ma, parimente in versi rinnovati, pari alla... XL 54, 4, né mancano correzioni significative:

pare alle sue lode AB pari C XIV 49, 6

par al disio AB pari C XVII 118, 6;

e poiché la prima lezione, oltre a ripetere B, non è sostenuta che da due pessimi testi, ritengo sia da rifiutare.

20, 1:

Non vide né piú bel né piú giocondo AB
Non vide né piú bel né ’l piú giocondo C (c f)
Non vide né ’l piú bel né ’l piú giocondo C (a b d e g h i l m).

La lez. di C (c f) ci rappresenta una correzione incompiuta, e probabilmente per trascuratezza del compositore. Cfr. Malagoli, in Giorn. stor. XLVI (1905), 119.

22, 2:

tepida ABC (c f)          tiepida C (a b d e g h i l m).

Se nelle prime edd. il Poeta preferiva la forma non dittongata, e qualche esempio passa in C, come tepida I 48, 2 (Tipo 1° e 2°), di norma nell’ultima corregge:

tepido AB     tiepido C XXX 58, 2, e cfr. XXXVI 40, 1, XII 72, 2.

22, 8:

luochi campestri AB lochi C (c f)     luoghi C (f i b d e g h i l m).

L’Ariosto nella prima ediz. usava volentieri luoco, per lo piú corretto loco in B. Nella terza si alternano meglio, secondo la convenienza dei suoni, loco e luogo: quest’ultima è certo la lezione definitiva.

45, 6:

rivera BC (c f)          riviera AC (a b d e g h i l m).

In A di norma rivera, espressione che si continua ed esagera in B, ove appunto qualche riviera di A è corretto rivera (cfr. XXVII 49, 2, XXXIX 143, 5), come si legge anche in versi nuovi (XXVII 20, 3). Ma C non ha piú rivera che in qualche raro verso ereditato [p. 421 modifica]da B (XV 68, 5, XXXI 71, 3, XL 69, 3); ché di norma l’Ariosto corregge:

rivera B riviera C I 13, 8, VI 81, 4, VII 2, 7 ecc. ecc.

Non è superfluo aggiungere che rivera del Tipo 1° fu corretto riviera Tipo 2° (I 24, 1, 38, 7).

47, 3:

fra mortali ABC (c f)           fra i mortali C (a b d e g h i l m).

Cfr. fra piú degni eroi AB fra i piú degni eroi C I 4, 1; tra vincitori AB tra i vincitori C XLII 29, 7 ecc.

47, 6:

stavami ABC (c f)          stavomi C (a b d e g h i l m)

La 1a pers. sing. dell’imperf. indicat., che assai frequentemente nelle prime due edd. usciva in -avo -evo ecc., riceve di norma nella terza (cfr. Prose cit., c. 62 a) la desinenza -ava ecc.: cosí andavo, aspettavo, avevo, potevo, facevo ecc. AB andava ecc. C (XVI 11, 1, XIX 99, 3, VIII 74, 1, 5, XXXVIII 16, 4, XXXII 20, 4, 43, 7, XXXIV 24, 3 ecc.). Tuttavia qui non esito ad accettare stavomi, sia per i testi che ce lo serbano, sia perché la 1a pers. viene a risultare piú perspicua e subito evidente.

51, 7:

fera ABC (c f)          fiera C (a b d e g h i l m).

Nel senso di «belva» l’Ariosto usa ora fera ora fiera, sia qua e lá correggendo:

fiera A fera BC (Tipo 1° e 2°) I 34, 8
fiera AB fera C X 112, 5
fera AB fiera C VI 52, 8,

sia in versi nuovi: fera X 33, 4, fiere X 29, 3 ecc. Qui la correzione è in omaggio alla rima piena (: altiera), di che tanti esempi si vedono nel poema.

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XII 56, 1:

               El sentier prese alla sinistra il conte
                    verso una valle, ove il Circasso era ito;
                    si tenne Ferraú piú presso al monte,
                    dove il sentiero Angelica avea trito AB

          Prese il sentiero alla sinistra il conte C (a)

          Prese la strada alla sinistra il conte C (b c d e f g h i l m).

La lezione il sentiero, cosí fortunata in grazia del Ruscelli, del Morali, del Panizzi e di non so quanti altri, è certo da rifiutare. Il Panizzi, pur conoscendo tre esemplari di C che leggevano la strada, si decise per il sentiero, trovandolo nella Bladiana del ’33, che non meritava davvero tanti riguardi. Meno sensibile in AB la ripetizione; fastidiosa in C (a), ove sulla stessa parola batte lo stesso accento ritmico.

85, 7-8:

               Teme che la sua donna in quella parte
               si resti, onde esso errando piú si parte AB.

               D’Angelica cercar, fuor ch’ove sia,
               teme, e di far sempre contraria via C (b d e f g l)

               D’Angelica cercar, fuor ch’ove sia,
               sempre è in timore, e far contraria via C (a c h i m).

Difficile è la scelta; ad ogni modo mi pare riesca piú efficace il «sempre» ad accompagnare l’affanno costante di chi vive amando e teme, che non riferendolo agli errori della via.


XVII 84, 6:

liga ABC (a c e f)           lega C (b d g h i l m).

Nell’ultima ediz., sia in rima che nel verso, sempre lega. Si vedano per es. alcuni passi che son solo in C (XLV 113, 2 (:), XXXIII 8, 8, 31, 6, 44, 1, 55, 5).


XXIII 36, 4:

converrami C (a c)          converrammi C (b d e f g h i l m)

Con tutta probabilitá la prima lez. è un semplice errore di stampa, la semplice omissione d’un segno d’abbreviatura.

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45, 6:

novo BC (c d f)          nuovo C (a b e g h i l m).

In C, salvo quando delicate ragioni (o perfezione di rima, o rispetto a modi schiettamente fiorentini) gli fanno preferire novo, trionfa quasi senza contrasto la forma dittongata, ch’era del resto giá frequente anche nelle prime edd.


XXVII 72, 1:

gli ’l (lo B) avea ABC (b c)          glie l’avea C (a d e f g h i l m).

In AB di norma gli lo, gli la ecc., che ancora molte volte ritorna in C, e persino in luoghi che son solo in C (es. XXXII 88, 8, 91, 8, 92, 2). Ma se continuano a farsi sentire le vecchie abitudini, ad ogni modo la terza ediz. offre prove in gran numero di nuove tendenze. Valgano questi ess.:

gli l(o) AB          gliel(o) C XXVII 83, 4, XXXIII 86, 3, XXXIV 86, 1, XLI 7, 6,

gli ne AB              gliene C XXVII 71, 8, XXXV 4, 5,

cui s’aggiungerá gliel XLI 56, 2, 98, 5, che son versi rinnovati. Incoraggiamento a scrivere gliene veniva all’Ariosto dalle Prose (c. 57 b); ad altri inviti del solenne Grammatico seppe, con buon giudizio, resistere, o cedette di rado e solo negli ultimi canti4.


XXX 64, 7:

               Sí che convien che Mandricardo cada
               d’ogni ragion che può ne l’augel bianco,
               o che può aver ne la famosa spada,
               e de la cara vita cada insieme... C (c g)

               e da la cara vita cada insieme... C (a b d e f h i l m).

Se l’una e l’altra lezione si possono sostenere (v. Tomm. Bell. s. Cadere), contro la prima vale la circostanza ch’essa ci è conservata solo da pochi testi e dei peggiori.

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megliore C (c)   migliore C (a b d e f g h i l m).

Assai frequentemente megliore di B diventa o ritorna nell’ultima ediz. migliore (cfr. XXV 82, 7, III 17, 2, 37, 6, VI 15, 7, III 3, 5 ecc.), mentre è rarissima la correzione opposta:

miglior AB            meglior C XLII 11, 6, XLIV 26, 4;

e se un meglior compare in un verso che è solo in C (XXXVII 16, 6), si tratta d’un momentaneo ritorno a vecchie abitudini ormai abbandonate. Superfluo osservare che la misera testimonianza di C (c) non ha alcun peso di fronte alle altre.


XXXVI 45, 7-8:

               Io vuo’ morir, ma sforzarommi (sforzerommi B) ancora
               far morir meco chi è cagion ch’io mora AB

far morir C (f)            che muora C (a b c d e g hi l m).

Non v’ha alcun dubbio sulla bontá di quest’ultima lezione, che rimedia elegantemente ad un verso buttato giú, di cattivo suono e inespressivo.

81, 5-6:

               e se giá fatto non l’avea, non desse
               la colpa altrui... C (f)

               e se giá fatto non l’avea, non desse
               la colpa a lui... C (a b c d e g h i l m).

Contro la povera lezione altrui, forse derivata da erronea lettura (l’Ariosto scrisse volentieri allui, allei), questa, che esprime una voce di difesa, chiara ed efficace, è senz’altro da considerare come definitiva.


XXXVII 10, 6:

risparmi C (f)            rispiarmi C (a b c d e g h i l m).

A giudicare dai testi che ci serbano l’una e l’altra lez., possiamo andar sicuri che quest’ultima è la migliore.

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a sí grande uopo quanto era... AB

quant’era C (a c d e)            come era C (b f g h i l m).

Meglio rispondente allo spirito della nostra lingua la lez. che piú si stacca da AB ed è conservata dai migliori testi.


XLII 36, 8:

oltra il dever (do-BC) ABC (a c d e)     oltr’al dover C (b f g h i l m).

La lezione condivisa da AB si manifesta subito lontana dalle ultime intenzioni del Poeta per quell’oltra: in C non compare piú che la prep. oltre. Per venire ad ess. in tutto corrispondenti, si osservino le correzioni:

oltra il dever (do-B) AB   oltre il dover C XXXIX 31, 6, 84, 5
oltra il prescritto AB   oltre al prescritto C XLII 1, 4
oltra ragione AB   oltr’a ragione C XLII 32, 6
oltra la meta AB   oltre alla meta C XLIII 45, 1
oltra le nubi AB   oltre alle nubi C XXXIII 110, 2 ecc.

Non v’ha dubbio pertanto che l’ultima voluta dall’Ariosto è la lezione «oltr’al dover».

È tempo di concludere. Queste varianti non rientrano in quella classificazione che di tutti gli esemplari del ’32 abbiamo potuto tracciare nel Cap. II. Si notava che a b c d e f g h sono di Tipo 1°, i l m di Tipo 2°. Orbene, per rimanere alla prima serie, nota:

abarbaglia a III 68, 5;     gli altri: abbarbaglia
gli l’avea bc XXVII 72, 1;     gli altri: glie l'avea
novo c d f XXIII 45, 6;     gli altri: nuovo
veron e f g h V 46, 4;     gli altri: verron
soave c f IV 66, 3;     gli altri: suave
teme, e di far sempre contraria via b d e f g
sempre è in timore, e far contraria via a c h XII 85, 8.

Come si vede, tutti gli esemplari di Tipo 1° sono diversi l’uno dall’altro. Lo stesso dicasi per quelli di Tipo 2°. Che se m stampa veron, gli altri due verron; a sua volta l, stampando «Teme, e di far sempre contraria via», si stacca da i m. Interferenze non infrequenti s’osservano tra le copie dell’una e dell’altra serie: [p. 426 modifica]per es. veron di m (Tipo 2°) è condiviso da e f g h (Tipo 1°); Teme ecc. di l (Tipo 2°) si legge anche in b d e f g (Tipo 1°). Data questa condizione di cose, fu necessario valutare queste varianti ad una ad una. E venne a risultare che due esemplari, salvo una lezione (XII 85, 8), sono in tutto uguali; e lá dove si può fare un giudizio quasi sicuro, sempre si vede ch’essi ci conservano le lezioni definitive. Sono questi i ed l, entrambi di Tipo 2°. Possiamo dunque concludere, che fra le copie da noi raffrontate del Furioso esse tengono il primo posto. Senza entrare in altri particolari ormai superflui, aggiungeremo in fine che sono uguali, a prescindere dal mezzo foglio rifatto, h (Tipo 1°) ed m (Tipo 2°). Non conosco due esemplari del Furioso che siano identici: e non parlo degli errori di stampa e delle varietá tipografiche! Ci troviamo innanzi ad uno dei casi piú strani che siano offerti dalla tradizione tipografica. La tiratura era vigilata foglio per foglio. Se l’Autore non poté presenziare al lavoro dei primi canti — sí che accadde quello che noi sappiamo — in seguito è probabile che visitasse frequentemente (si può immaginare con che piacere per l’ospite!) la stamperia di maestro Francesco Rosso. E pertanto, sia per attenzione sua o del maestro, certe mende derivate da semplice distrazione di compositore — la copia data in stamperia era un esemplare di B fitto di ritocchi e cassature — venivano corrette; ed egli, l’incontentabile, poteva ancora fare accogliere qualche ultimo suo pentimento. Ma nulla fu sacrificato: né quel tal mezzo foglio guasto da tante lezioni cattive, né alcun altro, comunque fossero gli errori. Tra i fogli tirati l’Ariosto scelse i migliori a formar qualche esemplare che meglio rispondesse alle sue ultime intenzioni: i ed l sono, a nostro giudizio, quelli che vincono tutti gli altri per la bontá del testo.

  1. Annotando XXIX 59, 6, avverte che in una delle due copie di C da lui conservate (si tratta di a b) il verso leggevasi immutato come stava in A (e, aggiungiamo, anche in B), cioè, O dove la Phenice apparir suole: il che è falso. Ancora, stampa nel testo: Per riaver Baiardo tutta fiata (XLII 67, 5), e poi annota: «Cosí la ediz. del 1532, e amò meglio il Poeta di far di tre sillabe riaver, e fiata di due (per gli esempi di Dante e del Petrarca) che all’opposto come portava l’ediz. del 1516, dicendo: Per Baiardo riaver tutta fiata». Tutti gli esemplari di C presentano il v. in quest’ultima forma, ch’era giá quella di AB; e quanto a riaver di due, cfr. XLV 105, 6, mentre sempre fïata-e XV 11, 3, XXI 21, 4, V 49, 4 ecc. Il verso, come è dato dal Barotti, non si legge in nessun testo del ’32, bensí nell’ediz. Ruscelli, nota per le sue audacie.
  2. Vi accennano, con inesattezze, il Panizzi, Orl. Fur. I clix, IV 505, e il Salza, Studi cit., p. 238 n.
  3. Nota ancora: suavitá ABC XVI 10, 2, XXV 20, 3, XVIII 138, 7 (cfr. v. 4); suavitá AB so-C XXXIV 51, 4.
  4. Alludo a gliele «glielo, gliela» consigliato dalle Prose (c. 57 a) in omaggio al Boccaccio, che si legge, solo in C, nei sgg. versi: XLII 50, 3, XLIV 93, 6, XLVI 116, 6; XLI 27, 8, XLIV 12, 5 (ma gli la α), 17, 7 (c. s.).