Osservazioni di Giovanni Lovrich/De' Costumi de' Morlacchi/§. 22. Arti

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§. 22. Arti

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§. XXII.

Arti.

L
E arti de’ Morlacchi non vanno al di là de’ loro bisogni. Bisogna confessare, che nelle loro manifatture vi entra poco buon gusto, ma se si esamina la semplicità, con cui si lavorano, forse v’è anche troppo. Gl’intagli de’ basso-rilievi molto bizzarri, che i Morlacchi usan fare col solo coltello nelle loro rustiche sampogne da due canne, ne’ loro vasi da bere, ed altro, ed i Pettini di legno, che vagliono la mica di un soldo Veneto, fatti perfettamente, come quelli di avorio, non cessano di avere qualche pregio.

L’arte del Pentolajo è frequentissima nelle Ville [p. 171 modifica]della Morlacchia, ed i vasi, che vi si fabbricano, non sono di terra semplice, ma vi si mescola sempre del marmo volgare Dalmatino, ben polverizzato, o di qualche altro sasso, che sia ben duro. Per questa ragione (cucinati che sieno in fornaci scavate nel terreno) riescono di somma durata, ed io vidi i Morlacchi, più volte venderli a prova, cioè uno di essi monta sopra il vaso, che si à da vendere, quale se resiste al peso è segno evidente, ch’ei deve essere di buona qualità.

Gli strumenti da Campagna, e specialmente gli aratri sono di gran lunga diversi da quelli degl’Italiani. In qualche Villa si trovò sotterra degli aratri antichi, che sono ancora più rozzi de’ presenti. Non saprei chi li avesse potuto adoperare. Sono questi i Romani? Sono gli Ungheri? Sono i Morlacchi stessi? Ciò nulla importa a sapersi. Le falci, ch’essi adoperano per tagliare le biade, ed i fieni pesano il triplo forse di quelle degl’Italiani, pur nulla ostante i Morlacchi le maneggiano. Quanto più facil cosa riuscirebbe loro a maneggiarle, se fossero fatte all’Italiana! I soli strumenti bene intesi, sono i loro carri se fossero fabbricati con meno rozzezza. Il pregio di questi consiste nelle ruote ragionevolmente grandi, e tutte uguali. È noto abbastanza ai Meccanici, quanto diminuiscano il peso ai Bovi, ed a’ cavalli le ruote uguali de’ carri, e quanto accrescano, quando ve ne sono due de’ disuguali. Da questo esempio non voglio peraltro inferire, che i Morlacchi sono buoni Meccanici, bensì mi pare di veder in essi disposizioni tali, che riuscirebbono a meraviglia. Un rozzissimo fabbro di una Villa del Territorio di Sign, detta Potravie, senza Maestro di sorte alcuna fece un orologio da camera, di ferro, che mostra le ore a [p. 172 modifica]perfezione, benchè in esso vi comparisca la rozzezza del fabbricatore. Un Orefice di Sign, chiamato Zuanne Matich oltre il suo proprio mestiere, egli è atto a riuscire in qualunque lavoro meccanico, di modo che le sue fatture non invidiano punto quelle de’ più famosi Artefici d’Italia. Egli è un portento di Natura, ed io sono di parere, che se fosse nato, ove fioriscono le arti, avrebbe dato saggi tali di meccanica che forse avrian fatto strasecolare.

Di Tintura ànno pochissime nozioni i Morlacchi. Sanno far il color nero, molto usitato fra loro per i saioni, col mezzo della corteccia di Frassino, detta in Illirico Jassen, messa in fusione, come dice benissimo il Fortis, per otto giorni colle scorie squamose di ferro, che raccolgonsi attorno le incudini de’ fabbri: mettono quest’acqua a raffreddare, e poi si tinge con essa. Per tutti gli altri colori, ricorrono ai Professori di Tintura, che fra essi non ve ne sono. Si trae dallo scodano, (in Illirico detto Rui) il giallo. Ma il merito di tingere in giallo è solamente dovuto ai Morlacchi dello Stato Ottomano.