Osservazioni di Giovanni Lovrich/De' Costumi de' Morlacchi/§. 6. Cibi

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§. 6. Cibi

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De' Costumi de' Morlacchi - §. 5. Capanne, ed utensili De' Costumi de' Morlacchi - §. 7. Governo di famiglia

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§. VI.

Cibi.

I
L Cibo ordinario, ed il più usitato de’ Morlacchi è il latte ne’ tempi estivi; e perchè da questo possano ritrarsi più vantaggi in una volta, usano inacidirlo coll’aceto, dipoi ne cavano il burro, che contiene, ed il siero che resta serve loro di bevanda, ed unitamente al pane di cibo. Ma non resta però, ch’essi non facciano uso del latte in tutti i modi preparato. L’arte di far le ricotte all’usanza Italiana, cui volgarmente si dice puina, è ignota affatto alle Nuore Morlacche. I Cai di latte, ch’esse fanno senza molta fatica, o ingegno, sono di squisitissimo gusto per qualunque palato, anche straniero. Di questi cai di latte sogliono far bene spesso qualche presentuccio, e gli offrono volentieri agli Ospiti [p. 90 modifica]di riguardo. Il cacio, che fanno per loro uso giornaliero è tutto in pezzettini, che si conservano in un otro, e perciò si chiama volgarmente cacio di otro. Quello poi in pezze grandi non sarebbe da sprezzarsi, se non gli estraessero parte del burro, e non lo facessero bollire nell’acqua, ma sendo uso di vender questa sorte di cacio, è probabile, che in ciò v’entri qualche poco di malizia. Non usan mangiar polenta (eccettuati i tempi critici, in cui si mangia tutto ciò, che può nutrire) che di quella di Saggina, di cui peraltro non si ciban di sovente, e s’ella non nuota nel burro è disaggradevole al loro palato. E perchè sembra, che asciutta non la possin trangugiare, ne’ giorni di digiuno le danno altra concia, che consiste in mele, od in aglio pesto, misto all’acqua, e parcamente di oglio, poichè di questo convien comperare per l’inerzia di non piantar Olive ne’ proprj campi. Nelle cose le più semplici sembra, ch’e’ sieno nati per dissipare. Di pane cotto ne’ forni non v’è caso, che vogliano far uso, cibandosi in vece di schiacciate, che cuociono di giorno in giorno, ed anche di mano in mano, che loro abbisognano, su la pietra del focolare. Di ogni sorta di grano fanno le schiacciate per proprio uso, fuorchè di frumento, nè anche i benestanti eccettuandosi in questo, benchè non le mangin essi di gran Turco, o di altre infime biade. Ne’ giorni poi solenni il ricco ugualmente, che il povero fa preparare delle schiacciate di frumento. Alcuni de’ Morlacchi ànno veduto di quanto danno riesca ad una famiglia l’uso delle schiacciare, e perciò fanno cuocere il pane nel forno, che serve per molti giorni, e così riesce di maggior economia. Ma l’esempio di pochi non val, per superar l’ostinazion di molti. I cavoli capucci inaciditi sono il [p. 91 modifica]principal companatico de’ Morlacchi, durante il Verno. Questo è un cibo nauseante per gl’Italiani, come le rane per alcuni Morlacchi, di che faremo parola nel fine di questo paragrafo. Ma in buona fè, può essere veruno giudice competente di colse non gustate? Se i Romani erano contenti, quando avevano il pane, e gli spettacoli, panem & Circenses, i Morlacchi lo sono altrettanto, e forse più, quando ànno il pane, ed i cavoli. Le derrate andorno malamente, dicono essi, se i cavoli non fruttano, tuttochè delle biade vi sia in sufficiente copia. Si attrova varia sorte di erbaggi nelle Campagne loro, con cui si nutricano ne’ giorni Quaresimali, giacchè osservano inviolabilmente il digiuno, ed in questo pizzicano alle volte di Grecismo, ove per qualunque malattia non è lecito franger il digiuno, o di mutar cibo. Quindi è, che mangian porri, scalogne, agli, cipolle, e tutto ciò, che digiunando riesce di minor costo, ed ingrato a chi à cibi migliori, e gusto più dilicato. Il Fortis dice, che avendo i Morlacchi anche cibi migliori, non si asterebbono peranco di mangiar aglio „ cibo più universalmente gradito dalla Nazione, dopo le carni arroste “. Ma qui egli parla a caso, ed io non vorrei augurargli la disgrazia di far l’esperienza a proprie spese, per chiarirsi. Per venir in cognizione in qual concetto abbiano i Morlacchi l’aglio, basta la seguente favola morale, che corre fra essi loro. L’aglio, dicono i Morlacchi, correva dietro i Dei, perchè gli fosse assegnato un qualche rango tra’ companatici. Fu decretato fra’ Dei che l’aglio dovesse servir di companatico agi uomini, quando non avranno altro a mangiare. È cosa certa, che nelle vaste campagne della Morlacchia non vi sono piantagioni di cipolle, sendovi grandissimo con[p. 92 modifica]sumo di questo prodotto; ma che il Fortis dica lo stesso dell’aglio, io gli rispondo, che s’egli avesse bene osservato le campagne de’ Morlacchi, avrebbe veduto, che ne piantano tanto in alcune Ville, che oltre il loro bisogno, ne portano a vendere al mercato. È fuori di ogni dubbio poi, che per la intiera popolazione della Morlacchia, convien annualmente provvedere una grossa quantità di agli, ed altro di questo genere dagli stranieri. Ma oramai non vi è bisogno di mostrar la utilità a’ Morlacchi, che ritrarrebbono dalla piantagione di questo prodotto, sarebbe ben necessario superar la loro pigrizia in fatto di Agricoltura.

Non mi saprei dar pace, se lasciassi sorpassare il merito, che dà il Fortis all’aglio di mantener lungamente robusti, e forti gl’individui, perchè secondo lui corregge la mala qualità delle acque de’ serbatoi fangosi, o de’ fiumi impaladati, da’ quali molti Morlacchi sono costretti attingere nel tempo di State1 E perchè il merito, ch’egli dà all’aglio non lo darebbe più tosto all’aceto, di cui ne’ tempi estivi se ne servono i Mortacchi ad uso di bevanda, in ispezialità, quando vanno lavorar nelle Campagne, ove l’acque sono fangose? Si legge presso Rollin che tutti i soldati Romani portavano dell’aceto con essi loro, per attemprare la crudezza dell’acqua, ch’erano astretti a ber talvolta molto cattiva. Catone che non beveva altro che acqua, se si crede a Plutarco, per qual ragione avrà talora bevuto dell’aceto, quando era all’esercito, se non perchè l’acqua sarà stata molto cruda? Inoltre l’aceto à qualità rin[p. 93 modifica]frescativa, e l’aglio all’incontro è di natura caldo, nè potrebbe giovare agli individui, che ne Climi freddi:2 laonde se anche a’ partigiani di Orazio non vuolsi accordar, che l’aglio sia più nocivo della cicuta3 nulladimeno non si potrà concorrere nella opinione del Fortis di atribuirgli una virtù, che viene smentita colla esperienza.

I cibi, di cui finora parlammo, sono universalmente abbracciati da’ Morlacchi, ma si cangiano in migliori, o peggiori, secondo la facoltà, e le stagioni. Dico secondo le stagioni, mentre dal giorno delle Ceneri fino al principio della raccolta delle nove messi, soffrono mortificarsi colla parsimonia de’ cibi, ma ne’ tempi ressidui dell’anno, quando non vi faccia argine un’estrema carestia, rovini il Mondo, vogliono per lo più, come osserveremo di tratto in tratto, mangiar a crepapanciaFonte/commento: Pagina:Osservazioni di Giovanni Lovrich.djvu/269. E come tutti i loro cibi sono semplicissimi, la semplicità di questi, ed il grande uso di latte spezialmente, oltre la purità dell’aria, ed il viver, faticoso contribuiscono moltissimo a mantenerli robusti, ed a prolungar loro la vita. In molti luoghi vi sono de’ vecchioni, che oltrepassano un Secolo. A Plavno, ch’è una Villa nel Territorio di Knin, ove l’aria è purissima, fui assicurato dagli [p. 94 modifica]abitanti, che diversi vecchi, che io ebbi a vedere colà, arrivassero chi a cencinque, chi a censei, chi a cent’otto anni. Se la Natura conserva Leggi inviolabili nel suo corso, dovrebbe certo essere, che quel Dandone Illirico4, di cui parla Alessandro Cornelio, citato da Plinio, che si crede giunto alla età di anni cinquecento, sia una favola, o s’ella non è favola, perchè non vediamo a nostri giorni degli uomini fra noi arrivare alla stessa età? Ma già la ragion è, che bisognava nascere in que’ tempi.

Perfine non mi è sembrato fuor di proposito, ora, che si à parlato de’ cibi de’ Morlacchi, di far una piccola aggiunta intorno all’avversione, ch’essi ànno per le rane, ed osservare, s’ella arriva a quell’eccesso, come raccontano quelli, che ingrandiscono sempre le cose, e cercar la ragione nel tempo stesso, per cui essi cominciarono abborrire un cibo, che per vero dire, non lo è disgustoso. Convien credere, naturalmente parlando, che l’orrore de’ Morlacchi per le rane provenga da qualche discapito apportato ad essi loro, perchè forse in alcuni luoghi, ove anticamente vivevano, sono perniziosissime, come il verro, od il majale in Arabia.5 Ma s’ella è cosa saggia di non mangiar de’ majali in Arabia, ella è una pazzia astenersene in Europa, e lo stesso si può dir delle rane, se pur v’è luogo, ove nuocer [p. 95 modifica]possano. Se i Morlacchi poi mangino, o no presentemente delle rane, questo è ciò, che io vado a cercare. Dico pertanto, che in generale ne sono lontani dal mangiarle, come il Gennajo dalle more, ma io non oserei affermare, come il Fortis,6 che niun vero Morlacco mangerebbe rane a costo di lasciarsi morire di fame. Ma se la fame à indotto altre volte gli uomini in più luoghi di questo universo a cibarsi di ciò, che più abborrisce la natura umana, come può scappar dalla bocca di un uomo ragionevole, che i Morlacchi non mangierebbono rane a costo di morire? E che avverrebbe, se io dicessi, che moltissimi veri Morlacchi, senza veruna necessità, da gran tempo ànno cominciato a mangiar rane, e forse non passerà guari, che tutta la Nazione si spoglierà del pregiudizio di non mangiarne? Non si può dir lo stesso de’ Morlacchi del rito Greco. Vincolo di Religione costrigne questi a non mangiar rane, e chi ne mangia, credono essi, che non possa salvarsi. Lessi presso un Istorico Illirico (cui di rado però si può credere) che il Pontefice Niccolò Quinto scrivendo a Costantino ultimo Imperatore dell’Oriente, gli rimbrottava questa pazza credenza, di cui erano imbevuti i Greci, che dicevano

               I Latini saran tutti dannati,
               Per aver rane, e bovoli mangiati.7

quasi che il cibo potesse nuocere alla salute delle anime. Ma sia vero, o no ciò, che dice questo sto[p. 96 modifica]rico intorno i tempi di Costantino, è certo che a’ dì nostri i Morlacchi Greci si astengono dal mangiar rane più per divieto di Religione, che per un’avversione naturale. Questa è una di quelle superstizioni, che oltre a non essere dannose, giovano moltissimo a quelli, che mangian rane, che oltre la gran copia, anche la carestia de’ concorrenti fa, ch’elleno si vendano la maggior parte dell’anno, a due, o tre soldi la dozina.

  1. Vol. I. pag. 83.
  2. Dice Suida, che i Traci si dilettano di agli, nè, soggiugne, senza ragione: Imperciocchè gli agli sono caldi: I Traci abitano un paese freddo.
  3. . . . Edat cicutis
    Allium nocentius.

    Hor. Od. 3. Dpod.
  4. Alexander Cornelius memorat Dandonem Illiricum D. annos vixisse. Plin. l. 7. c. 48.
  5. Tacito dice, che i Giudei si astenevano del majale, perchè nocivo alla salute. Sue abstinent, memoria cladis, quod ipsos scabies quondam turpaverat, cui id animal obnoxium. Hist. lib. 5.
  6. Vol. I. pag. 32.
  7. Vedi le Canz. Eroiche Nazionali del P. Cadcih Miossich.