Osservazioni di Giovanni Lovrich/Del Corso della Cettina, il Tilurus, o Nastus degli antichi/§. 2. Caverna sopra la prima sorgente della Cettina

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§. 2. Caverna sopra la prima sorgente della Cettina

../§. 1. Esame se vi è stata mai Città col nome di Cettina, ed etimologia di questo nome ../§. 3. Delle sorgenti della Cettina IncludiIntestazione 16 novembre 2020 75% Da definire

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§. II.

Caverna sopra la prima Sorgente della Cettina.

I
L desiderio di acquistar qualche nozione della interna tessitura delle Caverne, e la mia Naturale curiosità mi spinsero a penetrar in più di una ad osservar sul fatto le meraviglie della Natura. A me parve di trovar in tutte qualche cosa di soprendente, sia perchè ve ne sia in effetto, sia perchè la mia piccolezza [p. 12 modifica]trovò grande ciò, che ad un altro più versato di me sembrerebbe assai mediocre. Io mi terrò peraltro lontano dall’ingrandire arbitrariamente le cose, che dagli altri in seguito potessero essere dimostrate minori della fama. E perchè nessuno creda, che io abbia vagato per giornate intiere entro le Caverne, non dirò mai Viaggio sotterraneo all’estensione di men di un quarto di miglio. Vantaggi assai piccioli possono, lo confesso, arreccare le mie peregrinazioni sotterranee, ma gli amatori della Scienza Naturale non dovrebbero essermi ingrati, per aver almeno additati loro i siti, ove possano far le loro saggie osservazioni, viaggiando per queste contrade.

In distanza di cento passi all’incirca dalla prima sorgente della Cettina, andando per un Valloncello, a mano sinistra verso la metà del Monte si asconde la imboccatura della Caverna la più magnifica, la più bella, e la più meravigliosa, che io mi abbia veduto sopra le otto fonti principali di questo Fiume. Tosto che si entra nella Caverna, si veggono sassi di mole, non grande, bensì in quantità ammucchiati, rovine probabilmente di antiche muraglie, fabbricate rozzamente a secco. Avanzandosi più oltre per dodici passi, sorge alla sinistra una muraglia men rozza, alta sei piedi, che forma una porta col muro naturale dalla parte opposta, per render più difficile l’introito. In questa, ed altre tali impraticabili, aspre ed orridissime spelonche non piantavan mai gli antichi pretesi Selvaggi del Fortis le loro abitazioni, ma ne’ casi atroci, e lagrimevoli di guerra, che non di rado accadevano, vedendosi essi attorniati da un numeroso stuolo de’ nemici come in ultimo asilo portavano tutto ciò, che aveano di più buono, e di più caro. Parecchi vecchi armati quivi stavano solamente alla custo[p. 13 modifica]dia delle masserizie di uno, o più Villaggi, ed i più giovani d’ambedue i sessi erravano pe’ Monti vicini, onde far qualche scaramuccia contro il nemico. I più vecchi de’ Villaggi quivi contigui ricordansi esser così successo a loro memoria, per la qual cosa si può ragionevolmente congetturar lo stesso de’ tempi trasandati.

Passata la prima porta dopo la imboccatura della Caverna, si può volgere a mano destra, e gindosene carponi per otto passi in circa, si fa il giro di altri quattordici, ora curvandosi più, ed ora meno attorno una serie di Colonne, e varj altri lavori comuni degli stillicidj. Ma tornando addietro all’istesso passo di prima, da cui si a deviato, si vede un bellissimo, e superbissimo Salone di lunghezza di trentaquattro passi Geometrici, e larghezza venti otto. Le varie, e magnifiche Colonne, che lo adornano, lo dividono quasi in due, e da una parte di esse, servendo come di base, vi è una picciola collinetta marmorea, su cui lì alzano sparse quà, e là diverse punte stalattitiche. Il giro di cadauna di queste Colonne eccede dieci passi Geometrici. Quanti anni, o per meglio dire Secoli saran passati, avanti che le acque venissero a formar così enormi moli!Fonte/commento: Pagina:Osservazioni di Giovanni Lovrich.djvu/269 Più che le rimirava io, e più mi sembravano degne di ammirazione. La loro tessitura esterna, sono tanti strati perpendicolari, che calano dalla cima al fondo, come si osservano nella costruzione di alcuni Monti, e specialmente nel famoso Vallone di Sutina, poco più di tre miglia lontano da Sign. Ma la differenza, che passa tra gli strati perpendicolari de’ Monti. a questi formati dagli stillicidj si è, che i primi si combaciano talmente tra di loro, che appena vi può passare frammezzo una punta di coltello, fra i secondi poi [p. 14 modifica]vi passa liberamente la palma della mano, sendo in più luoghi al di dentro concave le Colonne, e lo sarebbono ancora più, se novi stillicidj con altri bizarri lavori non le otturassero. Vedute queste Colonne, chi avesse voglia di proseguire la strada a mano sinistra per poco tratto di cammino, chinandosi un poco, può andarsene in una Saletta, ove pure si presentano all’occhio curiosissimi scherzi delle acque. Ma avanti di penetrar più addentro è necessario passar per un sentiero molto malagevole. Non basta il dover andare a quattro piedi per terra, convien serpeggiare in qualche luogo, ed è meglio immerger la faccia nel fondo fangoso, su cui si serpeggia, che restar offeso dalle acute, e taglienti punte di stalattiti, che sopra il capo, e la schiena pendenti se ne stanno. Varcato questo impraticabile angusto passo, si arriva in una picciolissima circolare Saletta, e da questa si passa in un altra, più picciola ancora. Ivi la strada sotterranea comincia andar all’insù. I Morlacchi, ch’erano meco a nessun patto vi voleano salire, ma io mi vi arrampicai poco a poco insino alla vetta, che si vedea dal basso, e che non era gran fatto alta. Da qui la strada torna all’ingiù, e vi sarei andato io solo, se non mi avesse disuaso il poco buon sapino. In questo luogo io trovai due pezzi di legno di selce, marciti dall’acqua, di cui erano ben pregni, nè so, come potessero qui trovarsi, se non vi fossero stati portati da qualcuno, che quivi sia giunto avanti di me. Non si potrebbe dare, che l’acqua per quinci scorresse ne’ tempi rimoti, e li abbia deposti? E se ciò fosse, resta da capirsi, come non sia seguita la stalattitica incrostazione de’ legni stessi. Ma lasciano queste cure, e questi esami agli uomini sistematici, che sulle cime di questi Monti vi trovan vestigi dell’an[p. 15 modifica]tico corso della Cettina, e potran darci forse de’ lumi colla stessa chiarezza anche su questo proposito.

Ritornati finalmente al Salone, da cui si partimmo, s’incamminamo a mano destra, passando come sotto un mezzo arco di Ponte, verso la seconda Sala, lunga passi ventiquattro, e larga sette, ove non v’è gran copia di fatture degli stillicidj, se si eccettui un angolo da parte sinistra, che può trattener la curiosità per qualche momento. Si presenta sul finire di questa Sala una porta naturale, formata da due Colonne, attaccate ad altri lavori, che perciò non ben le si distinguono. L’accidental combinazione delle goccie di acqua non potea architettare una porta con più magnificenza, e perfezione, che a prima vista a qualunque occhio comparisce fatta dall’arte, e non dalla Natura. I Morlacchi, che l’avean veduta per lo avanti, mi parlarono, come di una cosa prodigiosa, ed ebbero ragione. Passata questa porta, entrammo nella terza Sala, lunga sedici passi, e larga nove. Ella è una Sala, che merita più di tutte le altre di essere ponderata per la moltiplice varietà de lavori degli stillicidj, e la serie de’ piccioli Colonati, che subito volgendosi a sinistra ascondono due porte, che servono d’ingresso a due rami di questa Caverna. A piedi della porta sinistra si vedono varie vasche, che colla loro unione esterna formano due recipienti pieni di acqua limpidissima, ed in mezzo di uno di essi vi è un lavoro di acqua, che apparentemente sembra essere una spongia. Io penetrai solamente nella destra porta, unitamente a due Morlacchi per osservar questa parte sotterranea, e vi trovai sommo diletto, e piacere. Noi vagammo per cinquanta passi sempre all’ingiù, saltellando da precipizio in precipizio sopra masse straordinarie di sassi sfaldati [p. 16 modifica]dal volto, sotto cui eravamo, con continuo rischio di romperci i piedi, e di fiaccarsi il collo. Convien credere, che questi sfaldamenti sieno successi ne’ tempi assai lontani, da che grandissimi pezzi degli stillicidj si formarono sopra i sassi stessi. Il fondo marmoreo, su cui camminavamo, i volti che sopra noi vedevansi, moltissime delle fatture stalattitiche, che osservavansi eran di gran lunga più tetre, è più nere di quello, che i Pittori, ed i Poeti ci sanno pingere, ed ideare i Demonj, ed il baratro Infernale. Uno de’ Morlacchi, ch’era meco, esclamò „se questo non è un ramo dell’Inferno, e quale mai sarà„? L’altro gli rispose „Vorresti tu, che nell’Inferno vi fossero così belli lavori?„ In fatti, se si osserva l’orrida nerezza di questo antro da una parte, i varj, e moltiplicati lavori della Natura dall’altra, si potrà ben dire, che in questo Inferno vi è qualche buon pezzo di Paradiso, e degno mi comparisce de’ riflessi di qualunque saggio, e diligente perscrutatore de’ secreti Naturali. Io non mi persuaderò mai, che la nerezza di questo angolo Cavernoso provenga dal fumo, cui gli antichi Selvaggi potevano comunicare alle pareti, anzi mi persuado, che forse quivi neppur vi penetrassero, e resto assai strasecolato, che il Fortis nel suo viaggio sotterraneo dia la colpa della nerezza agli antichi barbari, che abitarono colà dentro. 1 Percorso lo spazio di cinquanta passi, benchè si potesse gir più oltre, noi tornammo a spuntar nella Sa[p. 17 modifica]la, da cui si eramo traviati per veder questa tetrissima Catacomba, a cui in nessun modo può paragonarsi, quantunque tetro anch’esso il luogo della Caverna, che visitò il Fortis, cui dà il nome di vero tratto dell’Inferno di Dante, attissimo a ruminar le tristissime notti di Joung.

Pria di passar da questa all’altra Sala s’incontra a destra una Colonna, alta sedici piedi in circa, attorniata da varie semicolonne, e pani di Zucchero, ora candidissimi, ora nero-candidi sparsi tutti all’intorno, e sembran spuntar dalla terra, e vegetar a guisa delle piante. Tutti questi pani di Zucchero sono più grossi al fondo, che verso la cima, ma sopra di essi pendono altrettanti corrispondenti, che lasciano cader perpendicolarmente le loro goccie, di cui buona parte convertendosi in Corpo solido fa, che col tempo i pani di Zucchero stessi diventino tante Colonne. Penetrammo dopo ciò in una Sala di passi ventiuno di lunghezza, e sette di larghezza, proporzione troppo esatta, se li rifletta alla costruzion del caso. Ma l’altezza irregolare del volto, ove di due passi, ed ove meno, non corrisponde al resto della opera. Quivi per le angustissime fenditure di strati disequilibrati non in gran copia pendono all’ingiù alcune cannette degli stillicidj col solito forelino nel mezzo. Si osservano però degli strati dalla parte destra di questa Sala posti in ordinata positura orizzontale. Due Colonne, che sono sul finire di essa, e che formano una rozza porta, furono a me per ben tre volte, che quì m’internai, le Colonne di Ercole. Dico Colonne di Ercole, poichè nessuno ardiva di oltrepassarle, anzi per meglio dire di calarsi da un altezza di circa settanta piedi. A fissar bene gli occhi al basso, la difficoltà di calarsi sembrava dieci volte maggiore di [p. 18 modifica]quello, lo era. Tutti i Morlacchi, ch’erano meco, avanti di entrare promettevano di superar qualunque ostacolo possibile, è trovandosi al caso tutti unanimi cangiavano di pensiere. In fatti egli è un passo sì pericoloso, che può intiepidire i più temerarj, ed i più arditi Naturalisti. Ma alla fin fine a forza di mie persuasioni si lasciò un Morlacco legar alla corda, e risolvette andar all’ingiù. La Natura avea provveduta la discesa infino a mezza strada di tanti scalini, che senza verun appoggio si potea discendere, ma quando questi mancarono, il Morlacco non volle proseguir più innanzi. Allora io discesi in compagnia di due altri all’istesso passo. Niente valsero le mie abbondanti promesse, perchè qualcuno si lasciasse calare al luogo, ove fissato avea di andarmene. Tanto era il terrore, che imprimeva questa discesa alli più accostumati ad una vita ferrea! Io per non provar il dispiacere di aver tentato quattro volte indarno a superar un passo di tanta conseguenza, e spinto dall’amor proprio, che alcuno in avvenire non lo superasse, posto in non calle ogni pericolo, che potea incontrare, mi allacciai la fune, e mi lasciai calare al luogo desiato, e dietro me vennero anche due de’ Morlacchi. Quando fummo al basso, ebbimo motivo di comprendere, ch’eravamo discesi da un’altissima volta, che formava verso il fine due archi, divisi in mezzo da una natural muraglia, di non picciolo, e maestoso Ponte, sotto cui le acque avendosi formati due spaziosi canali, di Verno si scaricano in somma abbondanza, per quanto apparisce anche dal letto innanzi il Ponte stesso, per cui ella deve scorrere precipitivolmente. I due archi del Ponte presi insieme ànno sedici piedi di corda, e quasi il doppio di saetta. Dall’Architettura naturale del Ponte, che deve [p. 19 modifica]senza dubbio la sua formazione alle acque, io congetturai, che in poca distanza una qualche acqua dovesse ritrovarsi, e alla parte destra mi posi a rintracciarla. Ma qual orrore! Che Abisso! Quali rovine di sassi precipitati da tutte le parti all’intorno! Qual timore, che già già non precipitin degli altri, quasi pendenti in aria? Qual profonda malinconia occupa lo spirto in questa caliginosa Spelonca? La notte stessa, che ci trovò in questo stato, di quanto non diminuì il coraggio de’ miei due Compagni, quasi che non fosse quì una notte perpetua! Io gl’incoraggiva, ed avea bisogno di essere incoraggito, e mentre si avvanzammo qualche passo innanzi, udimo un romore di acqua, che facea ribombare la Caverna in suono, così rauco, che nient’era più opportuno, per aggiugnere tristezza a tristezza. Ma oh prodigiosa varietà della Natura! I miei compagni s’intimorirono di più, ed io ripresi coraggio. L’allegrezza di aver udito il mormorio di un’acqua sotterranea mi fece obbliare tutti i pericoli in un punto. Noi s’incamminammo a passi lenti verso lo strepito, e ad ogni istante ci pareva di avere l’acqua avanti gli occhi. Ci premeva di non mettere i! piede in fallo, perchè in tal caso era superfluo il pentimento. Diversi Monticelli, o per parlar co’ termini più proprj, banchi di fanchiglia ci fecero quasi quasi tornar addietro. I miei Compagni però ebbero la bontà di farmi strada, ed io seguendo le loro pedate, sopra questi pericolosi banchi, giunsi alla riva di un Regio sotterraneo Fiume. Il suo fondo mi è sembrato considerabile, e la sua quantità di acqua bastante, perchè dalla sua diramazione dovessero riconoscere il principio le sorgenti tutte della Cettina. La notte, che quivi ci sopragiunse, non ci permise di andar [p. 20 modifica]più innanzi, e per addattarmi alla paura de’ miei compagni, questo fu il limite della mia peregrinazione. Mi fu narrato da un vecchio del Villaggio Jarebizca, che diversi amici sfacendati sull’albore del lungo giorno di State si misero in capo di vagar per tutte le parti della Caverna, e che appena verso sera escirono della stessa. Questi riferivano, mi assicurava esso, di aver passato il Fiume sotterraneo, come sopra una specie di Ponte, e che per istrada s’incontrarono in due grandissimi Laghi circolari, e pretendevano di essere arrivati infino al Fiume, o Torrente Kerçich, che trae la sua origine molte miglia sopra Kerka, con cui si unisce dopo la caduta di Topolie. 2 Da un famoso assassino di strada, che in qualche giornata critica si eleggeva per domicilio questa Caverna, mi fu ella descritta nel modo stesso, che io la vidi, e mi assicurò di aver passato anch’egli più volte il Fiume sotterraneo sopra un Ponte, e la sua relazione si uniformava a puntino con quella del buon vecchio di Jarebizca, ed aggiunse „chi avesse voglia di vagar ancora più, lo può liberamente, mentre non si arriva mai al fine.„ Le uniformi relazioni di due Compagnie, che vi sono state, e che una non sapeva quel, che avea veduto l’altra, dovrebbero renderci il fatto fuori di ogni dubbio certo; nullaostante però io non mi fo mallevado[p. 21 modifica]re delle relazioni altrui, quali se fossero vere, diverebbe un assioma indubitabile, che i Fiumi Kerka, e Cettina riconoscono sotterraneamente le stesse origini. Ma non è la sola Cettina, che abbia il Fiume sotterraneamente sopra le sue sorgenti. Si trovano in più luoghi delle nostre contrade de’ Fiumi sotterranei, poichè quasi tutti derivano dalla Turchia. Per questa ragione ogni grosso capo di acqua, che si perde nella Cettina à sempre una, o più Caverne sopra le sorgenti.

Nell’escir della Caverna, pieno di giubilo di aver veduto un maestoso Fiume sotterraneo, dopo esservi stato tre volte, senza poterlo vedere, io mi avvenni di sovente in alcuni pezzi di ossa, che i Morlacchi proclamavano de’ Santi Martiri, quando erano veramente ossa di capre, mangiate quivi in santa pace da chi non potea mangiarle liberamente altrove. Queste pretese, ed immaginarie ossa de’ Santi, facevano credere a’ Morlacchi, che chi era in peccato mortale non potea penetrar in tutte le parti della Caverna, come chi era innocente. Essi, ed io formavamo il numero di dodici Persone, e liberamente abbiamo vagato per tutte le parti della stessa, ove ci spinse la nostra volontà, conchiusero perciò, che tutti noi fossimo innocenti. Io li lasciai nella loro buona opinione, ma mi venne voglia di saper chi li à imbevuti d’idee, così strane, e mi dissero che i Calogeri (perchè questi erano Morlacchi del rito Greco, co’ quali io parlava) fanno loro credere, come un articolo di Fede, che in tutte le Caverne, che si trovano pe’ Monti, i Santi Eremiti abitassero una volta, e diventa irreligionario, chi non vi presta credenza intiera. Ma non finiscono quì le stravaganti idee, che ànno i Morlacchi, amanti del maraviglioso in proposito del[p. 22 modifica]le Caverne, Credono, che in cadauna di esse abitino le Fate, che mangiano i cuori de’ bambolini, o i Demonj alla custodia de’ Tesori3. Ma delle assurde opinioni intorno le Fate, e della sciocca avidità degli scava-tesori si dirà a luogo più opportuno.

Io non farò parola alcuna della Caverna visitata dal Fortis, cheche io sia stato più addentro di lui. Ò voluto solamente misurar la sua estensione, ed il viaggio sotterraneo, fin dove io giunsi, non eccede cento, ed ottanta passi Geometrici. La vasca, cui il Fortis, oltre la sua naturale bellezza, seppe qualche poccolino adornare colla forza del dire, mi è sembrata degna di essere scavata, e conservata4. Non saprei indovinare, com’esso poi incorso sia nello sbaglio di dar origine, o comunicazione alla Cettina col Lago di Busco-Blato5. Se ciò lì potesse dare, passerebbe per verità anche quel verso di Ovidio [p. 23 modifica]

In caput alta suum labentur ab aquore retro Flumina.

Il Lago di Busco-Blato è cinquanta miglia più sotto le sorgenti della Cettina, cui per dar origine, converebbe, che facesse tutto questo giro all’insù e contr’ogni Legge della gravità. I due Fiumi Ruda, e Grab, che si scaricano nella Cettina sopra Trigl, dopo ch’ella à fatto più di venti otto migliaFonte/commento: Pagina:Osservazioni di Giovanni Lovrich.djvu/269 di corso, per avventura potrebbono comunicare col LagoFonte/commento: Pagina:Osservazioni di Giovanni Lovrich.djvu/269 di Busco-Blato. Quel Lago alle volte si nasconde per due, o tre anni, e poi di nuovo torna alla luce. La Cettina per quel, che ànno osservato gli abitanti del Villaggio Jarebizca, e di altri circonvicini, à costantissima analogia colla escrescenza de’ Laghi di Zcerni Lugb nello Stato Ottomano, venticinque miglia lontani dalle sue sorgenti. Sarebbe da esaminare, se que’ Laghi comunicano con altri Laghi ancora, o Fiumi, per poter fissar la vera origine alla Cettina, e tutte le congetture, che si fanno senza osservazioni, mi sembrano aeree, e di nessun momento.


  1. „Da quelle angustie si passa in luoghi, meno impraticabili, ma sempre ugualmente orrendi, e resi più tetri là, dove sono più spaziosi, dalla negrezza delle pareti affumicate. Fort. Vol. 2. p. 65.
  2. Pretendono i Morlacchi, che il Torrente Kercich nasca dalla grande abbondanza di acqua, che non può tutta sgorgare per di sotto alla Caverna, per cui scorre Kerka, ch’è il Fiume Titius degli antichi. Il nome stesso Kercich, (se da lui si dovesse prender autorità) lo prova, quasi volesse dir Figlio del Fiume Kerka.
  3. Leggasi il Fortis (p. 159. Vol. 2.) e si vedrà, che anche qualche P. Zoccolante à di queste superstizioni.
  4. „Il più curioso, non il più frequente scherzo, che vi si vegga, sono certe vasche fatte a foggia di gran conche embricate, una delle quali, che io ò particolarmente osservata, à gli embrici oltre mezzo piede larghi, ed assai ben configurati. Questi non posano già sul suolo, ma dal centro della conca partono curvandosi all’infuori; la conca non à grossezza maggiore di quattro dita, ed è capace di molt’acqua, imperocchè à oltre due piedi, e mezzo di lunghezza. Non si potrebbe dall’arte eseguire pezzo più bello per decorarne una fonte, o una grotta di giardino; dall’arte dico, che la Natura volesse imitare, non adornarla. Fortis Vol. 2. pag. 67.
  5. Vol. 2. p. 72.