Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/113

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atto primo 105

Filippa. Io, per me, non so dove se gli caverá costui questi denari: che non ha un quatrino né meno è per averne per qualche giorno; ch’il banco non ha avuto ancora aviso da casa.

Certo deve essere ritornato, poi che la porta è aperta. Lásciamegli rendere la risposta d’ogni cosa speditamente acciò proveda a’ casi sua.

SCENA V

Prudenzio pedante, Malfatto servo.

Prudenzio. Non me sono accorto di questo giottonciculo del famulo ch’inel mezzo del fòro, in nel conspetto di molti egregi ed eccellentissimi uomini, me ha derelicto mentre eravamo in circulo a discutere alcuni dubi delle peculiali virtú nostre. Ma testor Deum ch’io li voglio dare ad minus cento verberature. Certum est ch’io non fo bene a tenerlo, che quanti báiuli, quanti inepti villichi sono in questa inclita e alma cittá tutti lo cognoscono, se li congratulano; e non si accon viene a me esser veduto con esso lui perché non si dica, appresso delli insipidi ideoti garuli e rinoceronti, che lo eximio maestro Prudenzio, eletto e approbato da Sua Santitá censore e maestro regionario con stipendio congruo e condecente ad un paro nostro, meni apud se un tal famulo. Sed «necessitas non habet legem», la necessitá, l’uopo non ha lege, quia multum interest a noi el suo magisterio circa le cose veneree, stimulandone molto la concupiscenzia carnale. Et ipse è molto cognosciuto apresso della genitrice della mia unica, lepida, blandula, melliflua e morigerosa Livia, vero speculo di pulcritudine e di exemplare vertú: che, totiens quotiens me immemoro quei membricoli e’ flavi capegli e li ocelli glauci co’ supercilii leni biforcati, col pettusculo niveo, vera cassula et arcula ove ch’el nostro còrculo si latita e lo anellito de quella boccula roscicula che fiata un’aura, una fragranzia, uno odore manneo che tutto me letifica, e che io contemplo quella fenestrula, statim divengo un metamorfoseo.

E, per quanto posso comprendere, gli piace molto ch’un par