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116 il pedante

SCENA III

Rita, Ceca.

Rita. Caminamo, de grazia, Ceca, sorella, ch’ell’è tardo; e so che si lamentará di me e’ ho temporeggiato troppo al ritornare.

Ceca. E che si lamenti. E poi è ella si frettolosa che vogli esser servita si presto?

Rita. Io gli ho discrezione alla poverina per ciò che sta sola.

Ceca. Come sola? Non ha ella si gran compagnia di monache?

Rita. Gli è vero. Ma assai li par di esser sola quando non vi sono io.

Ceca. Questo si è tanto piú quanto si trova in questa terra ove persona non ci cognosce. Ma ditemi un poco, madonna Rita: avete marito voi?

Rita. Io non so quello che me abbia, a dirti el vero.

Ceca. Come che non lo sapete?

Rita. Dirotelo. Io mi maritai, son giá parecchi anni, e il signore nostro lo mandò in non so che sua bisogna fprsi un mese doppo ch’io el tolsi; e, d’allora in qua, mai piú non l’ho veduto e temo ch’il sia piú tosto morto che no. Questo è el premio, sorella, che si acquista in servire i signori.

Ceca. De grazia, non ne ragioniam piú; che non sta bene a noi, che siam femine, parlare de’ fatti loro.

Rita. Anzi, a noi sta bene, che diremo el vero e saremo scusate per pazze.

Ceca. Non fate cosi, che ci potrebbono fare qualche cattivo scherzo.

Rita. E che ci potreben mai fare?

Ceca. Che, ch? Dio ce nne guardi! Qualche trent’uno.

Rita. Non ci faccino peggio.che questo.

Ceca. O farci sfregiare, ò una coáa simile, che non mancano loro, no, i sviati e i ribaldi, che, Dio grazia, ne hanno le case ripiene; ch’i buoni non vi vogliano stare per ciò che sono inimici del vizio.