Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/149

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atto quinto 141


Minio. Chi è lá?

Rita. Amici. Simo noi.

Minio. E chi séte voi?

Rita. Siamo quelle donne. Ècci madonna Iulia in casa?

Minio. Si, è. Aspettate, ch’io la chiamare..

Rita. Orsú! Va’ presto e spacciati.

Fulvia. Che te ha detto?

Rita. Ho parlato col figliuolo. Adesso fará l’imbasciata.

Fulvia. Acòstameti qui, che non paia ch’io stia sola.

Ceca. Chi è quella che vole madonna?

Rita. Siamo noi. Oh Ceca!

Ceca. Perché non entrate, che l’è aperto?

Fulvia. E che ne sapemo noi?

Ceca. Dio vel perdoni. Che bisogna che voi pichiate, che séte patrona de ogni cosa?

Fulvia. Per grazia de madonna Iulia, non perché noi lo meritiamo.

Rita. Andate lá sii e pregamo Dio che ce la mandi buona.

SCENA III

Prudenzio, Repetitore.


Prudenzio. De grazia, propter amorem Dei, fate che veniat cito.

Repetitore. Lassate pur far a me.

Prudenzio. E racomandateme all’amita sua.

Repetitore. Lassate pur fare l’excusatorie a me.

Prudenzio. Caminate, che iam est multum sero.

Repetitore. Non ve conturbamini. Tornate pur dentro.

Prudenzio. Audiatis, domine. Oh missere!

Repetitore. Che piace alla Magnificenzia Vostra?

Prudenzio. Potrete dirli, se pur noi volessino lassar venire, che voi lo soziarete incolumen e senza lesione alcuna.

Repetitore. Io ve ho inteso. State sano e vivete in tripudio, ch’io ve Ilo condurrò omnino e portarovi risposta sodisfattoria.