Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/158

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150 il pedante


Mastro Antonio. Oh! fa’si che tasa quel zotarello.

Prudenzio. S’io vengo lá su...

Malfatto. E come ce verrete, che la porta è serrata?

Prudenzio. Tu vederai se noi la apriremo poi.

Malfatto. O provateci un poco.

Prudenzio. Per lo amor de Dio, sta’ cheto.

Malfatto. Son contento, sii!

Mastro Antonio. Volete che canti piú?

Prudenzio. Non piú voi, per adesso, no; lassate canere a questo nostro discipulo. Di’ su, tu: spacciati.

Malfatto. I’ non posso stare cheto. Io voglio parlare. Che cosa fate? Olá!

Luzio.

O quam puellarum pulcherrima tempore certe.
     Sis nostro liceat mi sequerere mei, heu.

Malfatto. Oh! te dia Dio!

Luzio.

Heu miserum miserum nihil mea carmina curas.
     Me mori cogis nempe profecto quidem.

Mastro Antonio. Ancora sé piú? Oh! vo’ siu piú doto d’Orlando.

Luzio.

Parcere subiectis, quod cadunt alba ligustra:
     amen dico Ubi certa rede coco.

Mastro Antonio. Oh bono! oh bono! Hali composti la Magnificenzia Vostra questi strambotti?

Prudenzio. Al commando della Signoria Vostra.

Mastro Antonio. Voi site lo primo omo del mondo.

Prudenzio. Per grazia vostra, non che lo meritiamo.

Malfatto. So’ stato a cacare, vch, Luzio! Adesso so’ revenuto.

Prudenzio. Sonate, che volemo cantare ancor noi.

Mastro Antonio. Volete questa? Trin, trin, trin.