Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/341

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atto primo 333

intorno alla dama, va fuor la notte a’ veglini con la squarcina, canticchia tutto ’l dí con una voce rantacosa, ribalda e con un leutaccio piú scordato di lui. E èssi dato infino a far le fistole (che gli venghino!) e i sognetti e i capogirli, gli strenfiotti, i materiali e mill’altre comedie: cosa da far creppar di ridere gli asini, non che i cani. Or vuol portare il zibetto. Al corpo di Dio, che c’impazzerebben le palle. Ma ecco Scatizza che debbe tornar da le monache.

Scatizza. Ti so dir che questi padri che fan le lor figliuole monache debbono esser di que’ buoni uomini del tempo antico di Bartolommeo Coglioni. E forse che non si credono ch’elle stien sempre dinanzi al Crocefisso a pregare Iddio che facci del bene a chi ve l’ha messe? È ben vero che pregano Dio e ’l diavolo; ma che gli faccia rompare il collo a chi è cagion ch’elle ci sieno.

Spela. Voglio intender questa novella.

Scatizza. Com’io bussai alla ruota, subito tutta la stanza s’empí di suore; e tutte giovane e tutte belle come angeli. Comincio a domandar di Lelia. Chi ride di qua, chi sghignazza di lá; tutte si facevan beffe del fatto mio, come se io fusse stato un zugo melato.

Spela. Addio, Scatizza. E donde si viene? Oh! Tu hai delli zuccarini. Dammene.

Scatizza. Il cancar che ti venga, a te e quel pazzo di tuo padrone!

Spela. Lasciame andare e tira a te. Donde vieni?

Scatizza. Dalle monache di Santo Crescenzio.

Spela. Or be’, che è di Lelia? È tornata a casa?

Scatizza. La forca tornará per te! Pò fare Iddio che quel mentecatto di tuo padrone se la crede avere?

Spela. Perché? Non lo vuole?

Scatizza. Credo di no, io. Parti ch’ella sia carne da’ suo’ denti?

Spela. Ella ha ragione, in fine; ma che dice?

Scatizza. Niente non dice. Che vuoi ch’ella dica, quando io non l’ho potuta vedere? che, come io gionsi lá e domanda’la, quelle sgherracce di quelle monache volevan la pastura di me.