Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/339

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atto primo 331


Gherardo. O Clemenzia, mi vien voglia d’abracciarti e di baciarti mille volte.

Spela. Qui bisognaranno le funi, dissi ben io.

Clemenzia. Di cotesto guardatevi molto bene, ch’io non voglio esser baciata da vecchi.

Gherardo. Paioti cosí vecchio?

Spela. Che credi? Al mio padrone non sono ancor caduti, gli occhi fuor di bocca; volsi dire, i denti.

Clemenzia. In ogni modo, non avete il tempo che si crede, veggo ben io.

Gherardo. Dillo a Lelia. E sai? Se mi metti in sua grazia, ti vo’ donare un mongile.

Spela. Ehi, liberalaccio! E a me che darete?

Clemenzia. Tanto fusse voi in grazia del duca di Ferrara quanto voi séte in grazia di Lelia, che buon per voi! Ma si! j Voi la dileggiate: che, se voi gli volesse bene, non la terreste in | queste trame né cercar esti di tuorgli la sua ventura.

Gherardo. Come torgli la sua ventura? Io cerco di darglila, non di torgliela.

Clemenzia. Perché la tenete, tutto questo anno, in su le pratiche di volerla o di non volerla?

Gherardo. Che! Pensasi Lelia che rimanga da me, adunque? S’io non sollecito ogni di suo padre, se non è la maggior voglia ch’io abbi al mondo, s’io non volesse che si facesse piú presto oggi che domane, che tu mi vegga, fra pochi di, sovr’una bara.

Clemenzia. E questo non mancare, se a Dio piace. Io gli dirò ogni cosa. Ma sapete? La vi vorrebbe vedere andare altramente che cosí gli parete un pecorone.

Gherardo. Come «un pecorone»? che gli ho io fatto?

Clemenzia. No. Ma perché voi andate sempre avviluppato ne le pelli.

Spela. Sará buon, dunque, che per amor suo si faccia scorticare o che, almanco, corra ignudo per questa terra. Ha’ veduto?

Gherardo. Io ho piú be’ panni ch’uom di Modena. Ho caro che me l’abbi detto. Vorrò che, di qua a un poco, mi