Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/87

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atto quinto 79

voglio uccidere, a’ tua occhi veggenti, colui che tu hai in camera, ribalda! E poi, con le mie mani, a te cavar gli occhi della testa.

Fulvia. Oimè, marito mio! Mò che cosa è quella che te muove a fare me rea femina, che non sono, e te crudele omo, ove fin qui non fusti mai?

Calandro. Oh svergognata! Ancor hai ardir di parlare? Come se noi non sapessimo che in camera hai, vestito da donna, lo amante tuo!

Fulvia. Fratelli miei, costui cerca che vi faccia palese quel che io ho sempre ascoso: cioè la pazienzia mia e li oltraggi che, tuttodí, mi fa questo fastidioso; che non è moglie si fedele né peggio trattata come sono io. E che non si vergogna dire che io li metto le corna!

Calandro. Si, che gli è il vero, trista femina! E ora voglio mostrarlo a’ tuoi fratelli.

Fulvia. Intrate e vedete chi io ho in camera e come questo fiero bacarozzo l’ucciderá. Su! venite.

SCENA IX

Lidio maschio solo.

Fessenio mio disse la cosa esser acconcia; ma non ne vedo segno e con sospetto ne sto. Colui, con chi Fessenio i panni scambiar mi fece, non conobbi. Fessenio fuor non viene. Calandro, Fulvia minacciando, è intrato in casa. Egli è matto furioso e forse le fará villania. Ma, se romor in casa sento, al corpo di me, ch’i’ salterò drento e difenderò lei o per lei morirò. Amante non sia chi coraggioso non è.

SCENA X

Fannio servo, Lidio maschio.

Fannio. Vedi lá Lidio o, vogliam dir, Santilla. Non ha fatto niente. Riscambiamo. Togli li tuoi; rendemi li panni miei.

Lidio maschio. Che scambiamenti di’ tu?