Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/393

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atto querto 381


SCENA II

Alamanno giovane solo.

          Oh come mi dispiacciono certi uomini
          che, contro il voler tuo, talor ti tengono
          a desinar con esso lor, credendoti
          far cosa grata! I’ non son a disagio
          mai tanto stato quanto questo spazio
          di tempo nel quale il mie’ zio tenutomi
          ha a desinar per forza. Se piú giovane
          fusse stato, i’ gli are’ detto alla libera
          quel ch’i’ avev’a far: che son certissimo
          m’arebbe dato una buona licenzia;
          che simil cose ogni di non accaggiono,
          anzi, forse, mai piú potrommi abattere
          a una tal ventura. Oh sorte pessima!
          Ben m’abbattei in mie* padre, che sforzassimo
          far, a punt’oggi, questa cerimonia
          di visitar el zio perché tenessimi
          a desinar! Oh se fussi possibile
          ch’i’ fussi a tempo! So pur che la lettera
          cortesemente fu presa; e, se Cambio
          gli ara dat’agio, so ch’ara il debito
          fatto del contrasegno. Ma io veggiolo,
          per Dio! Oh gran ventura! I’ ti ringrazio,
          Amor, che tu mi fa’ me’ ch’i’ non merito.
          I’ vogli’ entrar in casa, che certissimo
          son che Cambio non vi è; ch’el contrasegno
          levato avrebbe. Ma ’l vedrò; che l’uscio,
          se gli è ’n casa, non sará aperto. Vedemi
          alcun che mi conosca? No. Ben passaci
          dimolta gente. Oh Dio! Come mi guatano
          costor! Che fo? Vogli* entrar alla libera;
          che, quando si sta in dubbio, a cose simili,,
          si dá maggior sospett’a que’ che veggono.