Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/70

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58 l’amor costante


Vergilio. A me, si; che a peggio non ne potete essere.

Messer Giannino. Io gli farò tai promesse che, se mi niega di far questo ufficio, potrò tener per certo che quel ch’io temo di lui sia verissimo; perché, quanto all’esser fedele al padrone, so che pochi servidori si trovano che per denari non si corrompine. E ti prometto che, s’io sapesse per certa questa cosa, sarebbe tanto lo sdegno e l’odio che io porrei a Lucrezia quanto è ora l’amore ch’io gli porto.

Vergilio. Di questo ve ne potrete consigliar poi; che spero che non accaderá.

Messer Giannino. Non voglio per niente che passi d’oggi che tu trovi questo Lorenzino e me lo meni a casa.

Vergilio. Io non so’ molto al proposito perché, a questi giorni, ebbi non so che parole con esso in ponte. Lo potrá far lo Sguazza, come gli ha desinato.

Messer Giannino. È verissimo. Or andiamo in casa, ch’egli debb’esser giá tornato a far ordinar da desinare.

Vergilio. Andiamo.

SCENA X

Agnoletta sola.

Uh! Santa Gata! Io vi so dir ch’una fantesca, quando la si conduce alle mani di questi fattorini, che la sta fresca! Mi sento tutte gualcite le carni. Uh! Gesú! Quanto mi dispiacciano questi pizzichi e queste parolacce che si dican per la strada! — Madonna, s’io voless’io, voreste voi?; — Addio, fantesca: vorreste una pesca?; — Cogliete l’amicizia; voletevi apporre? — E, con queste parole, chi mi pizzica di qua e chi mi fruzzica di lá, chi mi mette le man drieto, chi mi tocca dinanzi. Piú presto ci pigliasseno e tirassenci in qualche stanza di buttiga e tanto ci dibatticasseno che ci sfogassen la rabbia! Lassami veder se mi fusse caduta la polvere. La ci è pure. Ma io ci so’ stata ben per metter del mio onore perché, com’io fui in buttiga, el profumiere, che era solo, cominciò a mirarmi con l’occhietto